La Luna e i binari: Franco Arminio, con Livio e Manfredi, fa tappa a Bari con la sua poesia

La prima volta non fu
quando ci spogliammo,
ma qualche giorno prima,
mentre parlavi sotto un albero.
Sentivo zone lontane del mio corpo
che tornavano a casa.

(Franco Arminio)

L’italianità è perlopiù vista come un insieme di Vespa, sole, gelati, mare. Senza arrivare al “sempre rumore, sempre cantare” di fantozziana memoria, quello di libertà e spensieratezza, abbinato allo stile universalmente riconosciuto come italiano, è un immaginario cui la narrativa del rock si è ispirata, ad esempio con il mod, in contrapposizione a un ambiente alienante, come quello delle metropoli inglesi o americane, oppure alle desolanti mezze giornate di deserto o pioggia del Midwest e delle Midlands, Mid tra una civiltà e l’altra.

Quello che questa narrazione ignora, è la provincia, che è portatrice di un’italianità tutta sua. Tutto ciò che succede in Italia dai 500 metri sul livello del mare in su, resta in Italia, come chiuso tra parentesi. Ci sono giovani che decidono di uscire dalle parentesi, abbandonandosi alle tette luminose di una grande città. E poi ci sono giovani che, come in una crematistica della bellezza, provano a picconare la poesia dalle pietre, dai tufi, dalle erbe, dai tronchi, dai davanzali del proprio paese.

La celebrazione di questa pratica, che Franco Arminio ha provato blandamente a teorizzare come “Paesologia”, ha perfino una propria casa, ad Aliano, dove tutti gli anni si tiene il festival “La luna e i calanchi”, portato alla vita proprio da Arminio. I calanchi sono formazioni rocciose scavate da acque preistoriche, sembrano provenire da un altro pianeta, e come da copione, ci sono buontemponi pieni di soldi pronti a cancellare queste meraviglie geologiche per tirarne fuori petrolio. Il festival porta a Aliano migliaia di persone, rendendo le mura del paese come di gomma. Persone accampate sulle pendici che portano al paese, o decise a condividere solo parte del cammino, sono lì, per stessa ammissione di Arminio “come ultimo rifugio, per curare il proprio dolore, dopo aver provato con la meditazione e con yoga”. Giorno e notte, leggendo poesia, sciorinando i risultati di residenze artistiche come tovaglie fresche di bucato, camminando sui calanchi, bevendo, ballando, abbracciandosi, condividendo i tavoloni delle frastornate taverne del paese, arrivare a Aliano è come tirare la manovella di una slot machine dai simboli pressoché infiniti: tutti sanno come tirarla, nessuno sa che risultato restituirà, ancora meno che nessuno sa quando nello spirito inizieranno a tintinnare le vincite.

La versione 2.0 della paesologia è nelle voci e nelle mani di Livio e Manfredi, figli di Franco Arminio, rispettivamente chitarra e voce, nient’affatto appendici del padre, ma portatori di una paesologia nuova e verace, una pratica che hanno portato, tra gli altri posti, anche allo Sponz Fest di Vinicio Capossela a Calitri e dintorni. Quadretti che, esorcizzando la tristezza per loro stessa ammissione, descrivono la vita di paese in modi che solo i giovani possono: dalla vergogna per la scoperta del porno online anche da parte degli uomini in età, a un equivoco sullo spauracchio della droga, scaturito per un cane antidroga stordito da un panino nello zaino (episodio accaduto anche alla sottoscritta, in quinta liceo linguistico), fino a un esperanto che include nella disperazione del dialetto la disperazione della lingua italiana imparata dagli immigrati, nuovi paesani.

Lo spettacolo, che ha fatto tappa all’Arena Airiciclotteri di Bari, come di consueto per chi segue Arminio, ha previsto che i momenti dedicati all’esibizione di Livio e Manfredi fossero intervallati da letture di proprie poesie da parte dello stesso Franco Arminio, e con l’interazione con altri poeti e poetesse, così come con il tentativo di tradurre le poesie in dialetto e in altre lingue, per cogliere nuove metriche e nuove spinte vibrazionali dietro i versi, per approfondirne la cura e il significato.

E comunque pure se moriamo
non è che poi possiamo
morire un’altra volta.
Allora andiamo nella giornata
da signori,
il bene sia benedetto,
benedetto l’andare in giro
e ancora il pranzo
e scrivere a qualcuno, leggere,
camminare,
guardare un muro.

(Franco Arminio)

Beatrice Zippo

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