Vinicio Capossela: genio e sregolatezza

La vita.
Vinicio Capossela nasce (per puro caso) in Germania il 14 dicembre 1965 e si impone sulla scena artistica come cantautore, polistrumentista e scrittore, portando con sé le sue origini, perché suo padre è di Calitri e sua madre di Andretta, due paesi in provincia di Avellino. Subito dopo la sua nascita, la famiglia Capossela rientra in Italia per sistemarsi a Scandiano in provincia di Reggio Emilia. Qui Vinicio cresce artisticamente perché incontra Francesco Guccini che, notandone il genio, lo porta al Club Tenco dove di fatto esplode la sua carriera artistica. Infatti – siamo nel 1990 – lui esce alla ribalta con il suo primo album “All’una e trentacinque circa” che si aggiudica la Targa Tenco come opera prima.
A questo, segue il famoso “Modì” che prende il nome dalla canzone omonima dedicata al grande Modigliani. Si tratta di una ballata lenta e commovente che racconta la storia d’amore tra Modigliani e Jeanne Hébuterne, e la sua originalità consiste nel fatto che tale vicenda amorosa viene raccontata dal punto di vista della donna. Nell’album figura la bellissima  “… e allora mambo” che poi Vinicio riprenderà, mescolandola, nella sua celeberrima “Che coss’é l’amor” con la quale Vinicio si esibisce in una stupenda interpretazione al Festival Tenco.
Il ritorno, anche artistico, di Vinicio al suo Sud arriva subito con “Camera a sud”, che contiene il celeberrimo e già citato brano “Che coss’è l’amor”, inserito nella colonna sonora de “L’ora di religione” di Marco Bellocchio e poi nel film di esordio di Aldo, Giovanni e GiacomoTre uomini e una gamba”, con Marina Massironi.
Nel 1996 esce “Il ballo di San Vito”,  l’album che costituisce una svolta nel lavoro di Vinico che lo definisce “non un disco, ma una vicenda”. E tuttavia, canzoni come “Accolita dei rancorosi” – brano liberamente tratto dal libro “La confraternita del Chianti” di John Fante -, “L’affondamento del Cinastic” e  “Il Corvo Torvo”, disvelano i riferimenti letterari di Vinicio, che segue la fortissima influenza del cantautore americano Tom Waits, figura di riferimento già presente nei dischi precedenti e che continuerà a contrassegnare fortemente Capossela anche nei concerti dal vivo.
Nel gennaio del 1997 Vinicio partecipa alla 2ª edizione del Lombardia Festival dove si segnala con “La pioggia di novembre” e “Tanco del Murazzo”.
Nel 2001, ospite della trasmissione televisiva Satyricon di Daniele Luttazzi, esegue alcuni brani tratti dall’album “Canzoni a manovella” che viene premiato con la Targa Tenco come migliore album dell’anno, a pari merito con  “Amore nel pomeriggio” di Francesco De Gregori, risultato, questo, che lo pone a ragione nell’olimpo dei cantautori.
Ma Vinicio non si ferma e si confronta anche con delle cover veramente notevoli, come quella di “Si è spento il sole” di Adriano Celentano, inserita nell’album raccolta “L’indispensabile” del 2003.
Il terzo Premio Tenco arriva del 2006 quando pubblica l’album “Ovunque proteggi”, da cui vengono estratti come singoli radiofonici “Brucia Troia”, “Medusa Cha Cha
Cha
” e “Dalla Parte di Spessotto”, a riprova del grande successo commerciale di un disco che raggiunge il secondo posto nella classifica di vendita dopo pochi giorni dalla sua pubblicazione.
Il 2006 può essere considerato il suo anno, non solo per lo straordinario successo del cd “Nel niente sotto il sole – Grand tour 2006” riguardante appunto il tour di “Ovunque proteggi“, ma anche sotto il profilo sociale e politico nel difendere la terra dei suoi genitori e quindi le sue radici: il 18 agosto 2008, per protestare contro la decisione del Governo Berlusconi di creare un discarica sull’Altopiano del Formicoso in località Pero Spaccone, tiene un concerto ad Andretta (come detto, paese natio della madre) per sostenere la causa delle popolazioni locali. Durante il concerto, oltre alle canzoni del suo repertorio, si diverte a leggere e cantare stornelli e canti popolari dell’Alta Irpinia e alcune reinterpretazioni del grande cantautore popolare Matteo Salvatore (di cui Vinicio è un autentico tifoso) insieme agli amici della Banda della Posta di Calitri (formata da Matalena, Tottacreta, il Parrucchiere e Rocco Briuolo) e “Ciccillo” Di Benedetto, lo storico ristoratore citato nella canzone “Al veglione”.
Nel 2008 esce il suo decimo album “Da solo”, che lo fa entrare fra i finalisti nella Targa Tenco 2009 come miglior disco dell’annata. Ma il suo impegno sociale non si ferma alle terre dei suoi genitori, perché Il 29 luglio 2009 Vinicio partecipa gratuitamente al concerto per le popolazioni colpite dal terremoto a Fossa con il cabarettista abruzzese ‘Nduccio. E sempre nel 2009 partecipa come attore e cantante nell’originale ed interessantissimo film “Dieci inverni” di Valerio Mieli, che partecipò alla 66ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e che ha come brillanti interpreti i bravissimi Isabella Ragonese e Michele Riondino, con cui Vinicio instaurerà un forte legame sul piano umano e professionale.
Oramai Vinicio è giustamente e doverosamente acclamato come uno dei migliori e più ecclettici cantautori, con continue richieste di esibizioni e concerti, e i premi che gli vengono riconosciuti ne sono la tangibile dimostrazione:
– 24 settembre 2009 – premio alla carriera all’ottava edizione del Premio Carosone;
– 27 gennaio 2010 – partecipa a Cracovia alle celebrazioni per il Giorno della Memoria;
-1º maggio 2010 – partecipa al Concerto del Primo Maggio in piazza San Giovanni a Roma;
– 7 ottobre 2011 – dopo la pubblicazione dell’album “Marinai, profeti e balene”, Dori Ghezzi gli consegna il Premio De Andrè alla carriera, riconoscimento prestigiosissimo che suggella il suo indiscusso primato di originale cantautore;
– 11 agosto 2013 – riceve a Cittanova (RC) il “Riccio d’Argento” della 27ª edizione di “Fatti di Musica”, Premio ai Migliori Live d’Autore dell’anno, per il tour seguito alla pubblicazione dell’album  “Banda della Posta”, concepito e prodotto insieme al suo
chitarrista Asso Stefana;
– 15 agosto 2013 – si esibisce in piazza Plebiscito, a Ceglie Messapica (Br), nell’ambito del festival “La Ghironda”, accompagnato dalla “Banda della Posta”;
– 1º maggio 2014 – si esibisce a Taranto, sempre con la “Banda della Posta” in occasione del concerto del Primo Maggio organizzato dal Comitato dei cittadini e lavoratori liberi e
pensanti, con la partecipazione, tra gli altri, di Michele Riondino (anche nei panni di direttore artistico), Luca Barbarossa, Caparezza, Afterhours, Sud Sound System, Fiorella Mannoia e Paola Turci;
– 2013 e 2014 – crea e dirige lo Sponz Fest ispirato alla tematica del “treno”, ospitando musicisti come Howe Gelb, Tinariwen, Robyn Hitchcock, Guano Padano, Dimitris Mistakidis, Giovanna Marini, Francesca Breschi, Otello Profazio, Sacri Cuori, Fanfare Ciocărlia e altri, scrittori come Dan Fante e Vincenzo Costantino Cinaski, attori come Enrico Salimbeni, Mago Wonder, Sabrina Impacciatore e Neri Marcoré e giornalisti come Antonello Caporale, Cico Casartelli ed Enrico de Angelis;
– 5 maggio 2016 – pubblica l’album “Canzoni della Cupa”.
Pur debilitato da una delicata operazione alle corde vocali, Vinicio non si ferma e nel 2019 esce con il singolo “Il Povero Cristo” che anticipa il suo nuovo e undicesimo album “Ballate per uomini e bestie”, pubblicato il 17 maggio 2019, album che sarà seguito da un tour.
Nel gennaio 2020 pubblica, in collaborazione con il trapper di Cesena Young Signorino, il singolo “+Peste” che riprende il brano “La peste” presente in “Ballate per uomini e bestie”.
Nel febbraio dello stesso anno esce “Bestiario d’amore”.
Poi la pandemia causata dal covid19 interrompe il suo vertiginoso vagabondare in tutte le piazze d’Italia, in particolare quelle da lui preferite in Puglia (a Taranto), in Basilicata (Matera) e nella sua Irpinia.

Le mie riflessioni.
Premetto che io sono stato letteralmente “folgorato” da questo grande artista, poeta e cantautore, quando tanti anni orsono, a Maratea, quel piccolo lembo della Basilicata che si affaccia sul Tirreno all’immediato confine con la costa meravigliosa del Cilento, lo ascoltai, in una notte di inoltrata primavera tra il profumo della salsedine del mare e la vegetazione di quel luogo, in un concerto dal vivo che mi sbalordì. Credo che fosse il 1994 e che presentasse per la maggior parte l’album “Camera a Sud”. Di Vinicio Capossela sapevo poco, se non pochissimo, e quello che più mi colpì furono la sua poliedricità nel suonare ogni tipo di strumento, in particolare il piano, la fisarmonica e la chitarra.
Ma quello che più mi “intrigò” fu il fatto che lo spettacolo, trascinato da un pubblico in delirio che come me batteva le mani in maniera ininterrotta, durò quasi tre ore. E non era nei patti economici del villaggio che ci ospitava, che il concerto durasse più del doppio del normale.
Vinicio é uno che si concede totalmente al pubblico e lo fa ancora oggi, nonostante il delicato intervento chirurgico alle corde vocali e la notevole celebrità che lo accompagna da tempo. Inoltre mi colpì il suo girovagare o, meglio, divagare verso melodie antiche, sicché non è un caso che abbia avuto il Premio Carosone, un premio -intendiamoci- riconosciuto solo a chi di musica se ne intende.
In quell’indimenticabile e magico concerto mi trovai, tra le tante sua composizioni a me sconosciute, di fronte ad una interpretazione, per piano e voce di “Core ‘ngrato” con un commento ironico da parte sua nel finale del famoso brano. Con un’affabulazione veramente notevole lui raccontò che in questa grande canzone lo aveva colpito la figura del confessore e, con molta ironia, concluse che questi consigliava all’amico “lassala sta a chella” cioè lasciala stare, con grande risate da parte del pubblico.

La produzione poetica e musicale di Vinicio Capossela è veramente imponente e si qualifica soprattutto nel fatto che lui rigorosamente, escluse pochissime cover, interpreta canzoni con testi e melodia scritti rigorosamente da lui. D’altronde, non è senza significato che lui abbia vinto parecchi premi Tenco e che la sua consacrazione come grande e originale cantautore sia avvenuta, a mio parere, proprio con la consegna, direttamente da parte di Dori Ghezzi, del Premio Fabrizio De Andrè alla carriera, che lo pone sulle orme del grande Faber.
Del resto, basterebbe esaminare nel dettaglio la produzione dei suoi album per rendersene conto.
Album registrati in studio: 1990 – All’una e trentacinque circa; 1991 – Modì;1994 – Camera a sud; 1996 – Il ballo di San Vito; 2000 – Canzoni a manovella; 2006 – Ovunque proteggi; 2008 – Da solo; 2011 – Marinai, profeti e balene; 2012 – Rebetiko Gymnastas; 2016 – Canzoni della cupa; 2019 – Ballate per uomini e bestie;
Album registrati dal vivo e raccolte: 1998 – Liveinvolvo; 2006 – Nel niente sotto il sole – Grand tour 2006; 2009 – Solo Show Alive; 2003 – L’indispensabile; 2010 – The story-faced man; 2011 – La nave sta arrivando; 2021 – Bestiario d’amore.
Alla sua faraonica produzione sopraelencata, fatta di versi e melodie, si aggiunge il Vinicio Capossela autore di libri: 2004 – Non si muore tutte le mattine (Feltrinelli); 2009 – Vincenzo Costantino In clandestinità (Feltrinelli); 2013 – Tefteri (Il Saggiatore); 2015 – Il paese dei coppoloni (Feltrinelli). E se la autorevole casa editrice Feltrinelli lo ha tuttora tra i suoi scrittori, vuol dire che ci troviamo veramente di fronte ad un poeta, che va addirittura oltre la melodia delle sue canzoni, che canzonette non sono assolutamente.

Sotto tale profilo si comprende la mia enorme difficoltà a estrarre i “fiori” dalla sua produzione, perché i testi che qui di seguito vi presento sono veramente “perle” di altissima cifra poetica.
Peraltro Vinicio mi è molto vicino per altri e diversi motivi. Lui ama molto la Puglia, in particolare Taranto grazie alla sua amicizia con Michele Riondino, nonché la venerazione che lui ha per il defunto cantore pugliese Matteo Salvatore, il cantore della musica folk alla quale l’ultimo Capossela si è appassionato con studi profondi dei testi e delle melodie. Nel presentare i suoi testi, vi devo raccomandare, ove fosse conosciuta la melodia, di fare astrazione dall’ascolto della stessa; per alcuni brani, ho cercato di inserire una mia particolare riflessione, fatta sulla pelle, e, forse, nel ricordo di quell’incredibile concerto a Maratea nel 1994, dove non so se sono stato conquistato dai suoi versi o dalla sua melodia, oppure, come mi è più facile credere, entrambi.

Scivola vai via
Senza età
il vento soffia la
sua immagine
nel vetro
dietro il bar
gocce di pioggia
bufere d’amore
ogni cosa passa e lascia

Scivola,
scivola vai via
non te ne andare
scivola,
scivola vai via
via da me

Canzoni e poesie
pugnali e parole
i tuoi ricordi
sono vecchi ormai
e i sogni di notte
che chiedono amore
cadono al mattino
senza te
cammina da solo
urlando ai lampioni
non resta che cantare ancora

Scivola,
scivola vai via
non te ne andare
scivola,
scivola vai via
via da me

Credo che in tali versi è già contenuta la melodia, in quanto se facciamo la scansione, vediamo che la musica, per chi la conosce, viene dettata dalle parole, dai versi veramente struggenti. E’ questa la originalità dei testi di Vinicio: la poesia dei versi che nello stesso tempo è una malinconica cantata.
 
Non è l’amore che va via
Vai vai
tanto non è l’amore che va via
Vai vai
l’amore resta sveglio
anche se è tardi e piove
ma vai tu vai
rimangono candele e vino e lampi
sulla strada per Destino

Vai vai
conosco queste sere senza te
lo so, lo sai
il silenzio fa il rumore
dei tuoi passi andati
ma vai, tu vai
conosco le mie lettere d’amore
e il gusto amaro del mattino
Ma non è l’amore che va via
il tempo sì
ci ruba e poi ci asciuga il cuor
sorridimi ancor

non ho più niente da aspettar
soltanto il petto da uccello di te…
soltanto un sonno di quiete domani…
Ma vai, tu vai
conosco le mie lettere d’amore
e il gusto amaro del mattino
lo so lo sai
immaginare come un cieco
e poi inciampare
in due parole
a che serve poi parlare
per spiegare e intanto, intanto noi
corriamo sopra un filo, una stagione,
un’inquietudine sottile.
Ma non è l’amore che va via
il tempo sì,
ci ruba e poi ci asciuga il cuor
sorridimi ancor
non ho più niente da aspettar
soltanto il petto da uccello di te…
soltanto un sonno di quiete domani…

Certo, vai, vai via, non è l’amore che se ne va perché a che serve parlare per spiegare perché noi “corriamo sopra un filo, una stagione, una inquietudine sottile … per trovare un sonno di quiete domani”. Sono versi strettamente autobiografici e dolenti per una vita privata che Vinicio non ha mai avuto in maniera intensa, per essersi diviso dalla sua compagna appena dopo due anni di convivenza. E cosa è l’amore Vinicio lo spiegherà in altra maniera nel travolgente “Che coss’è l’amor”, cantata al Festival Tenco con un aggancio incredibile, musicalmente, a “Besame mucho”.

Che coss’è l’amor
Che coss’è l’amor
Chiedilo al vento
Che sferza il suo lamento sulla ghiaia
Del viale del tramonto
All’amaca gelata
Che ha perso il suo gazebo
Guarire alla stagione andata all’ombra
Del lampione san soucì
Che coss’è l’amor
Chiedilo alla porta
Alla guardarobiera nera
E al suo romanzo rosa
Che sfoglia senza posa
Al saluto riverente
Del peruviano dondolante
Che china il capo al lustro della settima Polàr

Ahi, permette signorina
Sono il re della cantina
Volteggio tutto crocco
Sotto i lumi dell’arco di San Rocco
Ma s’appoggi pure volentieri
Fino all’alba livida di bruma
Che ci asciuga e ci consuma

Che coss’è l’amor?
È un sasso nella scarpa
Che punge il passo lento di bolero
Con l’amazzone straniera
Stringere per finta
Un’estranea cavaliera
È il rito di ogni sera perso al caldo
Del pois di san soucì

Che coss’è l’amor?
È la Ramona che entra in campo
E come una vaiassa a colpo grosso
Te la muove e te la squassa
Ha i tacchi alti e il culo basso
La panza nuda e si dimena
Scuote la testa da invasata
Col consesso dell’amica sua fidata

Ahi, permette signorina
Sono il re della cantina
Vampiro nella vigna
Sottrattor nella cucina
Son monarca e son boemio
Se questa è la miseria
Mi ci tuffo con dignità da rey

Che coss’è l’amor?
È un indirizzo sul comò
Di un posto d’oltremare
Che è lontano
Solo prima d’arrivare
Partita, sei partita
E mi trovo ricacciato, mio malgrado
Nel girone antico, qui dannato
Tra gli inferi dei bar

Che coss’è l’amor?
È quello che rimane
Da spartirsi e litigarsi nel setaccio
Della penultima ora
Qualche Estèr da Ravarino
Mi permetto di salvare al suo destino
Dalla roulotte ghiacciata
Degli immigrati accesi della banda san soucì

Ahi, permette signorina
Sono il re della cantina
Vampiro nella vigna
Sottrattor nella cucina
Son monarca, son boemio
Se questa è la miseria
Mi ci tuffo con dignità da rey

Ahi, permette signorina
Sono il re della cantina
Volteggio tutto crocco
Sotto i lumi dell’arco di San Rocco
Son monarca, son boemio
Se questa è la miseria
Mi ci tuffo con dignità da rey

Qui devo sottolineare la incomprensibilità per Vinicio dell’amore in tutte le sue sfaccettature e declinazioni. E quella chimica non ragionata di un essere che è il re della cantina, è solo un indirizzo scritto sul comò, e che ti lascia “ricacciato, mio malgrado nel girone antico, qui dannato tra gli inferi dei bar”.

Parla piano
Parla piano e poi
Non dire quel che hai detto già
Le bugie non invecchiano
Sulle tue labbra aiutano
Tanto poi
è un’altra solitudine specchiata
Scordiamoci di attendere
Il volto per rimpiangere
Parla ancora e poi
Dimmi quel che non mi dirai
Versami il veleno
Quel che hai fatto prima
Su di noi
Il tempo ha già giocato, ha già scherzato
Ora non rimane che
Trovar la verità
Che ti dà, che ti dà
Nascondere negli angoli
Dire e non dire, il gusto di tradire una stagione
Sopra il volto tuo
Pago il pegno di
Volere ancora avere, ammalarmi di te
Raccontandoti di me
Quando ami qualcuno
Meglio amarlo davvero, e del tutto
O non prenderlo affatto
Dove hai tenuto nascosto finora chi sei
Cercare mostrare approvare una parte di sé
Un paradiso di bugie
La verità non si sa, non si sa
Come riconoscerla
Cercarla nascosta nelle tasche, i cassetti, il telefono
Che ti dà, che mi dà
Cercare dietro gli angoli
Celare i pensieri, morire da soli
In un’alchimia di desideri
Sopra il volto tuo
Pago il pegno di
Rinunciare a me non sapendo dividere
Dividermi con te
Che ti dà, che mi dà
Affidarsi a te, non fidandomi di me
Sopra il volto tuo
Pago il pegno di
Rinunciare a noi
Dividerti soltanto
Nel volto del ricordo

Altri versi struggenti che, richiamando i precedenti, evidenziano un animo e uno stato dolente. Debbono essere tutti riletti questi versi, e soffermarsi un poco sugli stessi e domandarsi perché si deve parlare piano tra di noi.

Resta con me
Mi piange negli occhi
L’arte di star
Seduto nell’ombra
Ad ascoltar
Nessuno mai
Passa di qua
Su questa strada che
Non porta a me
Ma fa rumore
Di baci e parole
Mi passa la vita
Ad aspettar
E cade sui tacchi
Di chi sa danzar
Ah certo sì,
Tu lo sai far
Sul passo incerto
Del mio turbamento
Quando ti sento
Spogliarmi dal dolor
Resta con me questa sera
E balla ancora
Danza con me questa sera
Spogliami ancora
E’ notte e ci soffia all’orecchio
Che l’ora già muore
Assieme al nostro odore
A questo tuo sapore
Ti ride negli occhi
L’arte di amar
Accendi misteri
Senza parlar
Sorridi se
Io muoio in me
E siedi sull’orlo
Dei miei pensieri che
La notte sa
Portare a te
Resta con me questa sera
E balla ancora
Danza con me questa sera
Spogliami ancora
E’ notte e ci soffia all’orecchio
Che l’ora già muore
Assieme al nostro odore
A questo tuo sapore
Tu lo sai far
Sul passo incerto
Del mio turbamento
Quando ti sento
Spogliarmi dal dolor
Resta con me questa sera
E balla ancora
Danza con me questa sera
Spogliami ancora
E’ notte e ci soffia all’orecchio
Che l’ora già muore
Assieme al nostro odore
A questo tuo sapore
Ti ride negli occhi
L’arte di amar
Accendi misteri
Senza parlar
Sorridi se
Io muoio in me
E siedi sull’orlo
Dei miei pensieri che
La notte sa
Portare a te
Resta con me questa sera
E balla ancora
Danza con me questa sera
Spogliami ancora
E’ notte e ci soffia all’orecchio
Che l’ora già muore
Assieme al nostro odore
A questo tuo sapore

Con una rosa
Con una rosa hai detto
Vienimi a cercare
Tutta la sera io resterò da sola
Ed io per te.
Muoio per te.
Con una rosa sono venuto a te
Bianca come le nuvole di lontano
Come una notte amara passata invano
Come la schiuma che sopra il mare spuma
Bianca non è la rosa che porto a te
Gialla come la febbre che mi consuma
Come il liquore che strega le parole
Come il veleno che stilla dal tuo seno
Gialla non è la rosa che porto a te
Sospirano nell’aria le rose spirano
Petalo a petalo mostrano il color
Ma il fiore che da solo cresce nel rovo
Rosso non è l’amore
Bianco non è il dolore
Il fiore è il solo dono che porto a te
Rosa come un romanzo di poca cosa
Come la resa che affiora sopra al viso
Come l’attesa che sulle labbra pesa
Rosa non è la rosa che porto a te
Come la porpora che infiamma il mattino
Come la lama che scalda il tuo cuscino
Come la spina che al cuore si avvicina
Rossa così è la rosa che porto a te
Lacrime di cristallo l’hanno bagnata
Lacrime e vino versate nel cammino
Goccia su goccia, perdute nella pioggia
Goccia su goccia le hanno asciugato il cuor
Portami allora portami il più bel fiore
Quello che duri più dell’amor per sé
Il fiore che da solo non specchia il rovo
Perfetto dal suo cuore
Perfetto dal dolore
Prefetto dal dono che fa di sé

E qui anche questi eleganti e dolorosi versi debbono essere riportati come se fosse prosa, anche per soffermarsi un po’ e capire cosa è la rosa bianca, la schiuma che sopra il mare schiuma, cosa è la rosa gialla, rosso non è l’amore e bianco non è il dolore; e infine “portami allora portami il più bel fiore, quello che duri più dell’amor per sé, il fiore che da solo non specchia il rovo, perfetto dal suo cuore, perfetto dal dolore, perfetto dal dono che fa di sé”.

Il povero Cristo 
Il povero Cristo
È sceso dalla croce
Per prima cosa ha preso
La condizione atroce:
Amar la vita è vivere
Ed essere felici
Amar la vita è vivere
Sapendo di morire
Ma invece di un fratello
Vedere nel suo simile
Il primo da affogare
Sebbene un po’ più debole
Il povero Cristo
Ha visto com’è l’uomo
Che, povero cristo
Mangia verza e patate
Intanto chi gli è sopra
Si gode ori e alloro
E ammucchia per sé solo
Ricchezze smisurate
Ma appena gliele ha tolte
Non divide in uguaglianza
Ma del padrone apprende
Il pensiero e l’arroganza
E intanto nel mondo
Una guerra è signora della Terra
Il povero Cristo
È sceso dalla croce
Si è messo sulla strada
E va ascoltando voci
C’è chi lo tira a destra
Chi lo spoglia a sinistra
Tutti lo voglion primo
Nella loro lista
Ma piuttosto che da vivo
A dare il buon ufficio
È meglio averlo zitto
E morto in sacrificio
E intanto nel mondo
Una guerra è signora della Terra
E intanto nel mondo
Una guerra è signora della Terra
Il povero Cristo
È sceso dalla croce
E cristo come era
Ha incontrato l’uomo
Aveva un paio di baffi
E un coltello da affilare
Lo sguardo torvo
Non smetteva di sfilare
Gli ha detto: “Cristo, spostati
E lasciami passare
Non voglio sentir prediche
Ho già molto da fare”
E intanto nel mondo
Una guerra è signora della Terra
Il povero Cristo
È sceso dalla croce
E ha visto che per l’uomo
Non può esserci unità
Una cosa sola
Cattiva oppure buona
Ma pezzi frantumati
Come è stato creato
Dovrà sempre mentire
A chi gli sta vicino
Perché c’ha dentro il cuore
Le stanze di un casino
E intanto nel mondo
Una guerra è signora della Terra
E intanto nel mondo
Una guerra è signora della Terra
Il povero Cristo
È tornato sulla croce
Con il dono che
A tutti qui ha portato:
La Buona Novella
Dove per scritto è messo
“Ama il prossimo tuo
Come fosse te stesso”
Ma troppo era difficile
Forse anche oltre l’umano
Così si è ritirato
All’uomo ha rinunciato
Una veste di silenzio
Si è cucito addosso
Il povero Cristo
Tace, grida all’uomo
A più non posso

Ultimo amore
Fresca era l’aria di giugno
e la notte sentiva l’estate arrivar
Tequila, Mariachi e Sangria
la fiesta invitava a bere e a ballar
lui curvo e curioso taceva
una storia d’amore cercava
guardava le donne degli altri
parlare e danzare
e quando la notte è ormai morta
gli uccelli sono soliti il giorno annunciar
le coppie abbracciate son prime
a lasciare la fiesta per andarsi ad amar
la pista ormai vuota restava
lui stanco e sudato aspettava
lei per scherzo girò la sua gonna
e si mise a danzar
lei aveva occhi tristi e beveva
volteggiava e rideva ma pareva soffrir
lui parlava stringeva ballava
guardava quegli occhi e provava a capir
e disse son zoppo per amore
la donna mia m’ha spezzato il cuore
lei disse il cuore del mio amore
non batterà mai più
e dopo al profumo dei fossi
a lui parve in quegli occhi potere veder
lo stesso dolore che spezza le vene
che lascia sfiniti la sera
la luna altre stelle pregava
che l’alba imperiosa cacciava
lei raccolse la gonna spaziosa
e ormai persa ogni cosa
presto lo seguì
piangendo urlando e godendo
quella notte lei con lui si unì
spingendo, temendo e abbracciando quella notte
lui con lei capì
che non era avvizzito il suo cuore
e già dolce suonava il suo nome
sciolse il suo voto d’amore
e a lei si donò
poi d’estate bevendo e scherzando
una nuova stagione a lui parve venir
lui parlava inventava giocava
lei a volte ascoltava e si pareva divertir
ma giunta che era la sera
girata nel letto piangeva
pregava potere dal suo amore
riuscire a ritornar
e un giorno al profumo dei fossi
lui invano aspettò di vederla arrivar
scendeva ormai il buio e trovava
soltanto la rabbia e il silenzio di sera
la luna altre stelle pregava
che l’alba imperiosa cacciava
restava l’angoscia soltanto
e il feroce rimpianto
per non vederla ritornar
il treno è un lampo infuocato
se si guarda impazziti il convoglio venir
un momento, un pensiero affannato
e la vita è rapita senza altro soffrir
la poteron riconoscere soltanto
dagli anelli bagnati dal suo pianto
il pianto di quell’ultimo suo amore
dovuto abbandonar
lui non disse una sola parola
no, non dalla sua gola un sospiro fuggì
i gendarmi son bruschi nei modi
se da questi episodi non han da ricavar
così resto solo a ricordare
il liquore pareva mai finire
e dentro quel vetro rivide
una notte d’amor
quando dopo al profumo dei fossi
a lui parve in quegli occhi potere veder
lo stesso dolore che spezza le vene
che lascia sfiniti la sera
la luna altre stelle pregava
che l’alba imperiosa cacciava
a lui restò solo il rancore
per quel breve suo amore
che mai dimenticò

Allora come per il passato, mi domando: cosa sono questi versi struggenti? Come si pongono rispetto ai versi non “contaminati” dalla musica? Cosa rappresentano nel panorama mondiale della poesia? Questi versi sono vera poesia, la poesia che porta al cuore, senza la mediazione delle stimmate, alcune volte devianti, della ragione.
Poesia che raggiunge i più remoti ed intimi recessi del nostro animo, di tutti gli animi per la loro universalità ed eternità.
Al di là e al di sopra del tempo dello spazio, alla ricerca della quota del nostro sentire.

Nicola Raimondo

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1 commento su “Vinicio Capossela: genio e sregolatezza

  1. Simona Rispondi

    Come si può essere poeti così? Come si può sentire così la vita e restituirla cosi umida di rugiada, come quelle sue parole cadute al mattino senza lei.
    Io vorrei essere poeta come lui per restituirgli un po’ di quella vita che dona con i suoi versi.

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