Il futurismo era l’arte del moderno, della locomotiva che di ferro e acciaio scacciava il vecchio, le romanticherie e la luna piena. Non tanto per il sol dell’avvenire, quanto piuttosto per la violenza e la forza insita nella velocità e nelle armi dell’epoca (furia morire disgregarsi pezzi briciole polvere eroismo elementi fuoco di fucileria pic pac pun pan pan mandarino lana-fulva mitragliatrici-raganelle-ricovero-di-lebbrosi scriveva Filippo Tommaso Marinetti nel 1912).
Già Top Gun (l’originale), con il suo inizio dedicato agli aerei ed alle portaerei, si presentava come un vero e proprio musical; ora quella tradizione viene rinnovata con il suo seguito, questo Top Gun: Maverick diretto da Joseph Kosinski, interpretato e fortemente voluto da Tom Cruise. Le persone che ballano sul ponte di una portaerei americana non sono ballerini professionisti ma tecnici, sicuramente bene addestrati, che con meccanica precisione calibrano i loro gesti. Gli aerei rombano e sibilano con forza, gli effetti speciali dati dalle catapulte e dai loro fumi di vapore che impregnano l’aria di mare producono un’atmosfera elettrica. Il colore delle tute dei tecnici, gialle e verdi, particolarmente sgargianti per essere ben visibili con ogni tempo danno un tocco di allegria al tutto.
Insomma, tutto il sistema che fa decollare in poche decine di metri aerei che, sulla terra ferma, hanno bisogno di piste di circa un chilometro, genera, se formato da immagini ben montate e sorrette da una musica coinvolgente, un incipit coinvolgente e di grande effetto.
Passata questa fase di impatto visivo molto rilevante, il film si snoda in maniera assolutamente prevedibile.
Il militare bravissimo ma indisciplinato, quindi senza carriera, viene chiamato per l’ultima missione che, senza di lui, sarebbe impossibile.
Un gruppo di giovani piloti più presuntuosi che bravi.
Agitare non mescolare (come il vodka martini di James Bond) ed ecco che il film, confezionato come un video gioco, prende forma e, nel suo genere ed a suo modo, sostanza.
Trionfo dei corpi e dei muscoli, soprattutto maschili, operazioni aeree che sono oggettivamente spettacolari (pare preparate con molta cura e fatica per gli attori – veri professionisti del corpo va detto) con immagini che tendono un po’ a ripetersi ma sono meglio di qualunque altra sequenza in volo (alcune, pare, vere e non effetti da computer).
Il disegno psicologico dei personaggi e la recitazione non sono l’elemento portante del lungometraggio, vero sequel del citato Top Gun del 1986, con tutto il necessario per far sorridere in certi momenti anche per l’ingenuità delle situazioni.
Va detto, a giustificazione dei produttori, che la spesa per gli aerei (veri) utilizzati ed il costo per le riprese sui voli devono essere stati talmente alti che si doveva pur risparmiare da qualche parte. Quindi, avranno sicuramente tagliato sugli sceneggiatori, non chiamando di certo il meglio sulla piazza. D’altronde non si può avere tutto.
Tom Cruise, in questo genere di pellicole, è un po’ come la zia che non cambia mai: trent’anni fa faceva il bellone esattamente come in questo film (naturalmente non dobbiamo dimenticare alcune sue bellissime interpretazioni come in “Nato il 4 luglio”), sempre uguale anche nei muscoli (accidenti a lui!!).
Jennifer Connely, la fascinosa di turno, alla quale hanno riservato il ruolo della bella statuina, brilla per i primi piani di un viso che, apparentemente, non ha paura di invecchiare, ma anzi mostra con orgoglio le proprie rughe.
Gli altri sono oggettivamente contorno in ruoli standard. Nell’ordine: l’ammiraglio cattivo; quello apparentemente cattivo ma alla fine è buono; quello buonissimo (i primi due bianchi, l’ultimo di colore, così le minoranze non se la prendono); la squadra dei piloti composta dal bravissimo ma antipaticissimo oltre ogni possibilità umana; l’imbranato che viene accoppiato con una (l’unica donna) pilota brava anche lei, inizialmente supponente, ma poi ci ripensa; il pilota di colore e, infine, il figlioccio che odia Maverik/Cruise, ma che alla fine si riscatta diventando il più bravo (per forza: è il figlioccio di Maverik!).
Insomma, due ore abbondanti passate a guardare evoluzioni aeree e adolescenti (quelli di School of rock erano senz’altro più maturi) su caccia milionari (ciascuno degli aerei più utilizzati – i Boeing F/A 18E/18F Super Hornet – costa 51 milioni di dollari e di certo non si verifica quanti chilometri fa con un litro) che, sia pure nella finzione, verranno parzialmente distrutti.
Con un finale più ilare che di suspence.
Solo mi chiedo, oziosamente, perché i militari americani, ed in particolare i piloti, in questi film debbano essere rappresentati come dei bamboccioni presuntuosi, assassini e sostanzialmente fascisti. Se questi film rappresentano la realtà, francamente ringrazio il destino che mi ha fatto nascere in un luogo che ha tra i suoi eroi militari Garibaldi e non questa gente.
Marco Preverin