Vedi Taranto e poi suona – capitolo II: ‘Pulp’ e ‘The Jesus and Mary Chain’ mandano in visibilio il pubblico del Medimex 2024 che si chiude con numeri da record

“Siamo tutti un po’ sballati, sai. Puoi prenderlo come sintomo di un disturbo o puoi prenderlo come estrinsecazione della personalità: io preferisco optare per la seconda soluzione. Ed ho usato le parole per cercare di riempire il vuoto nel mio cuore; questa è un’altra cosa che si può fare con la creatività: aggiustarsi. O, almeno, provarci.” (Jarvis Cocker)

C’è vita sugli altri pianeti? Vi sono, da qualche parte nell’universo, esseri talmente intelligenti e progrediti da riuscire a usare al massimo le proprie potenzialità mentali fino a trasmetterne all’esterno ogni impulso, ogni vibrazione, ogni impeto? Per il popolo del Medimex 2024 ormai questa è ben più che un’ipotesi, altrimenti non si riuscirebbe davvero a spiegare la provenienza di quello stranissimo tizio, materializzatosi a tarda notte sul palco tradizionalmente allestito sul Lungomare di Taranto, che per il suo soggiorno sul Pianeta Terra si è scelto il nomignolo di Jarvis Branson Cocker, dai più conosciuto per essere l’incontrastato leader dei Pulp, il gruppo passato per parecchie morti e resurrezioni da quel lontano 1978 in cui partì da Scheffield per conquistare il mondo.

Da allora, molta – forse troppa – acqua è passata sotto i ponti, ma la band, pur perdendosi più di qualche pregiato pezzo per strada, taluni definitivamente come l’ottimo basso di Steve Mackey, scomparso solo un anno fa all’età di 56 anni, continua a mantenere integro il proprio peculiare ed originale sound, imponendosi prepotentemente ad ogni ascolto anche nei padiglioni auricolari delle nuove generazioni, come dimostrato dalle ovazioni che salivano dal pubblico, zeppo di pischelli che nel ’78 di certo non abitavano nemmeno i più lungimiranti sogni dei propri genitori, per l’unica data italiana dell’ennesima reunion live del gruppo britannico.

La seconda ed ultima serata – dopo quella del “fucking caldo” di Thom Yorke e dei suoi ‘The Smile’ di cui abbiamo già scritto su queste stesse pagine telematiche – dell’annuale Festival pugliese si è aperta con la performance – l’unica nel sud Italia per questo tour – dei “Jesus and Mary Chain”, storica formazione scozzese che non ha mai abdicato al proprio ruolo nella discografia mondiale in ben quarant’anni di onorato servizio; ma l’essere inderogabilmente fedeli alla linea non sempre può considerarsi motivo di vanto e i fratelli Reid mostrano talvolta il fiato corto, non riuscendo – o non volendo – discostarsi da un’operazione che ormai risulta d’antan: le luci soffuse che non illuminano mai direttamente il gruppo lasciandolo in controluce, i volumi considerevolmente bassi, con la voce di Jim sempre volutamente ovattata e la chitarra di William che si concede pochi e ripetitivi riff, finanche sbagliando e replicando un intro, non riescono più a trasmettere un’esperienza totalmente immersiva, lasciando un po’ spiazzati i tantissimi discepoli accorsi, tutti muniti di apposite t-shirt anch’esse visibilmente datate.

Ciononostante, due momenti dell’esibizione tarantina del quintetto dei “Jesus and Mary Chain” resteranno memorabili, punti inamovibili negli annali della manifestazione: la prolungata chiusura sulle note della splendida “Reverence”, che da sola varrebbe il prezzo del biglietto dell’intera serata, e, soprattutto, un inedito quanto mitico duetto sulle note dell’ipnotica “Just like honey” con lo stesso Jarvis Cocker, salito timidamente sul palco per omaggiare la band come un fan qualunque.

Dopo, è stato solo ‘Pulp’!

Sette straordinari musicisti, con le tastiere di Candida Doyle ed il violino di Emma Smith in splendida evidenza, si ponevano al servizio dell’inestinguibile follia creativa, visionaria ed istrionesca di Cocker, letteralmente quanto perennemente catturando i cuori dei quattromila fortunati presenti a quello che, in venticinque anni, è – davvero incomprensibilmente – solo il loro terzo concerto italiano, una totale pazzia se solo si pensa alla spazzatura che giunge su quasi tutti i nostri palchi: fosse solo per questo, il Medimex ed il suo comandante Cesare Veronico andrebbero eternamente ringraziati, essendo baluardo e roccaforte della vera musica con un festival organizzato, peraltro, alle nostre povere latitudini.

Quando, in apertura di concerto, Jarvis appare dal nulla alla sommità di una scalinata degna della migliore Wanda Osiris, bardato in un completo di velluto marchiato Edward Sexton che non si può non chiedersi come faccia a resistere alle focose temperature che Taranto ci ha regalato, immediatamente producendosi nelle sue ormai mitiche mosse geometricamente scoordinate e ossessivamente dinoccolate, sappiamo tutti benissimo che la serata terminerà nel più totale visibilio cui ci sia stato dato in sorte di partecipare da un bel po’ di tempo a questa parte, forse – azzardiamo – proprio da quando, sempre qui al Medimex, abbiamo avuto il privilegio di imbatterci nella sublime performance di un altro assoluto mostro sacro che risponde al nome di Nick Cave, che, peraltro, Jarvis ricorda molto da vicino, soprattutto quando monta in piedi sulle due casse poste sul proscenio.

Oltre a questo, quel che indiscutibilmente Cocker ha in comune con Cave o con gente del calibro di David Byrne e anche – perché no? – del divino David Bowie è una smodata genialità, peraltro immortalata nell’irrinunciabile libro di confessioni “Good Pop Bad Pop” che consiglio a tutti di leggere, apparendo a tutti inconfutabile che ci troviamo di fronte a talenti di assoluto e incontrastato valore, artisti che forse come nessun altro hanno saputo attraversare le stagioni e i generi musicali con il passo lieve e deciso delle guide, lasciando tracce incancellabili del loro passaggio che potessero indicare la via a intere generazioni di musici viandanti.

La scaletta sembra costruita appositamente per farci saltare le coronarie, con la presenza, tra l’altro, delle immarcescibili “Disco 2000”, “Joyriders”, “Something changed”, per sempre dedicata alla memoria di Steve, “Pink glove”, “Weeds” e “Weeds II”, “F.E.E.L.I.N.G. C.A.L.L.E.D. L.O.V.E.”, “This is hardcore”, la mitica “Do you remember the first time?” e giù per quasi due ore sino all’immancabile “Common people” che precede un sublime regalo dei Pulp al Festival con l’esecuzione, non in scaletta, di “Bar Italia” che Jarvis, dopo aver nuovamente salutato la luna piena che si staglia nel cielo di Taranto, introduce raccontandone la genesi, una storia che ricorda parecchio il Roxy Bar del buon Vasco. Quel che risulta incredibile all’ascolto è che, pur non potendosi richiamare ad incisioni di album in studio dal 2001, non si abbia nemmeno per un attimo l’impressione di trovarsi di fronte ad un’operazione da nostalgia canaglia o da vecchie glorie in disarmo, anzi le note e addirittura i testi, sempre pregni di quella strana mistura di poesia ed ironia con cui Janis denunciava diseguaglianze di classe o auspicava il riscatto dei disadattati con una peculiare attenzione al sesso,risultano ancora attualissimi. A testimonianza del passato da cui i brani provengono restano solo i video dell’epoca, come quello di “Babies”, in cui fa capolino un imberbe Janis che sembra il figlio del signore con la barba bianca che si agita sul palco (“Guardavo le persone anziane che si prendevano la briga di andare ancora nei locali notturni e non potevo fare a meno di chiedermi perché. Non si rendevano conto di quanto sembrassero stupide? Ovviamente, ora che sono una di quelle persone, ho deciso che queste regole non valgono per me”, afferma ora Cocker), e molti degli oggetti feticci della band, come il gigantesco lampadario della già citata “This is hardcore”.

Al termine, non possiamo non pensare a quanti, per pigrizia e/o ignoranza, hanno ritenuto di non essere presenti, invitandoli a mangiarsi i gomiti per aver rinunciato ad un appuntamento strabiliante, assolutamente perfetto, unico e, crediamo, irripetibile, perché la caleidoscopica esibizione dei Pulp – Signori miei – è stata tutto un gioiosissimo, vitalissimo e grandissimo godere nell’animo e nel corpo. E questo ci ricorda un’altra legge naturale: bisogna sempre fidarsi delle scelte del Medimex, che, forte della straordinaria partecipazione di migliaia di spettatori ai 75 appuntamenti in programma, con oltre 1 milione e 350mila utenti raggiunti sui social, non trascurando il dato rilevante dell’abbattimento dei costi pari a quasi 1 milione di euro grazie a sponsorizzazioni, incassi e altri introiti, ha già annunciato il suo ritorno a Taranto dal 17 al 21 giugno 2025, per mostrare, come auspicato dal sindaco Melucci, ancora una volta il volto migliore del capoluogo pugliese, “una città stupenda, efficiente, invasa di gente festante e alla ricerca di contenuti di valore, mai disattenta a messaggi riferibili a un mondo in continua evoluzione”; quindi, in chiusura, a tutto il popolo che dedica il proprio impegno a questa manifestazione ormai fondamentale nel panorama musicale internazionale, non possiamo che destinare le parole dell’ottimo Janis: “My only hope’s that you succeed, yeah!

Pasquale Attolico
Foto per gentile concessione del Festival

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