Il lavoro dell’archeologa è quello di scavare strato su strato, per riannodare, attraverso la ricerca di frammenti, di oggetti anche apparentemente insignificanti, fili e legami di memorie e di dimensioni temporali.
Rita Lopez, la scrittrice barese già apprezzatissima per le sue precedenti prove letterarie (“Apri gli occhi”, “Peccatori sconfitti e per di più insolenti”, “Vie d’uscita. Salvarsi con i Led Zeppelin, Bach e Nilla Pizzi”), con il suo nuovo romanzo “Fuori da ogni tempo” (Salento Books editore), presentato nelle scorse ore a Bari nel corso di un affollato incontro condotto da Marina Losappio Triggiani presso l’Istituto Salesiano Redentore, mette a frutto le lezioni impartitele dalla sua professione e “scava” nel suo intimo, allo scopo di consegnare al lettore un ritrovamento, un reperto profondamente celato, conducendolo per mano in un “gioco” di parallelismo temporale, di rievocazione e di passaggi da tempi antichissimi ai tempi attuali, seguendo un filo rosso preciso e percepibile.
Il legame infatti tra le storie narrate, quella di Beatrice, archeologa barese immersa nel grembo romano, e quelle di Flavia e Cornelia, sorelle in un non precisato tempo dell’antichità romana, è quello dell’amore e della ricerca di consapevolezza e di riscatto.
C’è sempre la continua ricerca di sé, del senso della vita nella storia di Beatrice, che passa dal Palatino alla sua amata Bari, al suo amato quartiere Libertà: amore e dedizione per le sue radici, amore e riconoscenza per la città che l’ha accolta, nel cui grembo si accoccola.
C’è amore nel meraviglioso rapporto descritto tra le due sorelle, giovinette patrizie, ambedue segnate da un destino ingiusto: quelle di essere sacrificate l’una come madre e moglie, l’altra come Vestale, custode del Fuoco sacro di Roma.
Comune a tutte le protagoniste, però, è la volontà di affrontare la vita, di provare a sovvertirne, anche per un solo attimo, il solco, cercando di agire sul suo corso, sempre alla ricerca di un senso vero e profondo.
È il senso vero della vita quello che Rita Lopez ci trasmette, o quantomeno questa è la suggestione più forte rimasta a chi scrive: non ci si salva da soli, la solidarietà, la condivisione sono “armi“ potentissime, in ogni tempo, fuori da ogni tempo.
E tutto questo nel romanzo della Lopez viene declinato in modo corale, tutto al femminile, e su tutte domina la figura materna .
La madre di Beatrice, la sua malattia, lo smarrimento dell’ essere: la sfida della figlia è quella, da brava archeologa, di recuperare e preservare sempre più frammenti di un‘esistenza da raccontare e da custodire .
E proprio dalla madre, icona luminosa ed autentica di donna del Sud, verrà la lezione più bella sul senso della vita.
Perché quando c’è amore, quando c’è condivisione, si trova la forza per andare avanti e per continuare a tracciare il solco della propria esistenza, quale esso sia .
Così farà Beatrice, così faranno Cornelia e Flavia: tutte legate da un‘unica dimensione, quella della forza e del coraggio, che le colloca fuori dal tempo e le rende modello per ciascuno di noi.
È una storia di “sorellanza”, di dedizione ed amore che ti resta dentro, ti scava e ti interroga sul senso della vita e su quante Vestali possano ancora esserci nel frammento temporale che ci è dato di vivere.
E tutta la sua narrazione, anche nei suoi epiloghi drammatici ed ingiusti, ci viene donata con leggerezza e maestria, con una capacità unica e preziosa di “volare “ nei tempi, di descrivere epoche, tradizioni e riti apparentemente lontanissimi, con la grazia e la leggerezza di una farfalla che si posa sul Palatino.
Lilli Arbore
Foto di Giacinto Magliocchi