Vincenzo Salemme ovvero della felicità – apparente – del teatro: “Napoletano? E famme ‘na pizza!” ha chiuso trionfalmente con un triplice sold out la Stagione 2022 del Teatroteam di Bari

Edoardo Scarpetta sosteneva che il testo era immutabile (“attenetevi al testo senza improvvisazioni”, diceva) e Vincenzo Salemme sembra aver fatto tesoro di questa raccomandazione, rappresentando con questo suo “Napoletano? E famme ‘na pizza!” due diverse (ma veramente diverse, poi?) commedie o, meglio, loro estratti che al cinema non hanno avuto la stessa fortuna stilistica e comica legata al teatro.

Un ristretto numero di attori, sei per essere precisi, che in realtà interpretano sempre la stessa parte, alternandosi e cambiando semplicemente il vestito per inscenare situazioni e dialoghi in certi momenti veramente esilaranti.
L‘immutabile scenografia, sfondo costante della rappresentazione della commedia (e della vita, forse).
I monologhi che intervallano le scene e costituiscono il filo rosso che lega l’intero lavoro teatrale.

Lo schema è semplice: un padre, una madre, una figlia e una terza persona, con intermezzi di altri due personaggi, di cui uno sempre identico a se stesso, e che costituisce di per sé una maschera compiuta.
La tradizione e la professionalità sono le chiavi di lettura di due ore intense, senza pause, in cui gli attori riempiono la scena conducendo lo spettatore in piccole stanze in cui due, tre o al massimo quattro persone vivono situazioni lessicalmente surreali, nei giochi di parole che l’uso sapiente della lingua italiana, che non trascende nella facile battuta dialettale, consente.

Salemme è oggettivamente un turbine di presenza, la prova che, quando c’è il talento, non è la maschera a fare l’attore, ma l’attore a fare la maschera. Non è l’età e forse nemmeno la tenuta muscolare, pure importante, a consentire ad un attore di darsi in maniera così completa e ininterrotta, bensì l’amore per il pubblico – corrisposto e ricambiato elevato a potenza – e la perfetta rappresentazione dell’afasia di un’umanità vera, che tutti ci coinvolge, creano nel teatro, pur con tutti i limiti del più esteso luogo di rappresentazione di Bari, un’aria di attesa e di complicità che rende l’atmosfera ideale per la visione della pièce.

Vincenzo Borrino, Sergio D’Auria, Teresa Del Vecchio, Antonio Guerriero e Fernanda Pinto accompagnano il capocomico nella sua cavalcata senza mai sovrapporsi e rappresentando, nei diversi ruoli, spalle intelligenti e discrete che, nello schema classico, sono più supporto che confronto: Antonio Guerriero sommesso e fintamente ingenuo, Teresa del Vecchio professionale e sicura, Fernanda Pinto e Sergio D’Auria due giovani che di sicuro cresceranno, mentre una menzione particolare va a Vincenzo Borrino ed alla sua piccola ma divertentissima porzione di spettacolo, il cameriere/cameriera sempre lui, il cui ondeggiamento è a prova di artrosi cervicale.
Divertente la trovata del selfie finale.

Alla fine, due ore in cui la napoletanità è solo uno spunto per mettere in scena il teatro comico nella sua accezione più compiuta: la vera anima dello spettacolo.

Marco Preverin

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