Sei sconfitte consecutive, undici giornate senza vittoria, un punto su nove gare, penultima nella classifica di sconfitte patite (ben dodici), squadra con il maggior numero di reti subite, quarto cambio di allenatore, crisi, penultimo posto, un sei a due dell’andata, poi la discesa a picco in classifica, e infine l’alibi del non saper come si sarebbe schierato in campo a causa dell’avvento del nuovo allenatore, insomma gli ingredienti per confermarsi squadra votata alla risoluzione delle crisi avversarie c’erano tutti. Ed invece non è andata così. Il Bari ha sfatato questa fastidiosa etichetta che lo ha sempre contraddistinto nella sua lunga storia, sfoderando una buona prestazione pur correlata dalle solite ombre perché ad un certo punto nel secondo tempo si è visto nettamente che ha lasciato il pallino del gioco ai bresciani allorquando si sono spinti in avanti all’arrembaggio alla ricerca del pareggio che però non è arrivato grazie alla buona fase difensiva e al solito Caprile.
Una squadra, quella del Bari, che ha dato l’impressione di essere consapevole di ciò che vuole da questo campionato, o meglio da ciò che si può pretendere dopo il cammino positivo pur soffuso da qualche prestazione negativa, e per una neopromossa è tanto, tantissimo.
Un Bari pratico, essenziale, cinico che non ha dato scampo agli avversari con l’acqua alla gola. Certo non si vince mai per caso, salvo rarissime occasioni, la vittoria è quasi sempre è figlia di una “testa” a posto, di concentrazione, una testa entro cui frulla ciò che si deve fare e ciò che si vuole ottenere, poi vengono le gambe ed i piedi, ma se non c’è la testa giusta che in una partita occupa un buon 75% dell’obiettivo, non si va da nessuna parte, e sabato il Bari ha dato dimostrazione di avere la testa a posto, e “cioè, sul collo”, come diceva Totò in “Totò, Peppino e la malafemmina” nell’esilarante scena della lettera dettata da lui e scritta da Peppino De Filippo.
Anche quando è apparso in difficoltà non ha mai perso l’orientamento, anzi ha cercato di chiudere la pratica in più di un’occasione, ad esempio con Mallamo, con Benedetti, con Mazzotta e con Cheddira, ma le conclusioni sono state vane. Insomma, non si è chiuso come spesso fa e ha fatto, ha cercato il raddoppio che però è arrivato solo a tempo scaduto mentre i bresciani erano in terribile affanno per aver speso tutto quanto era nelle loro possibilità. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Da qui la praticità, l’essenzialità, il cinismo di una squadra che non si nasconde più nonostante i tanti colpi a vuoto casalinghi. Un Bari umile che ha creduto in se stesso.
Dicevo che adesso il Bari, dal suo terzo posto solitario, ha il dovere di non nascondersi più. Adesso dalla squadra e dalla società si pretende quel passo in più, quello di provare a raggiungere quel traguardo tanto ambito e sognato in città dal momento che il materiale a disposizione c’è, un traguardo che cozza con i proclami del presidente a Roccaraso quando, ad una mia precisa domanda, rispose che l’obiettivo, per quest’anno, era quello di salvarsi prima di tutto, quindi assestarsi in B e poi, nel terzo anno, lottare per la promozione, ma adesso si è in pista da ballo e occorre ballare perché vanificare tutto sarebbe controproducente oltre che dannoso per la piazza che da queste parti non perdona nessuno, una piazza ferita da troppe situazioni e che cerca disperatamente di tornare, senza tanti panegirici, in serie A. Punto.
Certo, anche arrivare terzo o quarto potrebbe essere un buon obiettivo perché garantirebbe alla squadra di saltare il turno preliminare del playoff, ma cerchiamo di vivere alla giornata e sperare in un passo positivo.
Vedete, il Genoa vince tranquillamente con la Spal in casa: il Bari no, il Bari non vince, né riesce a vincere con squadre sulla carta assolutamente alla portata tranne che occasionalmente e con punteggi striminziti, magari all’ultimo minuto e mettendo in campo troppa fatica in relazione ad una squadra di bassa classifica, e forse al di là della resa negativa di qualcuno in campo, e di qualche errore, forse è proprio questo il limite della squadra che così facendo rischia di non raggiungere l’obiettivo. Perché per raggiungerlo occorre costanza, equilibrio e soprattutto continuità e non che vince fuori casa e perde o pareggia in casa. Una squadra che lotta per la promozione non può permettersi passi falsi in casa. No. Altrimenti è inutile sognare.
Questa è una squadra con innegabili difetti ma nello stesso tempo straordinaria che vince sette gare in trasferta, un dato che ci rievoca la struggente stagione di Antonio Conte. Ha affondato il Brescia con cinismo, ha stretto i denti quando c’era da soffrire, ha colpito quando c’era da colpire e ha spinto quando c’era da chiudere la gara anche se pure sabato non sono mancate le sofferenze. Del resto da una squadra con l’acqua alla gola era da mettere in preventivo, in fondo anche il Brescia ha avuto le sue (poche) occasioni per far gol.
A questo punto della stagione, e per come si stanno mettendo le cose, l’unico rammarico credo non sia quello di aver perso punti in casa con Ascoli e Perugia, ma forse è quello di aver perduto in casa col Genoa dove anche non perdendo le cose si sarebbero messe ancora meglio, ma non si può avere tutto dalla vita.
Per il resto, ad un Bari al terzo posto a tre punti dal Genoa, signori cari, non gli si può dir nulla se non applaudirlo. Tutt’al più è lecito e deontologico elevare qualche fisiologica critica quando ritengo ce ne siano i requisiti perché il concetto del giornalismo, per me, è questo: essere super partes, criticare quando c’è da criticare, applaudire quando c’è da applaudire, descrivere il presente. Quei tanti gol subiti su cross non si possono nascondere, così come non si può nascondere che questa squadra non riesce a vincere con le “big”, sarei poco credibile e disonesto nel non evidenziarli, così come certe prestazioni sotto tono di qualcuno. E anche sabato non tutto è andato per il meglio, si è sofferto troppo contro la penultima in classifica, ma la vittoria alla fine mette tutti a tacere – me incluso – e mette la proverbiale polvere sotto il tappeto. Ci sta.
Una vittoria giusta, sporca, senza il supporto di Cheddira ma trovata con altre soluzioni. E’ anche “da certi sguardi – cantava Battiato – che si intravede l’infinito”. E non aggiungo altro.
Scheidler ha dato un calcio alle critiche, nel momento del bisogno c’è sempre. Tre gol li ha comunque segnati fino adesso in 737 minuti giocati (compresi i recuperi), è in fase di crescita, su un corner è stato lui a svettare, l’impegno è fuori dubbio. Grande la sua generosità, lui serve sempre in qualche modo anche se ci aspettiamo tutti che sfondi e che dimostri che vale due milioni di euro.
Benedetti è un ragazzo straordinario, molto serio, al suo primo gol in B, sembrava come se ne avesse segnati tanti in carriera, per poco non ha raddoppiato, poi è risultato presente dappertutto in campo, due suoi recuperi sono apparsi straordinari.
Zuzek ha fatto il suo compitino da piena sufficienza, ha dato una grande mano alla difesa insieme a Vicari che finalmente ha svettato su ogni pallone evitando grattacapi a Caprile.
Cheddira un po’ egoista con la conferma che sta perdendo un po’ di smalto tipico del girone di andata nonostante sia capocannoniere.
Botta in ombra ma avendo vinto il Bari non posso dire che non abbia dato il suo contributo ma da lui è lecito attendersi di più.
E adesso coraggio, che ce la si metta tutta a rincorrere il Genoa piuttosto che stazionare in zona playoff dei quali tutti noi abbiamo ricordi spiacevoli.
Il Bari è sempre matricola e non possiamo pensare che debba dettar legge nel campionato ma che non sia un alibi perché anche le matricole, ha detto la storia, possono tagliare traguardi prestigiosi. Quello che sta facendo il Bari è grandioso. Mignani è un bravo allenatore e si sta confermando, crescendo di gara in gara, dimostrando il suo valore. Anche sabato i cambi li ha azzeccati. Certo, in altre gare, come quella col Cagliari, forse ha “letto” male la gara, ma ci sta.
Ora c’è lo sprint finale, ci sarà bisogno di tutti e tutti sembrano rispondere “presente”, anche la panchina. Dispiace per Galano.
“No surrender”, canta il Boss.
Con tanti saluti a Cellino e ai suoi ridicoli anatemi.
Massimo Longo