I mostri sono attorno a noi o sono dentro di noi? Gabriele Mainetti risponde con il suo “Freaks Out”, una storia favolistica di rinascita

Nel vocabolario della Treccani, un “mostro” è un essere che ha delle caratteristiche diverse da quelle che costituiscono la norma, e quindi genera stupore e paura; il suo aspetto è bizzarro e sgradevole, a volte spaventoso (può avere per esempio due teste, gli occhi sul petto, corpo di uomo e testa di animale e così via), e le sue dimensioni sono diverse da quelle umane. La parola stessa (dal latino monstrum, da monere) significa “portento”, “prodigio”, e può assumere sfumature ambivalenti.
Il mostro, però, è accostabile ai mirabilia, ai freak e ai cosiddetti “fenomeni da baraccone“.
Solo se guardato con occhi cattivi il mostro si carica – secondo il contesto – di una valenza fisica o morale.

Gabriele Mainetti, con il soggetto di Nicola Giaglianone, nella costruzione di questo “Freaks out” ha preso alla lettera le definizioni correnti di mostro. I capricci che la natura ci regala, qualcuno direbbe l’evoluzione, la loro specialità regnano sovrane in quest’opera immaginaria e per certi versi sognante. A differenza dei cartoon movie americani, in cui gli attori vorrebbero far pensare che la storia filmica sia apparentemente vera, in questo – come peraltro nel precedente Lo chiamavano Jeeg Robot, successo al botteghino del 2015 – tutto si muove con l’evidente volontà di rappresentare una sorta di fiaba ambientata nella Roma dolente dell’occupazione tedesca.

Lo scalcagnato Circo Mezzapiotta, di proprietà di Israel, ebreo errante, nei suoi giri (troppo pomposo chiamarli tour) esibisce quattro freaks: Matilde, una ragazza che produce elettricità e fulmina chiunque la tocchi, Cencio, un ragazzo albino capace di controllare tutti gli insetti, Fulvio, un “uomo bestia” affetto da ipertricosi, e per questo ricoperto di peli dalla testa ai piedi e dotato di forza sovrumana, e infine Mario un nano con un leggero ritardo mentale e la capacità di manipolare gli oggetti metallici.
I loro spettacoli sono modesti nella scenografia e poco pagati ma regalano con leggerezza e fantasia qualche minuto di gioia ad un pubblico povero che al di fuori del circo deve affrontare una vita più ricca di stenti che di gioie.
L’Italia però è divisa in due al sud gli alleati e la libertà a Roma il conflitto più aspro. Tutto questo mette a rischio la sopravvivenza del Circo, così Israel propone ai quattro di tentare il viaggio per l’America. Li convince e parte con i loro risparmi ma sparisce nel nulla.

Abbandonati. Così ritengono, tranne la piccola Matilde.
Fulvio propone di trovare lavoro presso il prestigioso Berlin Zircus, e tutti lo seguono sia pure con finalità differenti. Il circo a Roma, un sontuoso spettacolo allestito dai nazisti, è il regno di Franz, un pianista tedesco con sei dita per mano che possiede poteri di chiaroveggenza. Purtroppo per i nostri, il Zircus esiste allo scopo di radunare tutti i freaks della zona, che vengono sottoposti a terribili supplizi nel tentativo di individuare i salvatori di Hitler di cui Franz ha visto la morte.
Fuggiti vengono inglobati in un improbabile gruppo di partigiani che, a loro volta, fanno delle menomazioni subite dalla guerra il loro punto di forza.
Il finale ci riserverà qualche piccola sorpresa ma soprattutto una rinascita che gli effetti speciali “nostrani” rendono fantastica, senza la pretesa di apparire vera ma felicemente favolistica.

In questo film si apprezzano innanzitutto le scenografie, in particolare quelle dei due circhi, ed i costumi che fanno assomigliare i nostri protagonisti al mitico gruppo TNT, per i più anziani, o ai più moderni mostri di Zerocalcare.
Tra tutte si distinguono l’interpretazione dei due giovani attori Aurora Giovinazzo e Pietro Castellitto, mentre rimangono un po’ sullo sfondo, ma inscindibili dal contesto, le figure di Fulvio-Claudio Santamaria– e di Mario-Giancarlo Martini- con un curioso problema (che scoprirete al cinema). Apprezzabile Franz Rogowski-Franz-, forse in certi momenti un po’ eccessivo anche se ben calato in un personaggio eccessivo a sua volta. Una menzione a parte per l’ottima interpretazione di Giorgio Tirabassi, un Israel misurato come si conviene al personaggio e giustamente spaesato in un mondo alla deriva.

Insomma, un film che si fa vedere e seguire con attenzione, che non ha momenti di stanca o anche di passaggio.

Marco Preverin

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