In ogni epoca, oggi come in quella della storia raccontata dal film, uno degli effetti peggiori dello stupro è la difficoltà, da parte della stuprata, di farsi credere. Deve spiegare che ha urlato e che si è opposta con tutte le sue forze al violentatore perché altrimenti – e la Cassazione lo ha anche scritto ancora oggi – si fa difficoltà a “fidarsi” della vittima.
Se poi siamo nel Medio Evo (termine che ormai terrorizza gli storici), non sarà lo stupro ad essere punito, ma l’offesa all’onore della famiglia ossia del capofamiglia – che lo stupratore ha commesso nel violentare la moglie di un onorato signore.
Da questo presupposto si dipana la vicenda ricostruita nel romanzo storico del 2004 di Eric Jager L’ultimo duello. La storia vera di un crimine, uno scandalo e una prova per combattimento nella Francia medievale (The Last Duel: A True Story of Trial by Combat in Medieval France) e, quindi, nel film del 2021 di Ridley Scott “The Last Duel“, incentrata sulla vita di due uomini, Jean De Carrouges e Jacques Le Gris, prima amici e poi, col tempo, sempre più distanti, fino ad essere avversari e, infine, nemici. Le ragioni non sono certo nobili o di principio, ma si fondano su solide basi di denaro e potere, avidità e posizione sociale. Due scudieri, uno di nobile ma impoverita casata, ed un altro di povere origini e di indole ambiziosa, pronti a servire i vizi del potente nobile despota del luogo, si affiancano sul campo di battaglia. Mentre il primo, De Carrouges, rimane succube del suo senso dell’onore e si conduce di battaglia in battaglia, il secondo, Le Gris, affianca il suo nobile signore, diventandone, servendolo con innegabili doti di organizzatore, strumento di gestione del potere e insieme compagno di bisboccia.
E’ all’acme della discordia tra i due che Le Gris, protetto senza limite alcuno dal Conte d’Alençon, violenta la moglie di De Carrouges. Sarà lei, contrariamente a tutti i consigli che riceverà, a chiedere giustizia per affermare la sua dignità di essere umano e la necessità di conciliarsi anche con l’ambiente che la circonda. Nessuna prova, a fronte della dichiarazione d’innocenza di Le Gris, potrà essere addotta dell’avvenuta violenza carnale. Solo il Giudizio di Dio potrà chiarire la verità.
Come finisce, miei cari lettori, lo potete immaginare, perché in questo film non è certo la suspence l’elemento conduttore ma la descrizione degli spazi, dei rapporti, dei costumi e delle armi dei cavalieri del XIV secolo nel nord della Francia.
Un film storico costruito come la narrazione di un evento ma incentrato soprattutto sui rapporti di forza esistenti nella società nobiliare di quegli anni. Ecco, i vassalli del conte competono fra loro per acquisirne il favore e con esso ricchezza e potere. Una collettività esclusivamente piramidale, senza possibilità di riscatto o di ascensore sociale per chi è privo del favore del nobile cugino del Re.
In questo schema si inserisce la nobildonna violentata che, per vedere riconosciuto il proprio diritto alla difesa, può solo appellarsi alla forza del marito e alla sua presunta capacità di uccidere il violentatore.
Il grande Ridley Scott ci descrive in maniera particolareggiata la vicenda attraverso la diversa percezione degli eventi di ciascuno degli interpreti, concentrandosi sui dettagli degli oggetti – non ultimo la forma e l’elsa del pugnale che porrà fine alla vicenda – e degli strumenti politici e legali dell’epoca, più che sull’originalità dei dialoghi e delle situazioni.
La fotografia e le scenografie sono puntigliose e in certi momenti coinvolgenti (la camera sporca del cavaliere che segue il proprio comandante nella carica all’inizio del film o l’immagine del campo di sfida nella Parigi della fine del 1300).
Gli attori svolgono il loro compito in maniera dignitosa.
Matt Damon (Jean de Carrouges) e Jodie Comer (Marguerite de Carrouges) sono talvolta impacciati e lui appare eccessivamente legnoso, come se fosse sempre sul campo di battaglia.
Ben Afflek (Pierre conte d’Alençon) sembra straniato nel ruolo del Conte a cui dà un tono quasi da adolescente troppo cresciuto e molto americano.
Svetta, fra tutti, Adam Driver (Jacques Le Gris), che riesce a dare spessore al personaggio più controverso e ambiguo di questa storia, districandosi con abilità nelle trappole che l’interpretazione del cattivo dissemina in ogni film.
Le musiche ci immergono nel nostro immaginario medievale, magari non corrispondente alla realtà, con un tocco new age che conferisce al tutto un’aura di spiritualità non religiosa, di certo più legata ai nostri che non ai loro giorni. Comunque, molto belle.
Un’ultima notazione va in questo caso ai doppiatori, ed in particolare a Valentina Favazza, che migliorano di molto l’insieme del film (nell’originale la pronuncia francese è veramente inascoltabile).
Lo trovate su Disney+.
Marco Preverin