“We’ve come a long, long way together
Through the hard times and the good
I have to celebrate you, baby
I have to praise you like I should”
(“Abbiamo fatto molta, molta strada assieme
Nei tempi duri e in quelli belli
Ti devo festeggiare, baby
Ti devo elogiare come si deve”)
(“Praise You” – Camille Yarbrough)
Il BiG, Bari International Gender Festival, è la rassegna transfemminista di cinema e arti performative su differenze di genere, identità e orientamenti sessuali, con la codirezione artistica di Tita Tummillo De Palo e Miki Gorizia, organizzato dalla cooperativa sociale Al.i.c.e., Alternative Integrate Contro l’Emarginazione.
Dopo uno spumeggiante inizio a ottobre, a novembre il BiG propone un ricco programma di performance, che non derogano a un principio di rigida selezione di senso e contenuti, che quest’anno ha scelto come tema BIGBODY, un corpo così grande da diventare un pianeta, che ci vede tutt* figl*.
Molti aspirano a una visione del mondo straordinaria, dallo spazio oscuro o dal rifugio di fragili verità infuse; a proposito di figl*, in pochi si affacciano invece alla visione dal posto da dove tutti veniamo, sebbene quel posto sia alle volte una conquista durante un percorso ben più lungo e doloroso: al numero sei della Smorfia, che non a caso nella Cabala indica il principio d’amore, chiamata con innumerevoli nomignoli, c’è lei, la vulva. Normalmente nascosta, relegata a pochi intimi momenti di gloria, solitamente ci si ricorda di lei solo quando sanguina, quando deve partorire, quando viene maltrattata fino alla violenza e alla mutilazione.
Questa considerazione è centrale, nello spettacolo di Piny “Hip. A pussy point of view”, nel ricco programma del BiG festival. Lo spettacolo, di cui cura coreografie, concept, e costumi (insieme a Veronique Divine e Louise L’Amour), è una coproduzione Teatro Municipal do Porto/DDD – Festival Dias da Dança.
È proprio contro la mortificazione del corpo femminile che Piny, al secolo Anaísa Lopes, portoghese, muove la sua rivendicazione col corpo, ad alta voce. E lo fa con la sua danza: più di un’ora degli stili più disparati, dalla dancehall alla contemporanea, dalla capoeira alle danze tribali, alla breakdance. Anche i travestimenti impersonano tutte le battaglie per i diritti delle donne: una boxeuse in calzoncini dorati in un ring, un’odalisca che dall’Atlante è risalita verso la Lusitania, dei copricapezzoli che rendono espressivi i glutei fino a farli dialogare con il pubblico, fino al nudo totale, che verifica ciascuna sensazione di spettatrici e spettatori.
Menzione d’onore al light design di Carolina Caramelo, che trasforma gli occhi di bue in docce di luce e veste di buio Piny per nascondere e svelare sapientemente porzioni di pelle.
Molto interessante anche il talk finale, in cui l’artista si è raccontata molto generosamente al pubblico, con la facilitazione di Michele Pascarella e Gemma Di Tullio.
Beatrice Zippo
Photo credit Fabiano Lauciello