La volontà di creare, invece di un film, una serie non banale su una storia tanto improbabile quanto affascinante è un merito che, per una volta, non possiamo negare ad Amazon Prime Video. “The bad guy“, nello specifico, è la storia di un magistrato antimafia che, incastrato, decide di “passare al nemico” diventando egli stesso un cattivo, una persona che scende agli inferi della malvagità per cercare di vendicare se stesso, innanzitutto, e concludere il lavoro che, da giudice, non gli era riuscito.
Le prime puntate, la prima stagione, in realtà sembrano essere solo il prologo di quello che gli autori ci riserveranno nei prossimi anni (di certo non uno solo). Bisogna riconoscere che lo strumento seriale, rispetto al film unico, permette di illustrare i personaggi in maniera non stereotipata.
Gli autori Ludovica Rampolli, Davide Serino e Giuseppe G. Stasi, quest’ultimo, insieme a Giancarlo Fontana, anche regista, dedicano spazio e inquadrature alla definizione delle maschere che si agitano nelle sei puntate necessarie per farci collocare la vicenda, non solo e non tanto nello spazio-tempo in cui si snoda, ma soprattutto nel territorio della personalità umana. Gli sceneggiatori non indulgono in facili performance secondo uno schema, si potrebbe dire, di default, con un magistrato pensoso ma rivolto al solo benessere della collettività ed al suo eroismo cui si contrappongono mafiosi tutti uguali al padrino de “Il giorno della Civetta”. Qui il protagonista è piuttosto antipatico, o meglio, decisamente antipatico e fuori dagli schemi. Tratta tutti male e, in verità, non è amato da nessuno.
Così gli altri personaggi, dalla moglie, avvocato penalista di successo (difende e ottiene l’assoluzione del Ministro della Giustizia, colpevole anche ai suoi stessi occhi), alla sorella, un’improbabile carabiniere del ROS dal carattere spigoloso, come il fratello, e dall’italiano incerto (particolare questo che male si sposa con l’appartenenza all’Arma). Più standardizzati i mafiosi che si muovono e si comportano come guerriglieri coinvolti in un colpo di Stato di un qualche paese sudamericano nell’idea che l’uccisione, o la cattura, del capo dei capi, latitante da una vita con ben 28 ergastoli sul groppone, sia un obiettivo politico più che di potere e di denaro proprio della malavita.
Particolarmente indovinata la scelta dei luoghi, dagli appuntamenti sotto un’opera chiaramente in stato di abbandono e scassata, al villaggio marino Waterworld, luogo in cui i nemici vengono trattati come fa la Spectre, organizzazione segreta e cattivissima che vuole dominare il mondo, in 007 Operazione Tuono.
Gli attori si muovono sul palcoscenico tutti in modo sufficientemente armonizzato e senza sbavature. Sono veramente tanti, per cui concedetemi di citarne i principali. Nino Scotellaro /Balduccio Remora, interpretato da Luigi Lo Cascio, mai banale, in una parola ottimo. Luvi Bray, interpretata da Claudia Pandolfi, un lupo vestito da agnello cui l’attrice regala spessore anche se in certi momenti sembra una bella senz’anima Leonarda Scotellaro, sorella di Nino, entrata nei Carabinieri raccomandata dal fratello, è interpretata da Selena Caramazza, scostante e al tempo stesso rigida ed inflessibile con luci ed ombre ugualmente forti che vengono rese dall’attrice in maniera coinvolgente, tanto che affascina pur nella ruvidezza dell’interpretazione. Salvatore Tracina è il boss pentito (per convenienza) del clan dei Tracina, una specie di Caligola pazzo e crudele che non teme nulla, interpretato da Vincenzo Pirrotta, splendido nella sua assoluta follia. Cataldo Silvio Maria Palamita, il braccio destro di Mariano Suro, è reso da Fabrizio Ferracane in maniera sempre impeccabile come un attore di grande esperienza e professionalità sa fare. Mariano Suro, il capo dei capi di Cosa Nostra, l’assassino di Paolo Bray, suocero di Nino, responsabile di 200 omicidi, 28 ergastoli, detto “lo Squalo Bianco” è un sorprendente Antonio Catania. Teresa Suro, figlia di Mariano, data in moglie a Vincenzuccio Tracina (figlio di Salvatore Tracina) in segno di pacificazione tra le due famiglie mafiose, è interpretata senza deragliamenti da Giulia Maenza che riesce a cambiare il registro da moglie annoiata a madre cacciatrice, senza salti. Infine, Vincenzuccio Tracina, interpretato con attenzione da Ivano Calafato.
Colapesce e Dimartino firmano la colonna sonora bella e, per il genere, inaspettata.
La fotografia è semplice, ma efficace; le immagini talvolta sembrano fini a se stesse, ma in realtà appaiono connesse allo spirito della vicenda. Infine, l’uso della lingua siciliana senza risparmio è un particolare che rende la vicenda, pur nella sua irreale costruzione, un’ipotesi apparentemente concreta.
Insomma, una serie tv da non perdere. Solo su Amazon Prime.
P.S.: Per noi miscredenti, questa serie è la prova che il ponte sullo Stretto si farà!
Marco Preverin