Siamo nell’Indiana.
il film si apre in maniera silenziosa, quasi spettrale in piena notte di una cittadina di cui non conosciamo il nome. Un ragazzo, Theodore Finch, sta facendo la sua solitaria corsa, libero in mezzo alla strada, assordato dalla musica che ascolta in cuffia. Sul ponte del fiume che bagna la città, c’è una ragazza dai capelli biondi e lunghi, Violet Markey, che sembra riflettere sulla possibilità di compiere l’estremo gesto buttandosi in acqua. I due si conoscono appena in quanto frequentano la stessa scuola, ma basterà a Theodore per convincerla, salendo con passo felpato anch’egli sul parapetto del ponte, a convincerla ad abbandonare il suo intento suicida. Sapremo poi che Violet non riesce a superare uno stato di prostrazione dovuto al trauma per la morte della sorella in un incidente.
Quell’incontro casuale e fortuito con Theodore, superate le iniziali diffidenze, diverrà per lei l’occasione per riuscire a tornare alla vita e a guardare con positività al mondo che la circonda. Però Violet e Theodore sono due ragazzi profondamente diversi: lei di buona
famiglia che viene dalla California (“dove non c’è mai la neve”, dirà subito dopo essere scesa dal muretto); lui, chiamato “lo schizzato”, con una storia familiare travagliata alle spalle, che vive con la sorella alla quale vuole un bene pazzo, entrambi reduci dalle violenze del padre, che non appare mai nel film e dal quale si sono distaccati perché, dirà poi la sorella, era un uomo cattivo.
L’incontro tra Violet e Theodore non è per niente facile, tuttavia i due imparano a conoscersi a vicenda lentamente, molto lentamente. Infatti, per incarico del loro insegnante, iniziano a lavorare ad un progetto di coppia, andando alla scoperta di alcune meraviglie nascoste dell’Indiana, un viaggio fisico, anche in luoghi lontani, che diviene per loro anche viaggio alla scoperta dell’amore, dei propri “buchi neri” interiori e delle proprie potenzialità. Violet torna ad amare la vita grazie all’amicizia con Theodore, che la aiuta a superare le difficoltà emotive e le sofferenze della sua vita e, a poco a poco, a riemergere dall’oscurità della sua mente, mentre è lei a, non comprendere la grande sofferenza nascosta nell’anima dello “schizzato” Theodore. Sono due opposte diffidenze che si trasformano in amore, e sono sofferenze alternate a momenti di gioia; la costruzione del loro rapporto si arricchisce con la trattazione di argomenti significativi come la malattia mentale, il suicidio, la depressione e la gestione del dolore.
Tutto sembra filare liscio verso un lieto finale. Ma così non é.
Theodore, infatti. deve fare i conti con il passato, ricordi e ferite profonde che lo fanno cadere in continui momenti di sconforto, vittima della sua depressione e dei suoi momenti di buio totale, in cui non si rende inaccessibile a chiunque, convinto di distruggere chi gli è accanto, una corazza che nemmeno Violet sembra riuscire a scalfire. Quando, dopo un’escursione in cui i due si confessano le loro paure, nonostante Theodore sia sempre più ermetico, i due tornano a casa di lei, trovano i genitori adirati in quanto hanno temuto per la vita della figlia, che per la prima volta, dopo la morte della sorella, aveva trascorso un giorno ed una notte fuori casa, tanto da incolpare il ragazzo per questa lunga assenza e da proibirgli di vederla. E qui assistiamo ad una scena veramente drammatica perché l’innamorata Violet piange dicendo che la colpa non è di Theodore. E’ l’inizio della tragedia. Theodore scompare per giorni e non risponde alle continue chiamate di Violet che è in ansia, si distrugge dal dolore, parla prima con suo padre e poi va a trovare la sorella del giovane. E qui una seconda pièce tragica: Violet con gli occhi arrossati dice a suo padre che lei sta bene, che ama Theodore e gli racconta che lui l’ha salvata dal suo tentativo di suicidio, ma anche dei posti dell’anima e del cuore che hanno visitato e dove si sono innamorati; ed è proprio lì che il padre le consiglia di cercarlo, nei luoghi del loro amore. Violet, che per la prima volta prende l’auto che non guidava più dalla morte della sorella, raggiunge il “loro lago”, la Blue Hole, dove trova soltanto gli indumenti e il cellulare di Theodore.
Ci sono tre finali del film. Infatti assistiamo solo al funerale di Theodore, poi la scena (ed è il secondo finale) si sposta su Violet che, durante la presentazione del progetto a scuola, racconta di come Theodore abbia cambiato la sua vita in meglio. Perché lui, con la sua vitalità, il suo amore, la sua presenza, ha reso la sua vita migliore e degna di essere vissuta, pensando ad ogni minimo dettaglio; infatti, nella camera di Theodore, Violet aveva scoperto, tramite il “diario di bordo” del suo ragazzo, quella che sarebbe dovuta essere la meta finale del loro viaggio: una cappella costruita per commemorare i morti di incidenti stradali, come era successo in passato alla sorella. Quando entra in chiesa, legge nel diario di bordo la scritta “Ero qui – TF”. Nel terzo finale del film vediamo che Violet torna da sola al lago, si tuffa come aveva fatto con Theodore, lasciandosi cullare dall’acqua a braccia aperte.
Le mie riflessioni
“Raccontami di un giorno perfetto” è un film del 2020 diretto da Brett Haley, adattamento del libro omonimo, edito nel 2015, scritto da Jennifer Niven, qui co-sceneggiatore.
Attraverso la scelta di alternare sequenze incentrate sui dialoghi e sulle azioni dei personaggi principali a flash di immagini accompagnate dalle riflessioni di Thoedore e Violet, il regista riesce a rendere il concetto di relatività del tempo: i momenti difficili sembrano durare molto più a lungo, in contrapposizione a quelli spensierati e felici che sono condensabili in pochi minuti di montaggio. Soprattutto nella parte finale del film, il regista riesce a costruire delle immagini piene di contenuti, quasi come delle fotografie d’autore, in grado di colpire lo spettatore risvegliando in lui le sensazioni provate in quei ‘luoghi’ quando li ha visti la prima volta attraverso gli occhi dei personaggi, come se li avesse visti lui stesso.
Questa è stata la mia ferma “sensazione”.
In questo modo è come se un attimo prima di giungere al finale, tutte le emozioni provate durante il film tornassero in superficie, una dopo l’altra, rendendo ancora più d’impatto il messaggio di speranza e incoraggiamento rivolto al pubblico: “Ci sono posti luminosi anche nei posti più bui e se non ne trovi uno, tu puoi essere quel posto luminoso, con le tue infinite capacità” dicono questi due ragazzi inquieti, incasinati e soli, perché “a nessuno piacciono quelli incasinati”. Il film riesce a far avvertire emozioni per la felicità, il senso di impotenza, paura, rabbia, desiderio e speranza, che si intrecciano in un progetto dove il tema principale sembra essere quello di ritrovare se stessi, anche nelle avversità, anche quando lo smarrimento, il buio dell’anima e il dolore sembrano avere il sopravvento. Perché Theodore non vede alcuna via dì uscita al suo stato di depressione e si sente un peso per la comunità e le persone accanto a lui: la sorella cerca di aiutarlo, dandogli man forte, ma non è abbastanza. Theodore non riesce a comprendere il senso di quanto ha vissuto e sta vivendo in quel momento. Il suo dolore è troppo forte, raggiunge la sua anima, e nemmeno l’amore è in grado di cambiare il suo stato d’animo.
Ciò che è certo, però, è che Violet, anche se per poco, gli ha salvato la vita, gli ha fatto provare emozioni nuove, lo ha fatto uscire dal suo senso di vuoto e gli ha permesso di esplorare se stesso e il mondo che lo circonda. Ma ha paura di fare del male a lei. E alla fine, però, ha vinto la sua malattia, il suo senso di inadeguatezza, appunto – e lo ripeto- la paura di fare male a Violet, il suo amore. Questo complesso stato d’animo di Theodore viene spiegato dal regista così: ”C’è stata una decisione consapevole, per me personalmente, di non concentrarmi sulle “tendenze suicide” di Finch che forse erano nel libro. Questa è stata la mia visione del film. Stiamo affrontando il dolore di Violet e abbiamo a che fare con un altro personaggio con una malattia mentale non diagnosticata, che nasconde questo trauma. Le persone possono mettere gli altri in pericolo a causa di malattie mentali incontrollate, e questa è ciò che abbiamo cercato di trasmettere attraverso “Raccontami di un giorno perfetto”. L’obiettivo – prosegue Brett Haley – era catturare lo spirito del libro di Jennifer, l’emozione del suo libro, lo spirito di Finch e Violet, la loro storia d’amore e ciò che quei personaggi significano per i fan. Ogni scena è inclusa? No. Ci sono stati cambiamenti? Ovviamente. È solo una parte del processo”.
Certo raccontare la depressione (una patologia che sta determinando parecchi suicidi), il “male oscuro” soprattutto dei giovani, non è una impresa facile, sicché si comprende come sia disegnata a tutto tondo la figura di Violet che ce la fa, che esce pian piano dal buio della depressione, per poi diventare ombra e infine librarsi libera nella stupenda scena finale. Ma proprio questa scelta, a mio parere, rende molto più tragica la figura di Theodore Finch: la sua malattia, messa in evidenza dalle pause e dal non detto, la sua depressione, il buio totale della sua mente e dei suoi pensieri appena descritti dal suo “diario di bordo”, fanno veramente paura. E la complessità, la profondità di Theodore la si comprende appieno nei suoi dialoghi nel film:
“Ci sono posti luminosi anche nei posti più bui e se non ne trovi uno, tu puoi essere quel posto luminoso, con le tue infinite capacità.”
“A nessuno piacciono quelli incasinati.”
“Di tanto in tanto mi perdo. Non amano gli incasinati.”
“E se potessimo semplicemente tagliare il male e mantenere il buono?”
“Sei tutti i colori in uno, nel loro massimo splendore.”
“Prima di morire voglio… restare sveglio.”
“A volte, ho bisogno di fare cose che mi ricordano che io ho il controllo.”
“Ho paura di me.”
“Per quello che vale, mi hai mostrato che esiste un giorno perfetto.”
Ma perché fanno paura?
Perché il male oscuro può anche non fermarsi come sovente accade, può esplodere in pochi secondi. E il chiamarsi comunque fuori dalla vita, in questo film è segno di “coraggio”.
E perché “coraggio” in un suicida? Perché togliersi la vita non è cosa di poco conto, è il frutto alcune volte di “una sana follia” non egoistica, ma dettata dall’amore: non fare del male a chi si ama. Infatti Thoedore allontana bruscamente Violet, le dice di andarsene via perché non vuole farle del male. Ecco perché si toglie di mezzo lasciando che Violet navighi nella sua dolce e tenera dimensione della libertà che lui le ha procurato con il suo amore.
Libertà/felicità (?) incastonata, come un quadro o una foto ad alta definizione, nella scena finale quando Violet si tuffa e si bagna da sola nella Blue Hole come aveva fatto con il suo Theodore, si sdraia, si appoggia sull’acqua e spalanca le braccia protese al cielo. Sicuramente verso Gesù/Theodore.
E’ questo il racconto di “Un giorno perfetto”.
Nicola Raimondo
Frasi del film
“Mi ha insegnato a meravigliarmi, mi ha insegnato che non serve scalare una montagna per sentirsi in cima al mondo che anche i luoghi più brutti possono essere bellissimi se ti concedi il tempo per guardarli mi ha insegnato che fa bene perdersi se si trova la strada per tornare.” (Violet)
“Ci sono posti luminosi anche nei posti più bui e se non ne trovi uno, tu puoi essere quel posto luminoso, con le tue infinite capacità.” (Theodore)
“A nessuno piacciono quelli incasinati.” (Theodore)
“Di tanto in tanto mi perdo. Non amano gli incasinati.” (Theodore)
“Sei tutti i colori in uno, nel loro massimo splendore.” (Theodore)
“Prima di morire voglio… Restare sveglio.” (Theodore)
“A volte, ho bisogno di fare cose che mi ricordano che io ho il controllo.” (Theodore)
“Ho paura di me.” (Theodore)
“Per quello che vale, mi hai mostrato che esiste un giorno perfetto.” (Theodore)
“Cosa è che ti fa più paura?” (Theodore)
“Essere ordinaria.” (Violet)
“Allora non esserlo.” (Theodore)
“E se potessimo semplicemente tagliare il male e mantenere il buono?” (Theodore)