“Su, svegliati – le ordinò. – Non sei malata, non sei ferita, sei giovane, sei meravigliosamente bella. Non ho mai visto nessuna bella come te. Su, muoviti, corri, torna indietro. Il mondo è tuo. Ci deve essere uno sbaglio. Assolutamente non puoi restare qui.
Con la voce ancora impastata di sonno lei disse:
– Basta, quante volte me le sono sentite ripetere queste storie. Lasciatemi dormire.”
(“All’alba”, Dino Buzzati)
Maliarda. Anzi no, maltrattata dai suoi amanti eccellenti. Una grande professionista. Anzi no, una bambola del sistema. Si dice avesse il QI di 168. Anzi no, era svampita da copione o forse nemmeno.
Come di tutti i personaggi di cui ci siamo accontentate e accontentati della copertina, Marylin Monroe, al secolo Norma J. Baker, ha pagine non scritte della sua storia, alcune delle quali dormono con lei, il Sacro Graal di un’esistenza complessa di cui ci viene mostrato solo il simulacro pop, che abbiamo col tempo ammantato di leggenda.
Il film “Blonde” di Andrew Dominik è in uscita il 28 settembre, e sarà curioso guardare la narrazione che verrà data di Marylin dopo il movimento #metoo, dopo le prese di consapevolezza crescenti di ampie fasce della popolazione femminile e dell’opinione pubblica in genere sui soprusi e sulle violenze fisiche e psicologiche, una narrazione che ha, ad esempio, investito il film “Spencer” di Pablo Larraín dell’anno scorso, ma in generale un rilievo del tutto nuovo sui personaggi femminili nei biopic, cercando da un lato di contestualizzare, dall’altro di liberare la donna e il suo personaggio da stereotipi affibbiati per la foga di etichettare un’esistenza al fine di renderla vendibile.
Si propone di decostruire il brand di Marilyn Monroe la mostra “Marilyn 60” (come sessanta sono gli anni dalla sua scomparsa), con opere dell’artista milanese Marta Bordonali, organizzata da “Arte 5.0” di Pasquale Crispino, tenutasi allo Spazio Murat di Bari dal 14 al 17 settembre. La forma tipica è quella della tela galleria 70×70, su cui l’immagine di Marilyn, nello stilema reso celebre da Andy Warhol, viene dipinta, spessorata, interpolata con ritagli di giornali e riviste di moda, o unita in dialogo ad altre icone degli Stati Uniti, dal “LOVE” di Robert Indiana alla bandiera a stelle e strisce.
Il risultato è fresco e rutilante, frenetico, sexy, quasi distrae l’osservatore dai significati reconditi di tanto scintillio. A recuperare i visitatori dall’illusione visiva, la mostra ha previsto un bel calendario di esibizioni, come quella, molto bella, di Eva Immediato e Daniela Ippolito, un duo lucano di amiche anche nella vita, rispettivamente voce recitante e arpa più voce cantante. Il concerto è stato presentato dalla giornalista Valeria Saggese e ha previsto la declamazione di un testo preparato dalle stesse artiste, intervallato da cover in arpa di brani di musica leggera. Il testo combina frasi della stessa Marilyn Monroe, sulla sua vita, a brani dedicatile ad esempio da Pier Paolo Pasolini, e sono di una profumata intensità, sanno di notte, di luci di città, di solitudine e di intimità negata al mondo e a se stesse.
Tra le cover proposte da Ippolito, “Somebody to Love” dei Jefferson Airplane, stridente se combinata al bisogno smodato di amore, vera gabbia per Marylin, che in un’epoca che si preparava all’amore libero, pur precorrendone i tempi, non ne ha potuto vedere i frutti, anzi, è stata oggetto della prurigine di milioni di uomini nel mondo. Pazzesca la versione di “Paint it Black”, la chitarra flamenca di Keith Richards danzante sulle corde dell’arpa ne accentua l’istanza nichilista e totalizzante. Molto bella anche la versione della celeberrima “Llorona”.
Infine, nel testo di un sogno in cui Marilyn è nel Paradiso dove nessuno muore e nessuno si duole, un’iscrizione non lascia spazio a dubbi su quale fosse lo stato di cose della sua ultima notte:
“Cursum Perficio“
(Concludo il mio percorso)
Beatrice Zippo