E’ stata la vittoria perfetta a corollario di una gara perfetta, laddove per perfetta non intendo quella giocata all’arrembaggio creando occasioni su occasioni, no. Intendo quella giocata con acume, con intelligenza tattica, non dando la possibilità agli avversari di giocare o, quantomeno, di limitarne il gioco a centrocampo, gestendo il gioco, magari senza dare adito a possibili sfracelli in avanti, di arrivare sempre primi su ogni pallone e poi colpire come uno scorpione all’ultima azione in pieno recupero. Queste sono le partite perfette. Ed il Bari ha confermato di meritare il terzo posto in classifica perché questa squadra ci ha abituato a prestazioni talvolta anche scadenti dove, comunque, ha fatto punti ed ad altre un po’ più convincenti, senza strafare, dove ha ottenuto il massimo risultato col minimo sforzo, teoria della filosofia epicurea di scuola greco-napoletana. Perché anche queste sono le grandi squadre. E già perché le grandi squadre non sono soltanto il Genoa o il Frosinone costruite per vincere il campionato per la notevole qualità che si ritrovano nella rosa, no. Le grandi squadre sono anche quelle che vengono progettate per un campionato tranquillo, senza grandi velleità, però con dentro tanta esperienza e qualità, e poi, cammin facendo, si ritrovano a provare, ad osare per qualcosa, forse, al di là delle loro aspettative, in un crescendo di prestazioni magari non brillanti ma assai concrete. Si, queste sono anche le grandi squadre. Ed il Bari, ormai, lo è, vada come vada quest’anno. Non si vince nella tana sudtirolese per caso.
Lunedì in tribuna stampa, lo confesso, serpeggiava una massiccia dose di rassegnazione per quello che, agli occhi di tutti, doveva essere un pareggio scialbo tra due squadre speculari che hanno fatto dell’equilibrio la loro arma, a dire il vero, spuntata. Poche emozioni, qualche ragionevole sbadiglio, il pensiero al ritorno a Bari di difficile concertazione vista la mancanza di un aereo nel post gara da Verona o da Bologna, insomma tutto lasciava intendere che nulla sarebbe cambiato e, in fondo, mantenere immutato il vantaggio dagli altoatesini, tutto sommato, sarebbe stato un risultato positivo in chiave playoff. Ed invece, siccome nel calcio contano da sempre gli episodi, si sono susseguite dapprima una espulsione, quella di Pompetti, quasi un presagio di ciò che di lì a poco sarebbe potuto accadere, e poi, in pieno recupero, quel che nessuno si aspettava, vale a dire il gol di Morachioli sempre più convincente. E al di là delle due occasioni di Folorushno da fuori (parata da Poluzzi) e quella di Cheddira che ancora non mi capacito come abbia fatto a sbagliare, non ricordo di aver segnato altro nei miei appunti.
Non parliamo del Sudtirol. Al di là di due salvataggi dove Vicari e Di Cesare si sono letteralmente immolati su due tiri non so di chi, non hanno mai tirato in porta. Tutto qui il temibile Sudtirol, società modello? Tutto qui il Sudtirol terzo-quarto in classifica? Si, d’accordo, il Bari non gli ha permesso di giocare, dunque i meriti dei loro demeriti vanno al Bari, ma io credo che da una squadra terza-quarta in classifica, che gioca tra le mura amiche, con dei giocatori forti, qualcosa di più che due tiri respinti dai centrali baresi era lecito attendersi. La verità è che il calcio è strano e, come si dice da sempre, non sarà mai una scienza esatta. Il calcio è da sempre imprevedibile. Lunedì i tirolesi hanno giocato male, magari sabato prossimo vinceranno convincendo ed il Bari (tocchiamo ferro), magari, incapperà in uno scialbo pareggio col Como. Perché è così che funziona nel calcio. C’è poco da fare. E chi lo nega è in malafede. Ovvio che mi auguro che il Bari vinca col Como, ma … c’è sempre un ma, soprattutto alla luce di quanto (non) sta facendo vedere tra le mura amiche al San Nicola dove per vincere una partita deve incontrare squadre ultime in classifica in inferiorità numerica di una-due unità. Perché anche questa è evidenza, non considerazioni. Le gare vinte a poker o con risultati tennistici dell’andata sono sbiaditi ricordi che hanno contribuito ad irrobustire la classifica, ci mancherebbe, però oggi si fa fatica ad immaginare altre vittorie così roboanti. Oggi si vince col minimo scarto, soffrendo.
Ancora una volta una vittoria targata Michele Mignani da Genova che, fatte salve un paio di occasioni, ha sempre letto bene le gare in corso d’opera azzeccando tutti i cambi possibili ed immaginabili. E ieri ne è stata l’ennesima conferma. Nessuno avrebbe scommesso un centesimo su Ceter, diciamocelo, ed invece anche lui ci ha messo lo zampino (determinante) per il gol vittoria. Perché anche questa è evidenza.
Si è fatto male Maiello, purtroppo, e l’allenatore ha fatto entrare Benali che ha giocato nel ruolo di regista cavandosela molto bene, dando dimostrazione che si può contare su di lui in questo finale di torneo, così come si potrà contare sulle forze fresche fin qui utilizzate poco. Naturalmente speriamo tutti che l’infortunio di Maiello sia una cosa da niente. Tra l’altro la sua uscita ha fatto tremare tutti perché è risaputo che senza di lui in campo il Bari non ha praticamente mai vinto, e si sa che i biancorossi da questo punto di vista sono pratici a mettersi nei guai da soli, ed invece stavolta le cose sono andate in modo diverso.
Sono quelle vittorie belle come una canzone di Bob Dylan o come “Stairway to heaven” dei Led Zeppelin o, se preferite, belle come le canzoni di Lucio Battisti che si suonavano alla chitarra sulla spiaggia di notte davanti ad un falò struggente, in cerchio, con tante ragazze attorno da conquistare timidamente. Una vittoria buona come i canederli, come lo strudel alle mele. Insomma una vittoria dall’alto contenuto emotivo, una vittoria al 94′, non una vittoria qualunque come tante capitano in trasferta, no. Una vittoria dal sapore magico che ha fatto vibrare le corde e le coronarie mie e dei colleghi baresi presenti accanto a me, tanto che tutti abbiamo esultato emettendo urla quasi scomposte dando un calcio alla compostezza e alla deontologia che dovrebbe contraddistinguerci in questi casi. Ma sì, chi se ne frega.
E cosa si vuole di più dalla vita? E poi, volete mettere vincere qui, ai piedi delle Dolomiti, dove si parla tedesco, dove tutto – o quasi – rasenta la perfezione, la pulizia, l’ordine, la precisione e il senso civico? E’ indubbiamente un sapore particolare.
E allora, coraggio: forse c’è qualcosa di peggio dei sogni svaniti: perdere la voglia di sognare ancora (Freud).
Massimo Longo