La gioia nella danza: la “Parsons Dance Company” conquista ancora una volta il cuore del pubblico al Teatroteam di Bari

La Danza moderna può essere molte cose: intensa, sorprendente, emozionale, magnifica, brutta o noiosa. Tutto quello che può venire in mente. Spesso, però, non è divertente. Tranne quando il coreografo è David Parsons!” (Observer Tribune)

Non c’è dubbio che David Parsons sia, a ragion veduta, considerato uno dei coreografi più amati al mondo; come dimostrato dall’osannante quanto festante pubblico che affollava in ogni ordine di posto il Teatroteam di Bari, ancora una volta inserito tra le tappe del nuovo tour mondiale della Compagnia, pochi riescono a sottrarsi al fascino delle creazioni di questo eterno Peter Pan che, a dispetto delle sue sessantatré primavere, riesce ancora a sorprenderci ed a farci sobbalzare dalla poltrona con i suoi voli pindarici, con i suoi equilibrismi, con le sue magie. Eppure noi dovremmo avercela su con Parsons, non fosse altro perché fondamentalmente la sua danza ci mette sempre di fronte ad un impietoso specchio: da una parte ci siamo noi, esseri imperfetti per definizione, con i nostri corpi ancorati ad una incompiuta umanità, e dall’altra ci sono i suoi discepoli danzatori, statuarie bellezze da Dei greci imprigionati in umane fattezze, che tentano, per lo più riuscendovi peraltro, di liberare la loro materia ultraterrena dalla rigida gabbia in cui è costretta: sono quelli i momenti in cui nessuno giurerebbe che si appartenga tutti alla stessa genia, se non per ammettere che noi, poveri mortali, siamo frutto della fantasia di un dio minore.

Ebbene anche il nuovissimo spettacolo della Parsons Dance Company visto al Teatroteam non sfugge a questa logica, a giudicare da quello che riescono a fare sul palco Zoey Anderson, Rachel Harris, Megan Garcia, Téa Pérez, Croix DiIenno, Christian Blue, Nick Fearon e Luke Romanzi, gli otto pazzi scatenati che qualcuno si ostina ancora a definire semplicemente ballerini. Al rischio – sempre altissimo – di cadere nel dejà vu, il coreografo statunitense si è opposto superbamente strutturando il movimento e la musica con un criterio che, ad occhio inesperto, potrebbe sembrare figlio di una esasperata semplicità ma, in realtà, è infinitamente più complesso e più intrigante di quanto si potrebbe pensare, proponendo cinque pezzi – apparentemente – facili, un mélange sorprendentemente coinvolgente di vecchie e nuove creazioni che manda in visibilio il pubblico, rispondendo alla sua mai rinnegata mission di far capire ad ogni spettatore “quello che sto dicendo e allo stesso tempo offra loro qualcosa per l’immaginazione e l’interpretazione personale; penso che sia molto importante come artista toccare le persone, perché, al giorno d’oggi, è più accettabile essere accessibili. I tempi sono cambiati. Non mi interessa cosa pensa chi mi critica. Non cambierò chi sono. Voglio che il pubblico, ovunque si trovi, sia in grado di mettere in relazione il balletto con le proprie esperienze. Adoro portare il mio pubblico su montagne russe di emozioni”.

Si parte con la gioia pura trasmessa da “The road”, coreografia corale del 2021, composta su canzoni di Yusuf Cat Stevens (credo di aver riconosciuto, in ordine sparso, “On the road to find out”, “Angelsea”, “Oh very young”,Trouble, “Tea for the Tillerman” e “Peace train”), che esprime un’atmosfera generale di pace, anche grazie ai costumi multicolori di Christine Darch, e di ottimismo; si crea, così, un energico movimento circolare di “unione” che pare avere nell’imperituro accattivante fascino melodico delle canzoni di Stevens l’unico comune denominatore, senza particolari narrazioni sottostanti o messaggi da decriptare, se non, forse, su quel finale in cui la Compagnia al completo, proprio sulle note di “Peace train” simulano un treno in movimento, come a voler indicare una direzione generale che ci faccia progredire universalmente.

Balance of power” è un assolo creato due anni fa su musica composta dal compositore/percussionista italiano Giancarlo De Trizio e qui affidato a DiIenno, una potente prova di forza e di equilibrio, da cui per l’appunto il titolo, che ricorda la danza di strada, in cui il ballerino è impegnato a spingere ogni proprio muscolo al limite, pur abbandonando raramente la sua posizione.

A mio modesto parere, la coreografia concettualmente più importante ed innovativa dell’intera compilation, benché di più difficile impatto, è “Side effects” del 2021; David Cloobeck, figlio della attuale compagna di David, ha composto una miscellanea di suoni ormai familiari a tutti noi, bip, toni, suonerie che scaturiscono da quella maledetta indispensabile diavoleria che è il nostro telefonino; Parsons ha immaginato un gruppo di donne e uomini ossessionati dalla tecnologia, fino a quando, dopo un canto liberatorio eseguito dal vivo, gli stessi sembrano aver riscoperto le gioie della natura e di una vita vissuta a ritmi più consoni, salvo poi farsi ricatturare dall’ennesimo trillo del cellulare.

Caught” è ormai immancabile nelle tournée del gruppo sin dal 1982, anno della sua creazione, indicato come uno dei loro lavori più distintivi, un capolavoro di incessante meraviglia ed eccitazione; sulle note di “Let the power fall” di Robert Fripp, grazie alle geniali luci progettate da Howell Binkley, compianto co-fondatore della Parsons Dance, la divina Zoey Anderson si sposta da un punto all’altro del palco aumentando gradualmente la velocità sino a quando il suo movimento stesso non viene trasformato, tramutato, modificato, trasfigurato dalle magnifiche luci stroboscopiche che la illuminano, catturandola soprattutto mentre è nell’aria, a intermittenza, mentre salta, corre, danza, padrona assoluta di una performance che, magistralmente eseguita, ha davvero del soprannaturale.

Con un altro cavallo di battaglia della Compagnia, si conclude la serata: “Shining star” del 2004 è una esuberante suite di danze eseguite sulle canzoni senza tempo degli Earth, Wind & Fire (nello specifico, il brano che dà il titolo alla coreografia, seguito da “That’s the way of the world”, “September” e “Can’t hide love”) che celebra un profondo e duraturo amore, sostenuto e festeggiato dagli amici che circondano la coppia, gioendo della bellezza e della luce che la stessa irradia. In realtà, la pièce fu commissionata a Parsons da Sandy Weill che intendeva omaggiare sua moglie Joan per lo straordinario impegno e dedizione nei confronti dell’Alvin Ailey American Dance Theater, un’altra delle compagini di danza più famose al mondo; David diede fondo a tutta la sua giocosa arguzia abbinando al messaggio d’amore dedicato ai coniugi Weill alcune tra le canzoni più popolari e familiari della storia della musica di tutti i tempi, così da creare una celebrazione della vita che fosse universale, messaggio di cui mai come ora la gente ha bisogno, talmente ipnotica ed attraente da riuscire a spingere anche un anziano cronista a saltare sulla sua poltrona.

Al termine, tra le ovazioni finali, mai così ‘sonore’ a mia memoria, la ciliegina sulla torta di una serata indimenticabile: l’apparizione sul palco del Maestro, credo per la prima volta a Bari nonostante la Compagnia sia ormai di casa dalle nostre parti, quasi a voler testimoniare che lo spettacolo cui avevamo assistito altro non fosse che la summa delle sue speranze, dei sentimenti, delle emozioni e dei sogni; pensieri sparsi, considerazioni sulla varia umanità, flash da cui affiora il Parsons pensiero che tanto amiamo, e quella strana fusione di ironia e fantasia che altri diranno essere pura e semplice danza, ma che noi abbiamo imparato a chiamare gioia.

Pasquale Attolico
Foto dal sito della Compagnia

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.