Impreziosito dalla cornice di Piazza San Nicola, splende nell’ambito delle iniziative previste dal Comune di Bari per la “Festa del Mare” il debutto del Bari Piano Festival, giunto alla quarta edizione, con la direzione artistica di Emanuele Arciuli. Al pianoforte, Alexandre Tharaud, con un concerto solista.
Autentica piano star in Francia, ma conosciuto in tutto il mondo soprattutto per il suo tributo a Erik Satie e per essere l’esecutore di riferimento per Maurice Ravel, Tharaud brilla anche per la sua peculiarità: quella di non possedere un pianoforte in casa, preferendo studiare da amici o nei luoghi della musica. Sarebbe anche un compositore, ma tiene strettamente privato ciò che scrive.
Tharaud si offre con sensibilità al pubblico con una guida all’ascolto che svela le chiavi interpretative della sua esibizione, col seguente programma.
Jean-Philippe Rameau (1683-1764), dalla “Suite in La”: Allemande, Sarabande, Fanfarinette, Gavotte et doubles.
Franz Schubert (1797-1828), Quattro improvvisi op.90 D 899 1 in do minore, 2 in mi bemolle maggiore, 3 in sol bemolle maggiore, 4 in la bemolle maggiore.
Fryderik Chopin (1810-1849), Sonata n. 2 op. 35 in si bemolle minore: Grave – Doppio movimento, Scherzo, Marcia Funebre, Finale.
Il bis concesso è stato la Sonata in Re minore k. 141 di Domenico Scarlatti (1685-1757).
Le suite di Rameau (definito dall’artista come “gran nonno” della musica francese) sono state incise da Tharaud per Harmonia Mundi nel 2001, e rendono una sorprendente contemporaneità all’esecuzione e interpretazione di componimenti di metà del Settecento, che non manca di offrire spunti contemplativi pur nei fraseggi di orditura più fitta e virtuosistica. I pensamenti sono eterei, distaccando la musica dalla collocazione temporale e proiettandola in una dimensione senza tempo, adatta ad un salotto nobile d’epoca, così come alla colonna sonora di un film oltre il terzo millennio.
Il lavoro fatto su Schubert, un piano romantico che a detta di Tharaud ci dice “cose che non sappiamo di noi stessi”, è quello di una revisione totale dei centri di gravità dei suoi Impromptus, tale da dialogare con l’umanità del nostro tempo. E’ questa cosmogonia che permette all’ascoltatore, se mai incautamente dovesse distrarsi, di ritornare nell’orbita del concerto alla battuta successiva. Nel French touch aggraziato di cui il pianista è portatore antologico, sono finemente accentuate le concessioni interpretative a un lessico più fisico.
Chopin è reso in chiave orchestrale, un tappeto sonoro senza buchi in cui il pianoforte è tutto ed è unicum, culminando nella Marcia funebre e nel Finale. Ancora una volta, Tharaud guida l’ascoltatore verso una marcia che è sì conclusiva di tutta una vita, ma che nel respiro crescente cui è improntata l’esecuzione, non è una fine, bensì la ricerca di un aldilà migliore, della rifrazione oltre il prisma, della speranza che sia un fresco inizio.
Beatrice Zippo