“Dio c’è” di Daniela Baldassarra: il sarcastico percorso dall’ironica rilettura di brani del Vecchio Testamento all’analisi della sudditanza sociale e culturale delle donne moderne

Sul palcoscenico spoglio, abitato solo da un leggio e da tre cavalletti coperti da drappi neri, l’attrice apre con la lettura compunta e ispirata del brano della Genesi in cui si racconta della donna nata da una costola dell’uomo, riconosciuta da lui stesso come ossa delle sue ossa. Eva è tuttavia animata da un istinto di curiosità e trasgressione che la spingerà a mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, disobbedendo all’unico veto imposto dal Creatore. Da questo momento in poi, lei e tutte le altre donne verranno consciamente o inconsciamente associate dalla cultura giudaico-cristiana al simbolo demoniaco del serpente e quindi del male, premiando solo l’archetipo materno in quanto garante della specie e facilmente controllabile.

Dio c’è“, andato in scena al Teatro Abeliano di Bari nell’ambito della rassegna “ToTheTheatre” ideata da Vito Signorile, è l’ennesima provocazione di Daniela Baldassarra, che in un monologo di sessanta minuti racconta una nuova tappa del suo personalissimo viaggio nell’universo femminile e lo fa, come sempre, con un linguaggio che sa essere ironico e sarcastico, ma anche delicato e profondo.

La Baldassarra ci ha ormai abituati a continui salti tra momenti di riflessione e racconti dissacranti. Anche in questa occasione abbandona subito il tono ieratico, aprendo ad una rivisitazione semiseria di alcune storie del Vecchio Testamento, nelle quali da un lato è presente un Dio bellicoso e vendicativo, dall’altro si narra di donne che (allora come ora) valgono meno di niente, schiacciate e calpestate da retaggi culturali davvero duri a morire.

Così racconta la vicenda biblica di Dina, figlia di Giacobbe, abusata da Sichem e poi usata come merce di scambio tra famiglie animate da sete di potere, o la barbara legge della Defensa, che permetteva allo stupratore colto sul fatto di liberarsi dalla pena gettando una manciata di monete sulla vittima (legge del 1231, rimasta in vigore fino al 1500). Ma ci parla anche della bellezza dei Cantico dei Cantici, della poesia e dell’eros potente ed esplicito che ha spinto la Chiesa a vietarne la lettura o a sublimarla, togliendole il significato primo di poema erotico. E ci racconta anche del Sì della Madonna, monosillabo libero al quale la redenzione e lo stesso Dio restano “appesi”.

Il percorso di questa autrice-regista-attrice si esprime con coerenza sulla scena, ed è costantemente rivolto a sottolineare la condizione delle donne in un mondo che ancora le schiaccia, togliendo loro l’energia vitale, la legittimazione del desiderio sessuale e la capacità di difendere i propri diritti in un clima di giusta parità con l’uomo; ci si ritrova, così, a condividere un excursus semiserio e sarcastico che parte dall’ironica rilettura di brani del Vecchio Testamento per giungere a raccontare con piglio dolce-amaro la sudditanza sociale e culturale delle donne moderne.

Daniela Baldassarra è ormai padrona di un sapiente uso del linguaggio e ha dalla sua una incredibile empatia: questo le permette di trascinare il suo pubblico, che resta avvinghiato all’iperbole narrativa e non se ne discosta, fino alla fine.
Dio c’è è senza dubbio uno spettacolo godibile, in cui si ride di gusto, ma nello stesso tempo si mastica amarezza nel constatare il permanere della violenza e della violazione della dignità femminile. Il testo ben rodato e limato nel tempo (è del 2019) ha una travolgente comicità e un finale che non ti aspetti, potente ancorché scarno, in cui trovano finalmente senso i cavalletti coperti da drappi neri, in scena sin dall’inizio. Uno stacco deciso, quasi una cesura netta rispetto ai toni forti usati fino ad allora, e una Baldassarra che ricapitola, riunisce, offre un senso nuovo alle cose e al dolore delle donne e degli uomini (e perfino di Dio).

Imma Covino

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