La mindfulness della realtà come parametro esistenziale. Il BiG Festival colpisce ancora con “Quaderno – Reality” della Compagnia Deflorian / Tagliarini

Right here, right now
right here, right now
right here, right now
right here, right now

(“Proprio qui, proprio adesso”)
(“Right here, right now” – Fatboy Slim)

Il BiG (Bari International Gender Festival), è appuntamento fisso in città, per chi vuol farsi rapire da occasioni di arte e confronto fuori dalle convenzioni. Il festival transfemminista di cinema e arti performative su differenze di genere, identità e orientamenti sessuali, con la codirezione di Miki Gorizia e Tita Tummillo De Palo, è organizzato dalla cooperativa sociale Al.i.c.e. (Alternative Integrate Contro l’Emarginazione) Il tema dell’anno è BIGBODY, una dedica olistica al corpo e ai suoi fenotipi senza olotipo, che possono cambiare nell’arco di un’esistenza, o modificare l’esistenza stessa attraverso i propri cambiamenti.

Officina degli Esordi presta la sua natura dinamica a spettacoli come “Quaderno – Reality” della compagnia Daria Deflorian / Antonio Tagliarini. La scenografia è scarna: un tavolo, un proiettore, una tazzina e qualche volumetto poggiato sul tavolo. Dopo un promettente debutto con un’epigrafe che lega Cechov a Annie Ernaux, la scelta narrativa sembra altrettanto scarna: la vita di una casalinga di Cracovia, Janina Turek, che dal 1953 al 2000, anno della sua morte, ha compilato 748 quaderni annotando finanche i dettagli irrilevanti della sua esistenza, catalogandoli e numerandoli minuziosamente: quante telefonate a casa aveva ricevuto e chi aveva chiamato (38.196); dove e chi aveva incontrato per caso e salutato con un “buongiorno” (23.397); quanti appuntamenti aveva fissato (1.922); quanti regali aveva fatto, a chi e di che genere (5.817); quante volte aveva giocato a domino (19); quante volte era andata a teatro (110); quanti programmi televisivi aveva visto (70.042). In aggiunta a ciò, Janina Turek teneva dei diari paralleli in cui rapportava ad esempio il suo stato d’animo su un lato e il tempo meteorologico sull’altro.

Il senso di straniamento dello spettatore inizia quando tutto ciò che sembra alieno da sé, salvo poi diventare tremendamente familiare, ossia quando Antonio Tagliarini racconta un anno della sua esistenza, il 1993, rapportandolo alla storia: dischi, avvenimenti storici, programmi televisivi. Incredibile quanti sportellini della memoria remota si aprono (uno fra tutti, la prima volta che abbiamo ascoltato “Creep” dei Radiohead), mentre a ciascuno di noi non è noto il gesto con cui ci siamo svegliati stamattina, o per quale dettaglio che oggi ci sembra insignificante abbiamo sbroccato in tale o tal altra occasione.

In altri termini, Tagliarini spinge a un approccio mindful alla realtà, a focalizzarsi sul qui e ora, sul corretto dimensionamento temporale dell’oggi rispetto al resto, e sull’osservazione degli stati d’animo che deformano lo spazio e il tempo, per renderli simili a ciò che siamo invece che corrispondenti a ciò che sono.

Uno spettacolo fortemente introspettivo e di ripensamento dell’indagine interiore.

Come sempre, il BiG stupisce ancora.

Beatrice Zippo
photo credit pagina facebook “Deflorian/Tagliarini”

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