Il duo Travaglini/Succi scrive, tra virtù e virtuosismi, il proprio “Book of innocence” per la Notami Jazz

Le virtù sono qualcosa cui il genere umano prova da sempre a tener fede, con risultati invero alterni. Proviamo a elencarne le maggiori, quelle teologali, proviamo a scriverci su interi decaloghi e testamenti. La verità è che la virtù, nel momento stesso in cui la definiamo, quasi sempre con una buona dose di vanità, sfugge dalle nostre mani.

A loro modo, ci provano anche Stefano Travaglini e Achille Succi, rispettivamente al pianoforte e al sax alto e clarinetto basso, in “Book of innocence”, la più recente delle fatiche discografiche delle edizioni Notami sezione Jazz. Il disco è una galleria di virtù appese al muro dell’ascolto dalla composizione di Travaglini, in cui trova posto, come in ogni mostra d’arte che si rispetti, un incantevole tributo a Pat Metheny con “Travels”.

La title track è un piccolo scrigno di jazz sinfonico, una sonata scorrevole, riflessiva, con un equilibrio delicato e di senso tra i due musicisti.

Con un prodigio di fuga al piano che parte dalla mano sinistra, “Rothko” dichiara subito l’intenzione dell’album di stupire ascoltatrici e ascoltatori. Le campiture del piano sono intervallate dagli strappi di Succi, come se si trattasse davvero di un quadro del noto pittore novecentesco.

Il fraseggio di “Bauci” invoca il mito balsamico cui il pezzo è ispirato, con un dialogo ben costruito all’interno del duo, laddove per “Silent Moon” con tutta probabilità prendiamo per mano il pastore errante dell’Asia, elegantemente come la musica pare interpretare i versi leopardiani:
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
di riandare i sempiterni calli?

Prima di ascoltare “Polymorph” mi aspettavo una musica cristallina, dalle forme compositive frattaliche, ed è esattamente ciò che offre il brano, in continua evoluzione come in un caleidoscopio. Sempre evolutiva, ma con leggeri ostinati del piano che si riportano alla struttura del mantra, “Vipassana”, lo stato della mente calmata e focalizzata, prima che “Turning tables”, la traccia successiva, rigiri davanti all’ascolto degli specchi d’illusione sia del clarinetto basso che del piano.

Blues for the days to come” offre una fluida sintesi dei concetti espressi nei pezzi precedenti.

Differentemente dal catalogo di una mostra, un disco può ripetere la propria esperienza e offrirsi alla contemplazione tutte le volte che si vuole, e “Book of innocence” merita più di una visita.

Beatrice Zippo

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.