“Non disprezzate la cattiva musica, intesa come musica popolare… Essa si suona e si canta molto più appassionatamente della “buona” (musica colta). Perché, ben più di quest’ultima, la prima si è riempita a poco a poco del sogno e delle lacrime degli uomini (…) ha accolto in sé il tesoro di migliaia di anime, conserva il segreto di migliaia di vite…”
(Eloge de la mauvaise musique, da Les plaisirs et les jours. Marcel Proust)
L’ultimo appuntamento della rassegna To The Theatre ha visto sul palcoscenico del Teatro Abeliano di Bari lo spettacolo “L’eco di Euterpe – quando le parole si tingono di melodia”, scritto, diretto e interpretato da Betty Lusito.
Voce, canto, percussioni, lira e danza: l’artista raccoglie e offre al pubblico storie cariche di passione e calore, miti e leggende vicine o lontane nel tempo, che si dipanano e si susseguono in un continuo salto temporale, sempre però ambientate nel sud del mondo, radicate nella terra e soprattutto nel mare, sfondo e protagonista del racconto.
La prima storia è quella di Finella, ragazzina di Bari vecchia che per vincere i morsi della fame si inventa le sgagliozze, polenta fritta da vendere ai passanti. Finella però non si limita a vendere, ma a chi si avvicina regala una storia, e per tutta la sua vita racconta, senza smettere mai. Subito dopo siamo catapultati sulla spiaggia di Vieste, con la leggenda di Cristalda e Pizzomunno, separati dalla gelosia delle sirene. Agli anni intorno al 1100 risale poi il mito di Colapesce, abile nuotatore ripetutamente sfidato dall’imperatore, che sacrifica la sua vita tra gli umani e si sostituisce ad una delle tre colonne che sorreggono la Sicilia per impedirle di crollare.
Di tradimento e perdono è intrisa la storia di Scumma, sposa rinnegata che diventa regina delle sirene e si ricongiunge infine al suo amato grazie all’intervento di una fata. Si attraversa quindi il mare e ci si immerge nel mito di Lumia, sedotta da Zeus e punita da Era, donna e demone crudele, per poi finire con Ginevra, che ha perso il senno perdendo l’amore della sua vita e danza come una tarantolata nella ricerca dell’oblio di sé.
Il racconto della Lusito è inframmezzato e arricchito da brani che si rivelano come piccoli gioielli, frutto di attenta ricerca e autentica passione, che traspare viva e profonda, cantati e suonati con strumenti antichi (la lira, il tamburo o il bastone della pioggia) e moderni (la loop station). Ci sembra, quella musicale, la parte più pregevole dello spettacolo, quella in cui la passione, che senza alcun dubbio anima la Lusito, ha modo di esprimersi e di rivelarsi, nel cantare e danzare l’anima della propria terra. Non altrettanto efficace ci è sembrata la scrittura del testo, che forse andrebbe snellita e resa più fluida, il che non toglierebbe pathos e calore al racconto, ma anzi meglio si accorderebbe alla sua cifra stilistica, caratterizzata da spontaneità e capacità di porgere e coinvolgere. Infine semplice ma piacevole l’allestimento scenografico, dominato dal colore rosso, che è al tempo stesso essenziale e accogliente, in armonia con i passi della narrazione.
Imma Covino
Foto dalla pagina Facebook dell’artista