“Oggi tuttavia non si può soltanto piangere, è tempo di imparare qualcosa.” (Tina Merlin)
Stavo per compiere i miei 20 anni quel maledetto 9 ottobre 1963 ed ero molto preso dalla mia passione di giornalista/pubblicista quando si verificò il disastro del Vajont, un disastro annunciato da Tina Merlin (da non confondere con la più nota Lina Merlin, quella che fece chiudere le cd. case chiuse), una grande donna, una grande partigiana, una femminista ante litteram, ma soprattutto la Cassandra inascoltata di quella immane tragedia.
Nata a Trichiana (Belluno il 19.08.1926), Tina Merlin seguì le orme del suo ultimo fratello Antonio (Tony, il nome di battaglia) diventato poi partigiano, organizzatore e comandante del battaglione “Manara”, successivamente assorbito nella brigata partigiana autonoma “7º Alpini”.
Tina fu coinvolta nella resistenza, partecipandovi dal luglio 1944 come staffetta. A 23 anni sposò il partigiano Aldo Sirena che fu tra i primi organizzatori del CLN Belluno. Dalla loro unione nacque l’unico figlio Antonio, così chiamato in onore del fratello.
Aveva una grande, grandissima ammirazione per gli uomini che avevano fatto la resistenza, ma aveva anche detto che la resistenza delle donne, per certi versi, era stata diversa ma uguale e parallela a quella degli uomini.
La sua carriera di giornalista: racconti nella pagina della donna de L’Unità, poi dal 1951 al 1982 corrispondente de L’Unità da Belluno, Milano, Vicenza e Venezia, attiva anche politicamente come consigliere provinciale del PCI dal 1964 al 1970.
Dopo aver pubblicato nel 1957 sul Pioniere i tre racconti sulla resistenza Storia di Alfredo, Quell’autunno del 1943 e La beffa di Baffo, nel 1965 fu tra i soci fondatori dell’attuale ISBREC (Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell’Età Contemporanea).
Però la sua produzione letteraria (tra cui ricordiamo “La casa sulla Marteniga” – Il poligrafo, 1993) non viene più ricordata perché viene in preminenza la sua attività di giornalista per aver svelato anzitempo tutto l’imbroglio del crollo della diga del Vajont, con documenti alla mano. Infatti, nel processo a suo danno per aver diffuso notizie false e tendenziose finalizzate all’allarme sociale, venne assolta con formula piena e lo stesso dispositivo del Tribunale di Milano affermò la assoluta fondatezza dei suoi numerosi articoli e della documentazione a loro sostegno. Aveva infatti dato voce alle denunce degli abitanti di Erto e Casso e quindi riuscì a denunciare i pericoli che avrebbero corso i due paesi se la diga fosse stata effettivamente messa in funzione.
Tina Merlin tentò di fare luce sul grande disastro del Vajont, verificatosi esattamente cinquantanove anni fa, il 9 ottobre 1963, da lei analizzato con i libri “Sulla Pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont” (L’Unità – La Pietra, 1983), scritto nei giorni della tragedia ma pubblicato solo 20 anni dopo, ed “La rabbia e la speranza. La montagna, l’emigrazione, il Vajont“ (Sommacampagna, Cierre, 2004).
Dalla sua incredibile storia di donna, femminista incredibile, grande giornalista e scrittrice vennero tratti due grandi lavori: il film del 2001 Vajont, con grandi attori come Daniel Auteuil e una ispirata Laura Morante che interpreta proprio la Merlin, e il precedente omonimo grande lavoro teatrale di Marco Paolini del 1993.
Soltanto con questi due lavori fu consegnato alla storia un disastro epocale che alle 22,39 del 9 ottobre 1963, vide anche in TV circa 270 milioni di m³ di roccia (un volume più che doppio rispetto a quello dell’acqua contenuta nell’invaso) scivolare, alla velocità di 110 hm, nel bacino artificiale sottostante (che conteneva circa 115 milioni di m³ d’acqua al momento del disastro) creato appunto dalla diga del Vajont. Tale evento provocò un’onda di piena che superò di 250 mt. in altezza il coronamento della diga e che in parte risalì il versante opposto distruggendo tutti gli abitati lungo le sponde del lago nel comune di Erto e Casso e si riversò nella valle del Piave, distruggendo quasi completamente il paese di Longarone e i comuni limitrofi.
I morti furono 2.018: 1.450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 in altri Comuni.
Chi si ricorda di Tina Merlin, dei suoi scritti premonitori, della esemplare ed inascoltata sentenza del Tribunale di Milano e di quella tragedia?
Nessuno.
Nicola Raimondo