Non è facile capire perché la musica brasiliana arriva così dritta al cuore.
Molta della tradizione cantautorale mondiale spazia dall’amore all’impegno civile, senza però avere la carica emotiva con cui il Brasile ammanta la sua musica. Quando il Brasile canta l’amore, non è solo una storia d’amore che si accende o finisce: è una storia di generazioni migranti da tutto il resto del mondo, a portare epidermidi e anime a vivere in Brasile; è un continente sterminato, a contenere tutte le scale delle emozioni; è una protesta contro regimi dittatoriali, a muovere esìli e altra saudade di ritorno, a trasferire il sentimento del singolo all’intelligenza collettiva.
Per questo, ogni volta che si ascolta musica brasiliana, specialmente della scuola popolare cui Chico Buarque appartiene, ci si prepara ad aperture che sono inattese.
Buarque, insieme a numerosi altri musicisti, fu arrestato e costretto all’esilio alla fine degli anni Sessanta per la carica sovversiva che la sua musica costituiva agli occhi dei gerarchi militari che avevano preso il controllo del Paese con la “Dittatura dei Gorillas”. Una parte dell’esilio l’ha trascorsa in Italia, dove ha registrato numerosi duetti con artisti nostrani, una gloriosa abitudine che Buarque non ha perso fino praticamente ai giorni nostri.
Inoltre, una lingua che non è la propria madre offre un velo di mediazione tra la mente e il cuore.
Invece Susanna Stivali sale sul palco cantando in Italiano, raccontandoci le cose della vita con la nostra grammatica, lasciando che esse deflagrino esattamente nel momento in cui le riconosciamo come nostre.
Per quest’altro prestigioso concerto organizzato al Teatro Forma di Bari dall’Associazione Nel Gioco del Jazz, con la Presidenza di Donato Romito e il coordinamento artistico dei M° Roberto Ottaviano e Pietro Laera, la Stivali annovera una formazione di virtuosi del jazz: Alessandro Gwis al pianoforte, Marco Siniscalco al basso e Marco Rovinelli alla batteria.
Il riscaldamento è affidato alla miliare “Oh, que será”, la cui impronta autorale si impone subito come universale, restando in equilibrio tra la ritmica del componimento originale e la chiave jazz.
È soave il canto di Susanna, dedicato alle donne cantate da Chico: “Morena dagli occhi d’acqua”, partecipata notevolmente da tutta la formazione sul palco; “Beatriz”, ispirata alla Beatrice della Commedia di Dante Alighieri, una favola ambientata in un settimo cielo ideale, vissuto o solo agognato; “Joana Francesa”, un volo tra Francia, Brasile e Italia, cantato anche da Mina e Capossela.
Il racconto si declina per due, stavolta amanti, una “Valsinha”, scritta a quattro mani con Vinícius de Moraes, un piccolo valzer che tira fuori dal fondo del cassetto una camicetta di gioventù, un carillon pianistico che protegge il rumore dei passi di danza, che proviene dagli albori dell’esistenza e si spegne nella notte del ricordo.
Il climax del concerto è riservato alla celeberrima “Construção”, brano dedicato alle morti bianche, un destino riservato perlopiù agli ultimi. Una canzone rumorosa come un cantiere, densa, circolare, meccanica e inesorabile, la preferita del pubblico.
Un assolo di batteria pazzesco corona il samba antonomastico, “Samba do grande amor”, divertito e divertente, a chiudere il concerto, prima del bis, dedicato a “Renata Maria”, scritta con Ivan Lins.
Il prossimo appuntamento è venerdì 26 novembre con l’omaggio al grande e compianto Gianni Lenoci e al suo “A Secret Garden”.
Beatrice Zippo