“Gli Spiriti dell’Isola”, il film di Martin McDonagh con Brendan Gleeson e Colin Farrel: quando i confini fisici sono parte degli uomini

Si dice che vivere in un’isola non sia dimorare in un luogo fisico ma essere in un territorio dello spirito confinato dal mare. Qui gli uomini debbano confrontarsi perennemente con se stessi, con la loro solitudine, le loro contraddizioni e la loro capacità o incapacità di vivere insieme agli altri abitanti di quello spazio. Anche le isole più grandi, come il Regno Unito o la Sicilia (tanto per citarne due vicine a noi), generano esseri umani che, rispetto a noi continentali, hanno uno sguardo diverso sull’orizzonte.
Il mare è confine vero. Non è una linea tracciata sulla carta geografica, consente lo scambio ma non il mescolamento. Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori.

Sembra questo il presupposto che ha condotto Martin McDonagh a sceneggiare e poi dirigere The Banshees of Inisherin, titolo originale, intraducibile, del nostro Gli Spiriti dell’Isola.
Un’isola irlandese inventata, Inisherin, circondata da un mare freddo e contornata di approdi non facili, che rappresenta un luogo isolato dalla terraferma. Abbastanza vicina perché da lei provengano i suoni della guerra civile irlandese ma così difficilmente raggiungibile da essere di fatto un altro mondo. Si vive con poco. La giornata lavorativa termina alle prime ore del pomeriggio. Il resto del giorno passa, per gli uomini, al pub e per le donne (vestite tutte come le pie donne ed incredibilmente simili alle nostre isolane di tante fotografie) in casa a chiacchierare.
I viventi, donne e uomini, esistono in questo spazio rarefatto apparentemente senza senso. In tale apparente vuoto, si sviluppano i rapporti umani tra un musicista, alla ricerca della ballata che possa garantirgli uno scopo nella vita, ed un contadino, che prende la vita così com’è in quell’isola.

Il regista, nel suo raccontare, ci rende perfettamente il lento scorrere del tempo e l’ossessione che deriva dalla presenza “solo” delle piccole cose. I piccoli gesti quotidiani non sono accessori della vita ma diventano la vita stessa, che va raccontata, anche ossessivamente, nel tanto tempo formalmente libero dei viventi. Su tutto, aleggia la Banshees, spirito dell’isola che prevede gli eventi perché conosce il cuore degli uomini. Banshees è la giovane ed eterea donna che, nella tradizione irlandese, preannuncia le morti e il suo apparire è sempre funesto. Qui, nelle vesti di una vecchia con un bastone ad uncino, non si limita a indicare ai parenti la morte ma, quasi come una delle tre parche in salsa celtica, a tagliare il filo della vita.

Anche gli attori, in personaggi statici ed emotivamente dilatati, si muovono con professionalità ed esperienza sulla scena.
Brendan Gleeson, dalla faccia scavata e senza alcun belletto, ci rende un personaggio dolente e disperato, afflitto dall’apparente inutilità della sua vita, alla perenne ricerca di una canzone che gli permetta di rimanere nella memoria di chi sopravviverà. Non ci sono momenti di incertezza nella sua interpretazione. Supporta, e certamente permette alla versione italiana di rendere al meglio l’interpretazione, l’ottimo doppiaggio di Rodolfo Bianchi.
Colin Farrel, pur bravo, rimane sempre figlio della recitazione di Hollywood. L’espressione deve spiegare al pubblico l’emozione. Quindi l’attore deve “fare le facce” che permettano a noi spettatori di capire cosa sta pensando. Migliora senz’altro il tutto l’ottima performance di Simone D’Andrea, suo doppiatore.
Gli altri attori, ivi compresa l’ottima Kerry Condon, ben supportata dalla bella voce di Myriam Catania, il giovane Barry Keoghan, doppiato da Mirko Cannella, e il più meccanico Gary Lydon, doppiato da Franco Mannella, rappresentano puntelli per meglio focalizzare i personaggi fondamentali.

Le immagini e le fotografie, ad opera di Ben Davis, sono certamente belle anche se richiamano un po’ lo stile National Geografic. Naturalismo da sfondo di computer. Le musiche di Carter Burwell accompagnano le immagini in maniera coerente.

Il film è da vedere al cinema, se ci andate preparati.

Marco Preverin

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