“E mentre marciavi con l’anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore”
(Fabrizio De André “La Guerra di Piero”)
Nessuna canzone sarà mai scontata se il comportamento degli esseri umani continuerà a essere lo stesso, a ripetersi senza imparare nulla dalla storia. Fino a quando in nome dello strapotere di chi promette facili guerre lampo continueranno a morire soldati e civili, fino a quando le città e le famiglie verranno dilaniate per la stupidità dell’unica specie del pianeta che intende autoestinguersi, i versi di guerra saranno tristemente attuali, e chi li ha scritti e cantati, è destinato all’immortalità.
Non solo di guerra, ma anche e soprattutto d’amore, parlano i versi dei cantautori della scuola genovese. Collocandosi nella tradizione europea, facendosi parte propulsiva della scena jazz, fino all’affinità col folk nordamericano, a Genova il canto popolare si è emancipato dal bel canto radicato a Sud, dando multidimensionalità alla canzone, rendendola più consona alle esigenze di un’umanità che il Novecento ha reso irreversibilmente complessa.
Una responsabilità non da poco, quella di trasporre questo stile in un omaggio che un disco e un concerto si propongono di tributare: ci ha pensato Serena Spedicato, cantante eclettica e poliedrica con un’intensa attività in numerose formazioni jazz, corali e polifoniche e una lunga lista di incisioni, tra le quali spiccano altri due omaggi, i lavori discografici “The Shining of Things. Dedicated to David Sylvian” e “My Waits. Tom Waits Songbook“.
Il disco, “Io che amo solo te. Le voci di Genova” è prodotto da Eskape Music, Dodicilune e CoolClub.
Il concerto, omonimo, è ospitato dall’associazione “Nel Gioco del Jazz”, con la presidenza di Donato Romito e la direzione artistica del M° Roberto Ottaviano e del M° Pietro Laera, nell’ambito della rassegna nello storico club barese “La dolce vita”.
La formazione prevede massimi specialisti per ogni strumento: Nando Di Modugno alla chitarra, Giorgio Vendola al contrabbasso e Vince Abbracciante, che ha curato anche gli arrangiamenti, alla fisarmonica.
Sia il concerto che il disco sono arricchiti dai testi di Osvaldo Piliego, letti dalla Spedicato, che, come da un diario di bordo, spiegano la navigazione di ciascuna delle vite dei cantanti, e lo fanno in maniera graffiante, con scarso spazio destinato all’aneddotica e molto all’incomprensione che alcuni di loro hanno affrontato, chi perché basso, chi perché gay, chi perché “per bambini”.
Si comincia con Bruno Lauzi, con due sue tracce eterne: “Ritornerai” e “Il tuo amore”. Gli echi nostalgici di entrambe le canzoni risentono di arrangiamenti cosmopoliti, che partono dalla chanson fino agli echi porteño.
È la volta di Sergio Endrigo. “Io che amo solo te”, una canzone di una perfezione lirica assoluta, pervade il club, più gli anni me ne regalano infinite cover, più mi convinco che essa vada affidata per sempre alle cantanti.
Spedicato domina la scena, e più che di fronte ad un’urlatrice alla sbarra, come gli Anni Sessanta parrebbero suggerire, richiama Edith Piaf al massimo splendore drammatico ed espressivo.
Tra gli “Urlatori alla sbarra” vi era Umberto Bindi, che affascinò moltissimi altri artisti, da Franco Califano a Ornella Vanoni. La sua “La musica è finita”, un’ammissione di impotenza che ha preso più o meno tutte e tutti noi a un certo punto, ha un fascino che il club rende particolarmente appropriato. A Bindi è dedicato anche il bis, con “Il nostro concerto”.
Due canzoni sublimi ciascuno per due artisti, Gino Paoli: “Che cosa c’è” e “Sassi”, che rapiscono il pubblico come solo i nudi versi di Gino Paoli sanno fare.
E poi Faber De André, con “Bocca di Rosa” e “Anime Salve”: il sanguigno binomio tra poesia e cronaca della prima si rarefà nella seconda.
Non poteva mancare l’omaggio a Luigi Tenco: “Mi sono innamorato di te”, introdotta da un magistrale assolo di Di Modugno, “Un giorno dopo l’altro” e “Ho capito che ti amo”, che vede l’incursione fuori programma del sax alto di Roberto Ottaviano.
Il punto, con Tenco, è che più si cerca di dischiuderne il mistero cantandolo, più la scatola nera del suo volo sembra farsi inghiottire di più, dal selciato sotto l’hotel Savoy. Nessuno e nessuna mai potrà davvero comprenderlo del tutto. “Luigi Tenco ha voluto colpire a sangue il sonno mentale dell’italiano medio”, scriveva Quasimodo. E l’italiano medio, con i fiori mainstream di Sanremo, con “sole, cuore e amore”, con i mass media allineati alla mediocrità, si è vendicato.
Prossimi appuntamenti di “Nel Gioco del Jazz” mercoledì 23 marzo, sempre a “La dolce vita” con Giuseppe Bassi e Joanna Teters e domenica 27 marzo al “The Nicolaus Hotel” con “La leggenda del pianista sull’oceano” e Cicci Santucci, tromba solista del film omonimo.
Beatrice Zippo