A Roma non piove da tre anni, il Tevere è completamente secco, asciutto, pieno di rifiuti tra i quali campeggia un pezzo di una statua colossale di Nerone che probabilmente abbelliva l’ingresso della Domus Aurea. Le blatte invadono strade e case. Fa caldo. Il controllo delle regole si fa più rigido, l’acqua per ora è razionata e mentre la gente inizia a protestare, uomini e donne si muovono come spettri, come zombi colpiti da un virus che coinvolge alcuni dei tanti personaggi del film.
Uno scenario apocalittico, ma così vicino a quello attuale, fa da sfondo ai personaggi che affollano “Siccità“, il nuovo film di Paolo Virzì, tutti memorabili come i bravissimi attori che li interpretano, a partire da Valerio Mastandrea, ex autista di auto blu ora conducente su prenotazione, alle prese con i colpi di sonno e con le discussioni con i suoi fantasmi.
C’è poi Tommaso Ragno nei panni di un ex attore disoccupato e egocentrico divenuto influencer dipendente dai social, mentre sua moglie, Elena Lietti, ex libraia ora cassiera in un supermercato si divide tra il lavoro e un rapporto clandestino ma virtuale con l’amante.
C’è Silvio Orlando, detenuto da tanti anni (si scoprirà nel finale per quale reato) che nel carcere ha trovato una specie di confort-zone, al punto che, quando per sbaglio si ritrova fuori dal carcere, dovrà fare i conti con un presente assurdo e un passato drammatico che riaffiora con tutto il suo dolore.
E poi c’è Claudia Pandolfi, una dottoressa grintosa e volitiva alle prese con una figlia dalla dolcezza disarmante e un fidanzato, Vinicio Marchioni, con cui non è felice.
E ci sono Emanuela Fanelli, rampolla di una spregiudicata famiglia di imprenditori, Sara Serraiocco, incinta del bodyguard violento Gabriel Montesi, Diego Ribon, il compassato scienziato divenuto improvvisamente celebre in televisione al punto da aspirare ad una relazione con la star Monica Bellucci, e il magnifico Max Tortora, un ex commerciante di camicie fallito, che vive in auto con il suo cane.
Un film corale, coraggioso, dai toni perfettamente in equilibrio tra il realismo e il grottesco che sa rappresentare in maniera magistrale le malattie del nostro tempo: le periferie dimenticate, le famiglie disorientate, la perdita del lavoro, la ricchezza di pochi. Ognuno ha subito uno strappo e ognuno ha dovuto abbandonare una parte di sé importantissima. È la metafora di una società fallita, incattivita e addormentata, in cui l’odio verso l’altro è panacea per non vedere la propria miseria, il proprio fallimento, le proprie piccolezze.
Il dramma e la disperazione vengono però interrotte durante l’intera narrazione da alcuni momenti di romanticismo e lirismo che permettono un sorriso, una pausa dalla riflessione amara di ciò che siamo diventati. L’ironia diventa così un’arma, come nella migliore letteratura, da Ariosto a Manzoni a Calvino.
E questo è il miglior cinema italiano degli ultimi anni, grazie alla competente regia, alla fotografia magistrale, alla bravura degli attori e alla sceneggiatura a otto mani di Francesca Archibugi, Francesco Piccolo, Paolo Giordano e lo stesso Paolo Virzì.
Un film dalla forte spiritualità, graffiante e colmo di umanità, dove la siccità del titolo è emblematica di una condizione dell’anima, sospesa tra epidemia e disperazione, tra morte e rinascita, tra solitudini e piccole e grandi cattiverie.
Aspettando che arrivi finalmente la pioggia.
Marcella Rizzo