La Compagnia Diaghilev incarna perfettamente l’apologo pirandelliano de “L’uomo, la bestia e la virtù” all’Auditorium Vallisa di Bari

L’essere umano indossa una maschera che occulta la sua vera natura, ma viene giudicato proprio per la maschera che indossa.

È questo il paradosso pirandelliano, estremizzato ne “L’uomo, la bestia e la virtù”, che la Compagnia Diaghilev porta in scena a Bari, all’Auditorium Vallisa fino al 29 gennaio, con la regia di Paolo Panaro, in un atto unico in cui si mescolano commedia, farsa e dramma.

Tratto dalla novella Richiamo all’obbligo (1906), nasce come un apologo in tre atti nel 1919, anno in cui viene anche portato in scena per la prima volta. Accolto piuttosto freddamente dal pubblico, col tempo è diventato uno dei testi più rappresentati e di maggiore successo del teatro pirandelliano. L’autore stesso, in una lettera spedita ad Antonio Gandusio (teatrante fra i più famosi dell’epoca) subito dopo avergli inviato la commedia, ne spiega il senso e il tono volutamente farsesco e grottesco: “Ella avrà certamente notato il riposto senso di essa, pieno dì amarezza beffarda, che la fa una delle più feroci satire contro l’umanità e i suoi astratti valori. La comicità esteriore della favola non è che la maschera grottescamente arguta di questa amarezza: l’avrei voluta anche, se non avessi temuto di offender troppo il pubblico e gli attori che debbon recitare le parti, più sguajata, per una superiore coerenza estetica. Deve avere per forza una faccia di buffoneria salace, spinta fin quasi alla sconcezza, vorrei dire una faccia da baldracca, questa commedia ove l’umanità è beffata così amaramente e ferocemente nei suoi valori morali. L’espressione di questo senso riposto culmina chiara, lampante, nella scena del secondo atto, in cui L’uomo, cioè il signor Paolino, trucca la signora Perella, cioè la Virtù, come una baldracca appunto. Perché questo senso riesca esplicito, tutta l’impostazione delle singole scene(…) deve essere caricaturale, per modo che la commedia appaia veramente un apologo(…).

Ed è davvero un sapiente gioco di maschere questo apologo: la maschera dell’integerrimo professor Paolino (l’uomo) che in realtà non ha avuto remore nel diventare l’amante della signora Perella (la virtù), madre devota e moglie trascurata, tutta modestia e pudicizia anche se incinta per una relazione adulterina. E poi la bestia, il burbero capitano Perella, che a Napoli ha formato un’altra famiglia (con numerosa prole) e rifugge dalla legittima consorte nelle sporadiche occasioni in cui torna nella casa familiare.

È questa la società che Pirandello ci presenta: una società che pratica una falsa onestà, che in apparenza accetta le norme comuni e le convenzioni e in segreto le trasgredisce. Senza l’incidente dell’inattesa maternità, i due amanti avrebbero potuto continuare a recitare in pubblico la loro parte di persone perfettamente in regola e irreprensibili e senza sensi di colpa.
Questi consolidati equilibri fondati sull’ipocrisia invece saltano per l’inaspettata gravidanza della signora, e il professor Paolino sarà disposto a tutto pur di tener fede al suo ruolo di uomo intransigente e integerrimo, cercando di sovvertire, manipolare e volgere a proprio vantaggio una situazione drammatica e potenzialmente esplosiva. Solo alla fine, quando le maschere saranno tornate al loro posto e le convenzioni sociali nuovamente rispettate, egli si porrà la domanda su chi sia (tra lui e il capitano) l’uomo, e chi la bestia.
Ma nello spazio temporale fra la scoperta dell’imprevisto e il rapporto riparatore, che coprirà la gravidanza adulterina, il professor Paolino cercherà ogni mezzo (compresi i dolci afrodisiaci e lo spingere la sua amante tra le braccia del marito, discinta e truccata in modo vistoso e provocante) pur di ripristinare lo status quo ante, comodo e confortevole per tutti.

Il consolidato affiatamento degli interpreti, la loro bravura, il ritmo che come sempre caratterizza ciascuna delle produzioni della compagnia Diaghilev, fanno di questa pièce un’ottima occasione per assaporare quell’umorismo misto ad amarezza beffarda che spesso caratterizza il teatro pirandelliano e che qui si esplicita in una commedia dinamica, che cattura anche per la scelta di portare (almeno nella prima parte) l’azione scenica tra le fila del pubblico. Il risultato è un susseguirsi di scosse, equivoci, sobbalzi, in un incalzare di emozioni e tensioni che sfoceranno in un lieto (?) fine dal retrogusto amaro, con le tre maschere che recupereranno il loro posto quasi sostenendosi e integrandosi a vicenda.

Bravi tutti gli attori, a cominciare dalle maschere grottesche di Deianira Dragone, serva scaltra, per continuare con Francesco Lamacchia, Mario Lasorella e Antonio Carella, che incarnano appieno il carattere farsesco della commedia.
Molto convincente Altea Chionna, vittima e carnefice nel ruolo della virtù, che in alcuni momenti assume quasi le movenze di una marionetta nelle mani degli uomini ai quali è affidata la regia della sua esistenza e che solo alla fine, ottenuto quanto necessario al recupero del suo status, si riappropria di quella sottile alterigia e pudicizia che erano state messe in dubbio dall’incidente di percorso.
Carismatico come sempre Paolo Panaro, che qui ritaglia per sé il ruolo del dottore, e bravissimo Roberto Petruzzelli, la bestia, un personaggio che istintivamente poteva essere interpretato usando (ci si conceda l’espressione) tutti punti esclamativi e tinte forti. Il merito di Petruzzelli è stato invece quello di saperlo modulare sapientemente, usando mezzi toni che gli hanno conferito corpo e spessore, superando la tentazione della semplificazione.
E infine Alessandro Epifani, che il testo vuole sempre in scena, protagonista assoluto e instancabile, che diventa antagonista con l’arrivo del capitano Perella, quando il fine da raggiungere lo renderà disposto a percorrere qualunque strada gli permetta di ripristinare efficacemente la sua maschera. Epifani riesce a dar vita ad un personaggio credibile nella sua ipocrisia, eccessivo senza mai diventare una macchietta, uno stereotipo, conservando le numerose e contraddittorie sfaccettature del personaggio pirandelliano.

Passione, cura, mestiere, ritmo: sono gli ingredienti con cui la compagnia Diaghilev compone questo apologo e lo offre ad un pubblico, coinvolto e partecipe fino all’ultima battuta.

Imma Covino
Foto di Vito Mastrolonardo
dal sito online della Compagnia

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