Il Re è morto. Viva il Re. Il ricordo del passaggio da Bari del grande Pelè.

Correva l’anno 2009, era più o meno il 30 giugno, il Bari era stato promosso in A con Antonio Conte e si viveva di entusiasmo in città. Quando ad un tratto venimmo a sapere che in città avrebbe attraccato una nave crociera, la “Costa Serena” che avrebbe promosso i legami commerciali tra Brasile ed Italia. Il testimonial fu proprio lui, Edson Arantes do Nascimento, detto Pelè per i calciofili, un nome solo apparentemente riduttivo in relazione al suo blasone, un nome che poi ha fatto la leggenda.

Avevo dieci anni, nel 1970, o giù di lì, avevo cominciato a “capire” di calcio, Cicogna aveva appeso le scarpe al chiodo e i miei idoli erano Busilacchi, Spimi, Galli, Mujesan, Fara, Canè, Spalazzi, Haller, Bulgarelli, Cinesinho, Clerici, Amarildo, Gigi Riva, Mazzola, Corso, Rivera, Anastasi, Albertosi, Superchi, Pizzaballa, tutti incastonati come gemme nell’album Panini, anche se ciò che apprendevo aveva dei fisiologici limiti, nel senso che non badavo ai moduli (anche se all’epoca non esistevano), non badavo ai ruoli, badavo solo ai gol e alle parate dei portieri, piccole grandi esaltazioni personali con le quali gioivo o mi disperavo.

Non ho nitidissimi ricordi di Italia – Brasile del Messico, ma ricordo bene lui, Pelè, che fece impazzire la difesa degli azzurri di Valcareggi, forse uno dei più scarsi CT che la Nazionale abbia mai avuto, uomo di scarso polso, incapace di prendere decisioni proprie sullo schieramento di Rivera o di Mazzola perché preferiva ascoltare Gianni Brera e Mandelli, i quali osteggiarono Rivera preferendogli Mazzola (da lì, poi, nacque la nota competizione popolare tra i due).

Da bambino, una volta fulminato da lui, cominciai ad avere degli obiettivi: il primo fu quello che avrei voluto vedere i canguri, animali da me molto amati, paventando, quando sarei diventato grande, un improbabile viaggio in Australia, poi un autografo di Gigi Riva, che già cominciai ad apprezzare, quindi un altro di Pelè. Giusto per andare a fondo, man mano che crescevo a scuola, cominciai a pensare ad altri due obiettivi: un viaggio in Islanda ed un altro a Cnosso con l’obiettivo di sedermi sul trono di Minosse, cosa vietatissima. Quest’ultimo “sogno” lo realizzai nel lontano 2001 (tre giorni dopo l’attentato alle Torri Gemelle) contravvenendo ad un draconiano divieto, mentre il viaggio in Islanda rimane, per ora, un sogno.

Ebbene, tornando a Pelè, ricordo che arrivò una mail al mio giornale nella quale si comunicava che chi fosse interessato avrebbe dovuto fare richiesta di accredito per salire a bordo della nave per assistere alla conferenza stampa di Pelè. Il mio direttore inoltrò regolare richiesta di accredito con il mio nome ed io andai al porto e salii sulla nave. Vederlo – potete immaginare – mi emozionò moltissimo perché si era avverato uno dei miei sogni di bambino. E sempre come fossi un bimbo, ricordo che mi feci autografare il mio quaderno di appunti, un autografo che conservo gelosamente insieme a quelli di Gigi Riva, di Springsteen e di moltissimi altri personaggi a cui, da ragazzo, sfacciatamente li richiedevo, poi dopo i 40 anni questa forsennata esigenza scemò pian piano. Ricordo che non ci fecero fare foto accanto a lui perché il protocollo non lo prevedeva e mi dispiacque molto perché sarebbe stata la cosa più bella della mia vita. Mi accontentai di qualche foto, due delle quali fanno da corollario a questo articolo.

Pelè, il giocatore più forte di tutti i tempi anche se in molti, soprattutto i più giovani, forse a ragione, ne ridimensionano i meriti perché, secondo loro, Pelè ha giocato in un periodo storico calcistico diverso da quello degli anni a venire e, sempre secondo costoro, non si è mai misurato con il calcio europeo, se non in alcune gare contro nazionali europee. Lui era poesia pura, un giocatore che non si deconcentrava mai, era sempre costante per tutti i 90 minuti diversamente da Maradona e da Messi che, pur nella loro indubbia bravura, si concedevano (e Messi continua a concedersi) momenti di opacità nelle gare. Lui no. Pelè giocava 90 minuti alla grande e deliziava il pubblico che lo guardava in TV in bianco e nero con i suoi numeri spettacolari, gol incredibili, rovesciate, colpi di testa con le gambe staccate dal terreno di due metri, finte, controfinte, tunnel, avversari saltati come birilli, fantasia, tutto genio e nessuna sregolatezza a differenza di Maradona, altro grande campione e fuoriclasse.

E poi quel ruolo nel film “Fuga per la vittoria“, e chi se lo dimentica insieme ad Ardiles, Bobby Moore, Deyna, con Stallone e Caine a far loro da cornice.

Lui campione in campo e fuori, venuto su a pane e povertà dalle favelas e diventato quel che è diventato senza sponsor, senza diritti di immagini, senza nulla, solo pallone marrone, maglietta gialla, calzoncini verdi, e umiltà.

Altro che Cristiano Ronaldo.

Massimo Longo
Foto di proprietà dell’autore

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