C’è un mondo che molto spesso ignoriamo, fingendo che non esista.
È fatto di miseria e di miserie, di dolore, di sconfitte, di perdite, di degrado e di sfruttamento.
“Spaccapietre”, il secondo lungometraggio dei fratelli Gianluca e Massimiliano De Serio, che abbiamo visto alla presenza del cast pugliese, presentato dal critico Livio Costarella, ci porta all’interno di questo mondo, facendocelo conoscere in tutta la sua brutalità, la sua crudeltà, la sua invivibilità.
Sotto i riflettori, in questo film dal cast eccellente, c’è una realtà dura e drammatica: quella del caporalato pugliese, in cui “gli ultimi” sono costretti a vivere vite ai margini.
Un vero Inferno sulla terra, popolato da demoni e anime sofferenti.
La storia si ispira ad un fatto di cronaca di qualche anno fa, la morte sul lavoro di una bracciante pugliese, Paola Clemente, ma anche alla morte, in situazioni analoghe, della nonna dei due registi.
Anche Angela (Antonella Carone), moglie di Giuseppe (Salvatore Esposito) e madre del piccolo Antò (Samuele Carrino), è una bracciante stagionale, che deve sottoporsi alle fatiche di un lavoro svolto in condizioni disumane, ma purtroppo Angela non ha scelta, perché il marito, uno spaccapietre, è stato vittima di un incidente sul lavoro che lo ha privato della vista ad un occhio e, quindi, ora è lei che deve provvedere al mantenimento della famiglia. Ma è proprio mentre si trova al lavoro che perde la vita.
Ed ecco che Giuseppe e Antó devono lottare insieme per la sopravvivenza, costretti a vivere in una tendopoli e a svolgere lo stesso terribile lavoro di Angela.
Ma ecco che, in un gioco dei contrasti che accompagna tutto il film – il bene e il male, i buoni e i cattivi, i carnefici e le vittime -, fra tanta miseria e crudeltà, assume una forte centralità la tenerezza infinita che caratterizza sia il rapporto tra il padre e il figlio, che troveranno l’uno nell’altro la forza di lottare e andare avanti, sia nel rapporto con Rosa (Licia Lanera), un’altra “ultima”, vittima come gli altri di violenze e soprusi ad opera di capi ingiusti e spietati (Giuseppe Lo Console e Vito Signorile).
La natura umana, si sa, talvolta può essere imprevedibile, e a darcene prova è l’esplosivo e sconvolgente finale.
È un film di denuncia sociale, che abbraccia una dimensione neorealista, un film in cui le parole servono a ben poco, perché ciò che conta sono solo fatti e azioni, che vedono i personaggi muoversi su uno scenario impietoso, fatto di sfruttamento, di soprusi, di violenze, di ingiustizie, di ferocia, di arroganza e di potere.
Ai fratelli De Serio va riconosciuto senz’altro il merito di aver saputo rappresentare la vita degli umili e degli oppressi – “i vinti”, come li avrebbe definiti Giovanni Verga – senza fare sconti a nessuno, offrendoci un film di rara intensità, la testimonianza che l’Inferno sulla terra, purtroppo, esiste.
Ornella Durante