L’agonia del cuore in “As Bestas – La Terra della Discordia”, lo sconvolgente film di Rodrigo Sorogoyen 

Quando a qualcuno vengono dei dubbi sul perché il Cinema sia la settima arte, dovrebbe correre a vedere questo film e probabilmente si darà una plausibile risposta.

Indipendentemente dal motivo guida del film in se stesso (trattasi di thriller con finale drammatico) sappiamo che l’arte in primis è approccio soggettivo al reale di colui (l’artista) che crea l’opera, che propone al giudizio critico dell’osservatore del manufatto, la propria “verità”, il messaggio singolare del proprio modo di approcciare il reale. Sta poi all’acutezza curiosa della platea darne un giudizio che possa essere di aiuto agli astanti stessi nell’affronto della realtà intera.
Bene, “As Bestas” di Rodrigo Sorogoyen (vincitore di “solo” 9 Premi Goya – il più prestigioso Premio nazionale dell’Accademia Cinematografica Spagnola) presenta con occhio affascinato sul reale diversi livelli di sollecitazione da cineforum, ma, soprattutto, celebra, un’avvolgente funzione propiziatoria nel sacro tempio cinematografico. Il titolo proviene da “a rapas da bestas”, denominazione “indigena” della festa popolare locale in cui i giovani allevatori galiziani affrontano a mani nude cavalli selvaggi per tosar loro la criniera, pratica cui vengono dedicate inquietanti sequenze iniziali di una lenta e montante agonia del cuore.

Il plot: “giorni nostri”, una coppia di francesi (lui insegnante – lei infaticabile lavoratrice) decidono di cambiare vita (come spesso accade anche da noi). Possessori di un terreno da coltivare in Galizia (provincia Autonoma nel nord-ovest della Spagna) decidono di diventare agricoltori, vivere dei prodotti della loro terra, riparare le dimore storiche presenti per poter avviare, un giorno, un movimento turistico naturalistico in quelle zone sì isolate ma di una bellezza rara. “Francesini colti” che vanno a “marcare” con il “loro puzzo di merda” un territorio prezioso e gretto, intenso e ignorante, indolentemente vivo ed isolato nel tempo e nello spazio spagnolo (Galizia, terra antica di indimenticate pagine di autonomia locale). Non ci vuole molto a capire (per cui non voglio “spoilerare” nulla) che un “buon” vicinato non sarà per nulla tale ed avrà una evoluzione tragica.

Il film è costruito benissimo. Una regia come se ne vedono poche in giro, secca, ruvida, di piano sequenza lunghissimi, di volti in primo piano che trasudano durezza del vivere e fatica del lavoro. Sguardi, tra uomini “duri” provati dalla fatica del lavoro (che bravo Denis Menochet), molto più espressivi della parola. Ecco, per l’appunto, questo è un film che non dà molto spazio alla parola. Lo dà invece alla Fotografia (veramente stimolante per le pupille), ai silenzi di magici spazi boscosi della natura galiziana, al ritmo vero, reale, a volte noioso, della vita di tutti i giorni. Ma la sceneggiatura (scritta anche dallo stesso regista) ha un suo momento altissimo ed indimenticabile nel serrato confronto madre-figlia (una catapulta di parole in un battibecco che è il cuore e la ragione, il senso stesso di tutto il film): tsunami labiale di lemmi che, sommati tra loro, sono più di quelli ascoltati nell’intero arco della durata della “pellicola”.

Un modello educativo rinfacciato alla madre da una figlia (come tante tra le nostre amate) che non ha compreso il dono affettivo dei genitori nei suoi confronti. Una madre (recitazione esemplare di Marina Fois) al limite della stoica commozione che deve trattenere, da genitore autorevole (non autoritario), fermo nella convinzione che le ragioni del cuore siano quelle che debbano governare quelle della “semplice” ragione.
E come darle torto.
Le supreme ragioni del cuore: che dolce e rigenerante quel tenero sorriso finale di una donna (moglie e madre) che ritrova il proprio cuore condiviso.

Film dedicato alle nostre piccolezze, alle nostre inutili battaglie che purtroppo poi diventano guerre, alla nostra voglia di prevaricazione sull’altro, sul diverso da noi, laddove, lasciandosi obnubilare da oscuri pregiudizi, non ci si volta più stupiti e meravigliati dalla ricchezza (apprezzata o rifiutata che sia ma almeno valutata con ragionevolezza) di un differente punto di vista.
Un film impegnativo che a livello educativo nessuno dovrebbe perdere, soprattutto genitori e figli.
Un voto? Per me un nove pieno.

Vito Lopez

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