Di film che parlano del passaggio dal cinema muto a quello sonoro sono ricchi gli archivi di ogni cineteca perché, come è a tutti noto, ai cineasti piace tantissimo parlare di se stessi e del loro mondo.
Babylon però, a differenza di The Artist o di Singing in The Rain, non racconta storie di riscatto o di vittoria ma, senza nostalgia, vuole raccontarci l’essenza stessa del cinema dei pionieri. Nei sogni, come nel cinema delle origini, le immagini sono mute e noi le vediamo scorrere talvolta frenetiche, talaltra lente o romantiche ma, in ogni caso, saranno le ambientazioni, le espressioni del viso e dei corpi a trasmetterci la serenità dei sogni o lo stress degli incubi.
Così Damien Chazelle, regista e sceneggiatore del film, concentra la nostra e la sua attenzione sulle scenografie e sulle immagini di un mondo rutilante e folle che, nella maniera più disordinata possibile, produce e genera pellicole in continuazione, ma non in serie, come gli artigiani prima dell’avvento della macchina a vapore.
I personaggi che si avventurano in questo mondo, fatto di improvvisazione, di esagerazione in tutti i sensi, di gioventù anarchica ed edonista, sono ricchi di volontà di stupire e godere al massimo, senza pudore, del loro stato di grazia.
Gli attori non sanno recitare, lo dimostrerà il film sonoro, ma sanno coinvolgere il pubblico e far vivere agli spettatori il sogno breve di una storia romanzata.
Chazelle sceglie la voglia di stupire e di ogni personaggio esagera – ma poi non troppo visto i riferimenti – i difetti, cogliendo a piene mani nella vicenda dei protagonisti che hanno vissuto in quegli anni. Il fascinoso e famosissimo, all’epoca, John Gilbert – ha girato poco più di 100 film tra il 1915 ed il 1934, con ben 8 film nel 1918, (praticamente uno al mese se togliamo le vacanze), bevitore incallito in pieno proibizionismo, donnaiolo impenitente – è l’ispiratore del personaggio di Brad Pitt, doppiato come sempre da Sandro Acerbo (che senza di lui non sarebbe neanche Brad Pitt). Pitt sceglie un registro lieve, senza alcun approfondimento drammatico del personaggio, creando la figura di una persona superficiale e innamorata di se stessa tanto da non riuscire nemmeno a capire il flop del suo primo film sonoro finché non glielo dicono.
Il suo contraltare femminile è Clara Bow, attrice di grande successo negli anni fra il 1927 ed il 1933, dal passato difficile e di breve carriera, ebbe la fama di sex symbol arrivando a ricevere 45.000 lettere alla settimana dai suoi ammiratori (fonte wikipedia) e morì a sessant’anni a causa dei suoi gravi disturbi mentali. Margot Robbie, perfettamente doppiata da Domitilla D’Amico, non la riproduce, ma la reinterpreta, dandole l’aria di una fuggitiva sempre alla ricerca di qualcosa che non afferra e non riesce a risistemare: il personaggio più riuscito del film.
Controversa ed introversa, Nellie LaRoy affascina e respinge allo stesso tempo. Porta dentro di sé un dolore non detto e, malgrado gli eccessi ed il divertimento sfrenato, distribuisce solo dolore.
Ci guida per tutto il film Manuel Manny Torres, interpretato da Diego Calva (doppiatore Jacopo Venturiero), che assiste alla gloria e alla fine della storia del cinema muto. Unico tra i personaggi capace di reinventarsi e adattarsi al nuovo modo di fare cinema, cadrà alla fine vittima del fascino impossibile del “vecchio” modo di vivere.
Intrigate e intelligente la figura di Eleonor St. John magnificamente resa da Jean Smart, doppiata molto bene da Aurora Cancian.
Riappare Tobey Maguire nei panni di un abbastanza improbabile gangster californiano più emaciato che maligno.
Tutte le tre ore piene del film sono tenute insieme da una colonna sonora travolgente e coinvolgente. Il Jazz di quegli anni, nella sua forma più spettacolare, è adattato e ripensato da Justin Hurwitz con l’utilizzo sfrenato dei fiati e dei tamburi.
Il senso apparente di tutto il film è nelle parole di Clara Bow: «Eravamo unici. Facevamo ciò che volevamo. Stavamo svegli fino a notte fonda e ci vestivamo come più ci piaceva. Percorrevo Sunset Boulevard sulla mia Kissell decapottabile con parecchi Chow Chow rossi che si abbinavano al colore dei miei capelli. Al giorno d’ oggi si sta molto più attenti allo stile di vita e si salvaguarda la salute. Ma noi ci divertivamo decisamente di più.»
Il film è da vedere.
Marco Preverin