Due ragazzi.
Nino e Gianni: la loro storia.
La Sicilia brulla degli anni ’80, assolata, vivida ed indolente, e, allo stesso tempo, prepotentemente oleografica con i richiami ai suoi riti patronali, con le luminarie d’obbligo, ed alla notte più magica di tutti i tempi, quella dei Mondiali di calcio del luglio 1982.
Una via di un paese, un non luogo, con il suo immancabile Bar Mokambo, e la varia umanità che lì davanti vive (?), attraversa un tempo senza confini certi.
Il motorino di Nino che sembra non fermarsi mai, i fuochi d’artificio magici sin dalla loro ideazione, la cava di pietra, la caccia alla lepre, icone di lavoro maschio con le quali significativamente si apre il film.
Le figure materne di Nino e di Gianni, così diverse ma entrambe solide, nella loro remissività, ed entrambe sorprendentemente determinanti per gli esiti finali.
La malinconia delle cose che finiscono, perché così succede, come dice Nino al nipote Totò che vive il dolore di un tradimento affettivo.
Alla fine però quello che conta è il coraggio di un amore che non ha steccati, supera drammaticamente i pregiudizi e si spersonalizza del tutto, frantumando tempi, convenzioni, visioni, confini stretti e riuscendo a togliersi di dosso “u bullo”, il marchio.
Quel che resta è la dolcezza degli sguardi, la condivisione del bagno in uno specchio d’ acqua intimo, la giocosità di un approccio che fa da antidoto alla violenza di un mondo, che però, per quanto arcaico riesce a rivelare qualche sprazzo di umanità.
Questo e tanto altro è “Stranizza d’Amuri“, opera prima di Beppe Fiorello alla regia.
Dedicato ad un fatto di cronaca realmente accaduto in Sicilia nel 1980, il film ruba il titolo ad una splendida canzone di Franco Battiato che racconta la memoria di un amore impossibile, capace di sopravvivere a qualsiasi contesto, anche il più negativo come quello della guerra. La musica del Maestro siciliano (viene ripresa anche l’hit “Cucuruccucu“) è il valore aggiunto della pellicola, assieme ai luoghi della Sicilia orientale scelti come location naturali della storia che ci viene raccontata: Noto, Marzamemi, Ferla, Buscemi, Priolo e Pachino, fanno da cornice alle vicende vissute dai protagonisti, interpretati da Samuele Segreto e Gabriele Pizzurro, cui si aggiungono gli altri membri del lodevole cast, tra cui occorre ricordare Fabrizia Sacchi e Simona Malato che danno spessore alle mamme dei due ragazzi.
Una visione che regala tristezza, ma che non può non innescare una profonda tenerezza ed empatia, che a volte basta un profondo abbraccio a veicolare.
Perché “manu manu ca passunu i jonna …
Mi sento stranizza d’ amuri”.
Lilli Arbore