I padri dell’architettura sono famosi, un po’ meno le madri: eppure senza di loro la storia non sarebbe stata la stessa.
“L’Architettura è un mestiere da uomini, ma ho sempre fatto finta di niente”: così, con l’imperturbabile calma e sicurezza che la distinguevano, era solita rispondere Gae Aulenti alla solita osservazione sul genere predominante nella professione d’architetto. Eppure, nonostante rivoluzionarie e brillanti figure femminili, nel mondo dell’architettura i nomi maschili sono più numerosi e più noti.
E, forse, non c’è da sorprendersi se si pensa che l’Arte e l’Architettura sono lo specchio delle Società.
L’antico Tao orientale ha meditato sul tema. I due poli estremi, Yin e Yang, sono i due poli contrari, che con una dinamica ciclica si attraggono (si equilibrano) e si scambiano i ruoli. Il bene e il male, la luce e il buio, l’uomo e la donna. “La persona che ha raggiunto il Tao perfetto è buono e cattivo al tempo stesso. Ciclicamente“. Se uno dei due poli scompare dal ciclo, perché sopraffatto dall’altro, il mondo collassa. “Un uomo sa di essere un vero uomo solo quando contiene dentro se stesso la parte femminile”. E viceversa. All’uomo la lucidità razionale Yin, alla Donna la dolcezza emotiva Yan.
A livello professionale, le divaricazioni sono tutt’ora esistenti. La Donna nella storia dell’Arte è sembrata per troppo tempo quasi assente.
L’Architettura risponde meglio a questi quesiti, almeno in tempi più recenti. È il miglior campo della battaglia per un’affermazione artistica più esplicita, veloce, formalmente più “titolata” a farlo. Il numero e proporzione delle lauree femminili in Architettura aumenta, anche se la presenza attuale delle Donne Architetto è meno della metà degli Architetti Uomini. Meno “Donne Archistars“,e poche le Architetto donne alla guida di grandi Studi.
Maggiori le presenze femminili, invece, al fianco di grandi Archistars maschi. Qualcuno dice che è ancora un naturale senso di protezione, ovvero altrettanto naturale funzione di supporter, in ragione della maggiore incertezza emotiva maschile. La donna ispiratrice, la donna della storia è stata per l’uomo un irrinunciabile modello di bellezza “sublime”. L’Architettura (non solo l’Arte) delle origini era una esplicita dedica dell’uomo all’immagine femminile. Le colonne dei tempi greci astraevano il corpo femminile sfuggente, slanciato, astratto, stilizzato. Dallo stile dorico, fino al corinzio. La donna, assente come artefice, comunque presente nell’Architettura ginecomorfa. Ma ora la donna non vuole più soltanto il mito dell’immagine; rivendica una sua vita espressiva autonoma, non subita, non più come rappresentazione assente. La donna, del resto, non pensa in termini di Architettura antropomorfa, salvo che non si ispiri alla possanza maschile, come unico simbolo residuo.
Anche l’Urbanistica antica tendeva alla stilizzazione femminile. In certe astrazioni urbane compaiono immagini femminili metafisiche: forme addolcite ad “S”, piazze centrali, come grembi materni. L’ossessione maschile rimane la figura femminile come simbolo del bello. Le differenze oggi restano solo di tipo psicologico-comportamentale, razionale-emotivo, concreto-idealistico. Con i due lobi del cervello usati diversamente.
La città è un Indicatore, sensore massimo di tali differenze. Le donne e gli uomini vivono ed occupano la città e gli “spazi pubblici” in modo diverso. Gli uomini molto più gli spazi “esterni”, le donne quelli interni. Sarà proprio la diversità del consumo ordinario della città a costruire alcuni degli “indizi” di Architettura differenziata. Ancora una volta la città è parametro sintomatico di una intera socialità variegata.
L’interior Architecture (Architettura degli interni, abitare intimo, allestimento, arredamento) è più appropriato alla sensibilità “connaturata” della donna, che da sempre ha vissuto più tempo dentro la casa, Yang. L’uomo, viceversa, più portato all’Architettura degli esterni, con attenzione più forte agli spazi pubblici lunghi, Yin. La donna è disorientata nei grandi spazi. La maggiore propensione maschile è per l’Architettura estroversa nella città e nell’Urbanistica. L’Architettura femminile è più introversa e utilitarista. Nonostante la sua maggiore emotività.
Alcuni edifici speciali, tipicamente maschili (per esempio quelli dello sport) tendono oggi alla dilatazione urbana e di genere. Una volta erano calati dall’alto come aeronavi aliene incastrate nella città. Stanno diventando, invece, le nuove “agorà” multiuso della intera città.
Zaha Hadid ha esaltato questa visione urbana, con il suo progetto dello Stadio Al Wakrah di Tokyo, con una suggestione fluidamente e dinamicamente “aperta” alla città. La donna è capace delle più grandi contraddizioni. È il bello della donna e delle sue Architetture.
Il Paesaggio e l’Ambiente sono più appropriati alla maggiore sensibilità femminile, dove la Donna sembra che stia avanzando più decisamente. Le prime donne a svolgere la professione di paesaggista e progettista di giardini furono americane: Ellen Biddle Shipman e Beatrix Farrand che ebbero importanti studi a New York. Successivamente anche la Gran Bretagna vide l’affermazione di donne tra gli architetti del paesaggio e in Italia fu Maria Teresa Parpagliola la prima indiscussa protagonista del settore, citata dal The Oxford Companion to Gardens come “uno degli architetti paesaggisti più rilevanti del ventesimo secolo”. Il valore della progettazione ambientale, la valorizzazione del verde pubblico in sinergia con quello privato, la funzione estetica e sostenibile dell’architettura del paesaggio, accompagnano l’intera esperienza professionale di Maria Teresa nella ri-progettazione degli spazi, diventando una delle poche donne della sua generazione che riescono, nel periodo tra le due guerre e nel secondo dopoguerra, a ritagliarsi uno spazio nel nuovo campo professionale dell’architettura del paesaggio.
Tra i suoi progetti si ricordano il parco dell’Albergo Cavalieri Hilton nel 1963, l’atrio della Rai di Viale Mazzini nel 1966 e l’intero progetto del verde stradale e dei giardini pubblici e privati della città-giardino di Casal Palocco, sempre a Roma.
I “grattacieli” sono velleità ardite maggiormente degli uomini. Le donne ancora ne sono escluse o non sono d’accordo con la tipologia “grattacielo”, forse per una questione di “sostenibilità”, concetto, anche questo, fortemente più sentito dalla donna.
Il Grattacielo “Aqua Tower” di Chicago di Jeanne Gang è, con ben 82 piani, il più alto costruito da una donna. Con una serie di balconate curve, che ammorbidiscono dall’alto la “vertigine del paesaggio”, sortendo a sorpresa da un nucleo vetrato, quasi a significare il “vedo e non vedo”. Sostenibilità psicologica.
Gli altri progetti di Grattacieli appartengono alla già citata compianta Zaha Hadid, che non si è fermata davanti a nulla (nelle immagini di seguito due esempi dei suoi innumerevoli grattaceli).
Tra le professioniste che hanno rivoluzionato il mondo dell’architettura c’è anche l’italiana Gae Aulenti, la prima donna architetto a trasformare un edificio industriale in un museo, come avvenuto per il Musèe d’Orsay di Parigi: situato in un’ex stazione ferroviaria, grazie al genio visionario di Aulenti, “impegnata a trovare la bellezza nell’utilità”, è diventato uno dei centri culturali più belli del mondo.
Un altro nome che risalta nella lista è quello di Lina Bo Bardi, nata in Italia e naturalizzata brasiliana, che lavorò tutta la vita per coniugare le forme ricercate degli edifici da lei progettati con la loro funzione sociale. Tra i suoi progetti più significativi, il Museo di Arte Moderna di San Paolo.
L’esperienza, la caparbietà e la professionalità di tutte queste donne, del passato e del presente, devono ispirare le nuove generazioni. Non viviamo in un mondo di uomini: è solo che la storia delle donne non è mai stata raccontata. Ma questa è una cosa destinata a cambiare molto presto.
Luciana Montrone