Il vessillo tricolore, che per un mese ha accompagnato le gesta dei nostri calciatori Azzurri, ormai è stato ritirato da balconi e finestre. Il viaggio, conclusosi con Capitan Chiellini che solleva il trofeo europeo, si è dissolto come un bellissimo sogno dal quale ci si risveglia al mattino. Ma dieci giorni dopo da quella “Notte magica” inizia un sogno collettivo che veste i colori dei cinque cerchi olimpici. Con un contingente di 197 uomini e 187 donne, l’Italia parte all’assalto dei Giochi della XXXII Olimpiade. Il fuso orario non aiuta: non si riesce a stare incollati alla tv e a volte ci si perde la bellezza di vedere atleti che superano l’impossibile. Bisogna accontentarsi dei video di sintesi il giorno dopo. Ma anche se bandiere per strada non se ne vedono, molti di noi hanno esultato per le imprese dei nostri atleti. Le divise azzurre non sono indossate da strapagati calciatori che di mestiere fanno solo quello ma, nella stragrande maggioranza dei casi, da gente comune con un sogno di gloria nel cassetto e, se togliamo gli sport di squadra (pallavolo, pallacanestro e pallanuoto), le restanti discipline sono rappresentate da atleti che viaggiano in solitaria, ognuno con la sua fatica. E forse è proprio per questo che alcune gare ci emozionano più di altre, che alcune imprese ci portano in alto sulle nuvole. Perché riusciamo a vedere quanta dedizione ognuno di loro ha messo per raggiungere quel traguardo. Riusciamo quasi a vedere quel sogno che aleggia nei loro occhi e anche in quelli di molti di noi che chissà quante volte, da bambini, hanno immaginato di vincere almeno una medaglia.
Ci ha emozionato l’argento di Vanessa Ferrari al corpo libero, arrivato a trent’anni dopo una biografia fatta di infortuni, operazioni e quarti posti; l’argento e il bronzo di Greg Paltrinieri nel nuoto dopo che la mononucleosi lo aveva fortemente debilitato pochi mesi prima dei Giochi; l’oro di Federica Cesarini e Valentina Rodini che, dopo che una gastroenterite aveva fermato una delle due amiche del duo femminile di canottaggio, incredule di aver vinto, hanno festeggiato la vittoria cantando il nostro inno e tuffandosi in acqua da un molo di gara. E poi l’oro meraviglioso nel salto in alto, arrivato come un arcobaleno dopo quel brutto infortunio che aveva bloccato Gianmarco Tamberi poco prima delle Olimpiadi di Rio ma soprattutto giunto a sugellare l’amicizia con l’altro specialista, il qatariota Mutaz Barshim, e che ha fatto vedere al mondo come la gloria può essere condivisa sul gradino più alto del podio in barba all’egoismo. Ce ne sono tante di storie di caduta e rinascita dietro i volti dei nostri atleti ma anche e soprattutto storie di dedizione e voglia di superarsi. Così come si è superato Marcell Jacobs che ha infranto il precedente record europeo e sfiorato quello del giamaicano Usain Bolt, l’uomo più veloce del mondo correndo i 100 m piani in soli 9”80. C’è una storia dietro ognuna delle medaglie vinte dagli atleti azzurri, ma ce ne sono di belle anche dietro le medaglie mancate. Come la soddisfazione per la finale di Federica Pellegrini, disputata a trentatré anni e con un tempo di poco superiore al 1’55” (sua migliore performance nei 200 m stile libero) che la piazza al settimo posto. La quinta finale consecutiva ai Giochi Olimpici e che la consacra la prima atleta donna ad essere riuscita in questa impresa. Ma alle Olimpiadi non c’è solo il luccichio delle medaglie, c’è anche il loro rovescio, e per noi italiani c’è stata l’amara delusione di perdere ai quarti di finale le nostre squadre di pallavolo, basket, pallanuoto e beach volley. Squadre dalle quali ci si aspettava una medaglia, come ci si aspettava qualcosa in più dalla scherma, che così bene ci aveva abituati. Ma il bello dello sport, qualunque esso sia, è proprio questa capacità di portarci su e giù, su un’altalena di emozioni. Si soffre e si gioisce, si esulta e ci si amareggia, si vince e si perde e, al di là di ogni polemica che in questi giorni imperversa su social e giornali per tutto ciò che lo sport non ci sta regalando, resta l’immensa gioia per tutto quello che di inaspettato c’è stato, come la vittoria nei 100 m piani, e di vedere i nostri atleti sul podio ogni giorno perché, a differenza delle altre edizioni, questa è l’unica in cui abbiamo conquistato una medaglia in ogni giornata, almeno fino a questo momento. Mancano ancora tre giorni alla fine di questo evento mondiale e restano da vedere le imprese di alcuni dei nostri atleti. Non è un’utopia credere che si possa assistere a qualche altro piccolo miracolo. E mentre le parole corrono sullo schermo del mio pc, il pugliese Massimo Stano marcia per 20 km e ci regala un altro bellissimo oro che va a far compagnia al bronzo appena conquistato da Elia Viviani nell’omnium di ciclismo su pista.
Magari non ci saranno le bandiere ad adornare i balconi italiani, ma sentire l’Inno di Mameli risuonare nell’aria di Tokyo rende questa afosa estate italiana un po’ più colorata e fresca.
Mayra D’Aprile