Chi è nato con il punk/hardcore di Negazione, Wretched e Contrazione ed è cresciuto con quell’idea di comunità che, nella fase iniziale e più genuina, era riuscita ad andare ben oltre un genere musicale, un vezzo estetico o l’ortodossia dell’appartenenza acritica, diventando attitudine e finanche fonte d’ispirazione per scelte di vita, ha grosse difficoltà a sintonizzarsi su generi contemporanei quali trap, post-teen pop o itpop.
Che traccia possono lasciare “artisti” che riempiono il vuoto generazionale con il racconto stucchevole e ridondante di irrilevanti quotidianità o che fingono rabbia contro un mondo dominato dall’immagine, nello stesso momento in cui contribuiscono a crearlo, finendo spesso per farne una professione?
Che credibilità può avere chi ha smarrito il vigore dei conflitti generazionali nella pacificazione di sensi e slanci, maldestramente sottoposta al fugace elettroshock del sensazionalismo?
Per non parlare dell’indie nostrano, le cui “novità” possono riassumersi, nella migliore delle ipotesi, in una rimasticazione non troppo bavosa di quanto ascoltiamo dagli anni ’90.
Eppure la battaglia contro l’idea di una musica prevedibile o ridotta a forma di intrattenimento continua e quella dei Dish-Is-Nein non solo lascia un segno profondo ma, dal vivo, assume il valore di un rituale catartico.
Dei Disciplinatha (controversa, pionieristica e dirompente creatura industrial/post punk attiva a metà ’80 e parzialmente ammansita dal Consorzio Produttori Indipendenti a metà ’90), da cui i Dish-Is-Nein prendono origine, restano le intuizioni vaticinanti, le lucidissime e feroci analisi del presente, l’arditezza musicale.
Restano tre componenti, Cristiano Santini, Dario Parisini, Roberta Vicinelli, a cui si aggiunge alla batteria Marco Bolognini, che sul palco raggiungono una compattezza insieme austera e coinvolta, forgiata dalla chitarra fiammeggiante e poderosa di Parisini, da una sezione ritmica opportunamente versatile, dalla ieraticità del canto e del gesto di Cristiano Santini.
Ciò che non resta è il nome dell'”unico gruppo italiano che vale la pena ascoltare” (parola di Jello Biafra): i diritti sono detenuti dal batterista originario.
Il concerto è un rodato assalto sonoro scatenato da brani quali “Toxin”, “Milizia”, “Eva”, “Leopoli”, intervallato dalla struggente rilettura di “New dawn fades” dei Joy Division e dalle parentesi elettroniche e visionarie spalancate dalle rivisitazioni di “Man machine” dei Kraftwerk e di “Up patriots to arms” di Franco Battiato, che contribuiscono a tenere sempre alta la tensione emotiva, differenziandone colori e sfumature, fino al pathos del coro alpino che vibra in “Ultima notte” e “La chiave della libertà“.
L’impianto teatrale che caratterizzava le performance dei primi anni di attività dei Disciplinatha e che, più o meno in quell’epoca, con modalità e stili (non di rado nettamente) differenti, abbracciava le esperienze di altre band quali Antigenesi, Scisma, Underground Life, CCCP Fedeli alla Linea, è stato sostituito nei Dish-Is-Nein da un potente utilizzo di videoproiezioni coerenti con atmosfere e temi proposti e, quindi, da un lato lancinanti (si pensi alle immagini del recente massacro di civili di etnia russa avvenuto in Ucraina dell’Est per mano dell’esercito, di cui pochissimo si è detto e saputo), dall’altro irriverenti, grazie a stridenti mescolanze semiologiche che da sempre hanno connotato il percorso di questi Artisti.
Terminato il concerto, ho riportato la mente alla seconda metà dei Novanta, quando ebbi modo di vedere i Disciplinatha dal vivo a Bari per due volte, al Jimmy’z e in uno dei padiglioni della Fiera del Levante (con Santo Niente ed A.F.A.). Ebbene, è proprio tra le suggestioni sprigionate questa sera dai brani tratti da quella produzione, su tutti “Mi addormento”, “Sei stato tu a decidere” e “Crisi di valori”, che prende forma e si dipana il fil rouge che unisce quell’esperienza a questa, ossia la ferma volontà di non allinearsi, la necessità di fare dell’isolamento e della sconfitta una questione di dignità, l’urgenza rinnovata e mai doma di turbare e smontare l’anticonformismo, perché la storia insegna quanto quest’ultimo possa diventare subdolo, ipocrita e spietato, più del “sistema” contro cui si affanna a manifestare il proprio dissenso.
Questa data di fine gennaio fa parte del club tour che ha visto i Dish-Is-Nein toccare anche Bologna e Milano e che li vedrà di scena a Modena il 4 aprile, per promuovere l’omonimo EP uscito nel 2018. Per chi volesse approfondire il passato in cui affondano le radici, segnalo la pubblicazione di “Tesori della patria” (Contempo Records), recentissima e assai ricca ristampa in 7 vinili di tutta la produzione dei Disciplinatha, nonchè la biografia autorizzata “Tu meriti il posto che occupi“, scritta da Giovanni Rossi (2018, Tsunami Edizioni) e impreziosita dalla grafica di Simone Poletti (Dinamo Innesco Rivoluzione).
Vanni La Guardia
Tutte le foto sono di Vanni La Guardia