Le gare non sono tutte uguali al pari delle vittorie. C’è gara e gara, c’è vittoria e vittoria. C’è quella con cui ci si sbarazza dell’avversario, forte o meno che sia, con un risultato tennistico o pokeristico dove ti va tutto bene, dove l’avversario da cui ti aspetti una prestazione superiore, di colpo, risulta inconsistente e, magari, sbaglia l’approccio con la gara, facendo si che, in fondo, non è tutta farina del tuo sacco la pur meritata vittoria, e poi c’è la gara cosiddetta “sporca”, quella che si vince con difficoltà, con le mani sporche come quelle dei minatori che, gli attempati come me ricorderanno, cantavano i New Trolls nella celebra canzone “Una miniera”, nella quale i minatori tornavano a casa con le mani nere di fumo e bianche d’amore, felici di rivedere le mogli che li aspettavano. Ecco, il Bari di domenica assomiglia proprio alla canzone dei New Trolls.
Un Bari che si è sporcato le mani, magari non poi così tanto, ma se le è sporcate fino a raggiungere una vittoria meritata perché ha saputo soffrire, come sempre del resto, non si chiamerebbe Bari altrimenti, (molta) croce e (poca) delizia dei tifosi baresi, un Bari capace di farsi amare così come è capace di farsi detestare, incazzandosi e innervosendosi. E si perché domenica il Bari con il fanalino di coda per poco ci rimetteva due punti.
Abbiamo assistito ad un primo tempo scialbo, tranne che nei primi quindici minuti dove sembrava che tutto sarebbe scivolato liscio, poi, come spesso capita, il Bari ha riacceso le speranze dei calabresi, ha infuso loro coraggio fino al pareggio che, inutile girarci intorno, è stato meritato non tanto per quanto han fatto vedere quelli del Cosenza (poco o nulla) quanto per l’atteggiamento quasi remissivo dei baresi che, di punto in bianco, hanno deciso colpevolmente di arretrare il baricentro vivacchiando con qualche ripartenza e qualche bolsa e prevedibile trama di gioco. Ma si gioca in casa, si deve dettare legge, si deve comandare il gioco, non subirlo se non occasionalmente soprattutto quando ad incontrarsi sono la quinta contro l’ultima.
Cheddira, come accade da un po’, non ne azzecca una coi piedi, nel senso che non riesce a controllare il pallone quando lo riceve tra i piedi, il più delle volte lo perde sempre però lui risponde coi gol. Insomma, magari lo si vede poco in campo, anzi, fa pure incazzare perché da lui ci si aspetta molto, però segna e fa gol e mette a zittire tutti. Del resto è capocannoniere in classifica marcatori, ha contributo con più del 60% nei 40 gol segnati tra quelli fatti, assist e rigori procurati, cosa si vuol più da lui? Ad avercelo sempre uno come lui. Spesso si tende a criticare un giocatore simile perché a Bari è sport olimpico, al pari di Pucino, per molti non particolarmente brillante, ma poi alla prova dei fatti, un giocatore decisivo, suoi, infatti, i due cross che hanno fatto andare in gol Antenucci a Ferrara e, appunto, Cheddira ieri. Magari non brillerà di iniziativa propria in fase di copertura, però si bilancia con le ripartenze in attacco e spesso diventa decisivo. Del resto non si può ottenere tutto dalla vita, non è Maldini lui, e nemmeno Jarni, è solo Pucino e tanto basta per tenercelo stretto e caro.
Scheidler continua a non convincere, si fa davvero fatica a capire come possa valere due milioni di euro, fatto sta che le chances non gli mancano, a Cittadella fece bene ma non benissimo, prende botte e sportellate, fa alzare la squadra, ci mette tutto l’impegno del mondo ma da un attaccante ci si aspettano soprattutto i gol e non solo l’aiuto alla squadra e i sacrifici. Ha bisogno ancora di tempo? Il punto è che tra tre mesi termina il campionato. Aspettiamolo ancora, chissà che non ci smentisca tutti diventando l’alter ego di Cheddira l’anno prossimo come spesso capita nel calcio.
Battere il Cosenza non sarebbe stata un’impresa perché si giocava con il fanalino di coda, però la vittoria conseguita in questa maniera mette in luce il motivo per cui il percorso del Bari è altalenante. Il Bari non è una corazzata e nemmeno uno squadrone, quello semmai lo sono Frosinone, Genoa e forse il Cagliari che, ci auguriamo da lunedì prossimo in poi, uscirà dal centro classifica, perché se fosse stato tale avrebbe cominciato a vincere con più frequenza in casa evitando di lasciare punti a destra e manca, ed invece lo ha fatto fino adesso. Inesperienza, errori di valutazione, qualche giocatore non ha reso come avrebbe dovuto, fatto sta che il Bari ha perduto punti su punti in casa, differentemente dal ruolino di marcia esterno, forse uno dei primi in classifica. Ecco perché non è uno squadrone. Però è una squadra, ha un’anima precisa, ha un cuore che batte forte e che fa sognare i tifosi, perché a farli sognare non ci vuole niente, basta un terzo posto seppure in compagnia di due squadre, l’una in fase calante, l’altra neopromossa come il Bari che, ad occhio e croce, dovrà prima o poi cedere lasciando il posto a compagini più attrezzate come capita sempre nel calcio, salvo, ovviamente, eccezioni che pure esistono.
Lo “scient of premiere league” è forte, intenso, si insinua dai buchi delle serrature di tutte le abitazioni della città, impossibile non inalarlo, è troppo forte. Certe gare, come quella di domenica, lo intensificano perché, come scritto prima, sono gare difficili, sporche, dove vincere anche per uno a zero al 95′, magari su autorete o su rigore, vale doppio e fa capire tante cose. Ad iniziare che solo le squadre forti (non le corazzate e nemmeno gli squadroni) riescono in tal senso, altre squadre meno attrezzate avrebbero perso o si sarebbero fatti infilare il gol del pareggio, ed invece il Bari ha resistito così come ha resistito a Ferrara dopo il terzo gol estense. Qualcosa vorrà dire, mica si resiste, soffrendo, così, tanto per soffrire e resistere. Certo, quei gol subiti su cross da inizio stagione fanno incazzare e lasciano l’amaro in bocca. Là dietro abbiamo fior di giocatori, di esperienza, e subirne uno-due ci sta, capitò anche a Baresi, a Cannavaro e Nesta, ma subirne tanti no, questo non va assolutamente bene. Subirne uno su azione o su punizione è diverso, ma subirne tanti sui cross dà molto fastidio, così come si soffre troppo, più del previsto con gente di spessore come quella che ha il Bari nella rosa. E, forse, è questo uno dei motivi per cui il Bari è terzo e non primo o secondo.
Il timore era quello di far resuscitare anche Zarate dopo aver fatto resuscitare Nainggolan a Ferrara, il Bari è da sempre pratico in queste situazioni, fa sempre la crocerossina ai moribondi. Meno male come è andata, tra l’altro Zarate è sembrato aver almeno 10 chili in più.
Ma il campionato è lungo ancora. Occorre solo capire quali sono le intenzioni della società, se tentare la scalata o se rimandarla.
Però, per favore, che non si illuda nessuno. Perché le illusioni fanno male dopo tanta sofferenza patita dai tifosi nel corso degli ultimi dieci anni e loro non lo meritano. Si, certo, da lassù nessuno ha promesso la promozione, per quest’anno la salvezza è stata proclamata unico obiettivo e, forse, lo si è già raggiunto (forse), nemmeno il Sudtirol, probabilmente, ha messo in preventivo la promozione eppure si trova là. Però con una squadra così attrezzata, con una squadra piena di alternative in ogni reparto, con giocatori che non saranno tutti dei Maradona ma che garantiscono esperienza e qualità, non si può non sognare.
E allora, forza e coraggio. Proviamoci, ma per favore, ove non dovessero riuscirci – e mettiamolo in preventivo -, che nessuno si permetta di esternare veleni, rancori e sguaiatezze, di esporre striscioni contro la società che in cinque anni ha ottenuto due promozioni (e mezzo) ed è stabile tra i primi cinque posti in B. Cosa si vuole di più? Tanto sappiamo bene che in un modo o in un altro il Bari avrà una solida continuità societaria con la Filmauro (cosa improbabile) o senza Filmauro (cosa più probabile).
Massimo Longo