Le luci della ribalta sul Festival Musiche Corsare, organizzato dall’Associazione Nel Gioco del Jazz sono ormai spente da giorni.
Di alcune cose accadute nei quattro giorni di musica (una specie di Woodstock alla barese) ne abbiamo parlato diffusamente. In altri articoli abbiamo commentato ciò che è accaduto il primo e l’ultimo giorno della rassegna. Ma quello che è successo “nel mentre” forse merita qualche attenzione e qualche riflessione in più.
Come già noto (e noi del Cirano Post siamo stati i primi a darne la notizia), ancora prima che la musica si impossessasse del palcoscenico, il Direttore Artistico Roberto Ottaviano ha annunciato ai presenti la sua intenzione, dopo 14 anni di duro lavoro, di passare la mano al termine della Stagione 2023. Questa notizia è stata ripresa, nei giorni successivi, da diverse testate giornalistiche locali. Stanchezza? Dissapori? Sconforto? Forse noi fruitori della buona musica non lo sapremo mai.
Sicuramente ci sono concause, ma una cosa è certa: siamo rimasti tutti un po’ orfani.
Se facciamo un paragone con quello che accadeva negli scorsi decenni, le occasioni oggi si sono decuplicate per ascoltare ottima musica a Bari (e provincia). Quando ero giovane esisteva solo la Camerata Musicale Barese che, durante l’anno, ci proponeva due, massimo tre concerti di musica jazz. Oggi sono tanti coloro che si spendono per fare sempre nuove proposte. Oltre ai già citati “Nel Gioco del Jazz” e “Camerata” (che comunque, occorre dirlo, nei decenni non ha allargato lo spazio che dedica a questo genere), abbiamo “Bari in Jazz”, “Duke jazz club”, “Palazzo Pesce” a Trani, “Agìmus” a Mola di Bari, “Beat-onto Jazz” a Bitonto, l’”Associazione 1799″ ad Acquaviva, ma di occasioni ce ne sono tante altre, forse troppo concentrate nei mesi estivi (pensando ai turisti) e poco durante il restante corso dell’anno.
Il Festival Musiche Corsare voleva avere l’obiettivo di concentrare in un lungo week-end tanti straordinari musicisti padroni dei loro strumenti e delle loro proposte musicali: eppure il pubblico non ha premiato le magnifiche scelte del direttore Ottaviano e del presidente Romito. Mi sembra di sentire le critiche al cartellone: “molti di loro abbiamo avuto modo di ascoltarli in precedenti occasioni; altri, seppur bravi, nessuno li ha mai sentiti nominare (perché acquistare un biglietto per un musicista sconosciuto?), altri sono troppo vecchi (hanno fatto il loro tempo), altri sono troppo sbilanciati in una sperimentazione estremamente aggressiva”. Ma alla fine cosa ci rimane? Da parte mia, non ho perso un appuntamento e ho fatto un’overdose di ottima musica. A parte i concerti del primo ed ultimo giorno, recensiti in precedenti articoli, oltre ai musicisti già a me noti e da me apprezzati per le loro capacità, ho fatto tante nuove scoperte. Di nessuno di loro posso dire che sarebbe stato meglio se rimanevano a casa.
Il bello della musica jazz è che è sempre variegata e diversa. Mai sia il contrario. Alcune cose possono piacere più di altre.
Tra i più trasgressivi devo citare il gruppo di Tobias Delius (sax tenore e clarinetto) con Daniele D’Agaro (anche lui al tenore e clarinetto), accompagnati da Giovanni Maier al contrabbasso e Zlatko Kaucic alla batteria. Delius, nato ad Oxford da madre tedesca e padre argentino, è cresciuto musicalmente presso il conservatorio di Amsterdam, avendo come modello improvvisativo le figure di Han Bennink e Misha Mengelberg. Il gruppo ha suonato senza spartiti. Parliamo di pura improvvisazione. Devo dire che da questo concerto ho imparato una cosa: non ci si improvvisa improvvisatori. I due fiati (la loro collaborazione nasce all’inizio degli anni ’90) sono riusciti a tirar fuori dai loro strumenti sonorità inaspettate. Il batterista sloveno ha eseguito tutto il concerto con gli occhi chiusi, quasi in estasi, come se conoscesse a memoria la sua parte. Anche Maier, che l’ultima sera abbiamo riascoltato in una formazione più ‘tradizionale’ con Ottaviano, è riuscito a rimanere al passo dei suoi compagni. Delius nel 2003 ha vinto il VPRO/Boy Edgar Award, un premio assegnato a un musicista jazz, compositore o bandleader olandese che ha dato un contributo significativo alla scena jazz. È ampiamente considerato come il premio jazz più prestigioso e onorevole dei Paesi Bassi. Il premio viene assegnato sotto gli auspici del VPRO e del Music Centre dei Paesi Bassi.
Altro duo spericolato è stato quello del trombonista svizzero Samuel Blaser e del chitarrista francese Marc Ducret. La tecnica del chitarrista è sembrata subito sconcertante. Un vero maestro, assecondato dal compagno di avventura. Anche loro sono riusciti a creare sonorità inusuali. Blaser poi, l’ultimo giorno del Festival, è stato apprezzato nel gruppo allargato “What Love” di Roberto Ottaviano.
Un’altra splendida esibizione (la mattina del sabato) è stata quella del MAT Trio di Marcello Allulli, Francesco Diodati ed Ermanno Baron. Per me è stata la prima volta che ho avuto modo di ascoltare Marcello Allulli, e sono rimasto impressionato dal timbro e la potenza del suo sax tenore. Eccellente. Anche Diodati, che già avevamo ascoltato con Enrico Rava, in questo contesto è riuscito ad esprimere ancora meglio le sue potenzialità improvvisative. Anche l’accompagnamento di Ermanno Baron è stato preciso e sostenuto, senza mai prevaricare sugli altri strumenti. Una bella scoperta.
Il gruppo guidato da Danilo Gallo, “Dark Dry Tears”, che si è esibito il sabato sera, non ha fatto che confermare lo stato di grazia dei musicisti del gruppo: Francesco Bearzatti, Jim Black e Francesco Bigoni, oltre naturalmente il bandleader. Veramente un bel concerto.
Ultimo concerto (ultimo nella elencazione, non per importanza e bellezza) è quello del pianista americano Wayne Horwitz, accompagnato da musicisti tutti italiani e collaudati come Francesco Bigoni, Danilo Gallo e Zeno De Rossi. Questo pianista riesce con estrema facilità a passare da momenti di puro lirismo a momenti di improvvisazione. Anche questa esibizione è stata apprezzata dal pubblico presente. In particolar modo, in un brano si è aggiunta la voce femminile di Robin Holcomb, moglie di Horwitz che ha letteralmente incantato tutti. E qui, se mi è consentito fare una considerazione, voglio sottolineare che – purtroppo – è stato l’unico intervento femminile di un Festival coniugato tutto al maschile.
Bene. Il Festival è alle spalle. L’aspetto che ha caratterizzato tutte le serate (fatta eccezione per l’ultimo concerto con il supergruppo di Roberto Ottaviano), è stata la platea semi vuota.
Dov’erano gli amanti della buona musica? Dov’è finita la curiosità nel poter ascoltare cose nuove? E’ possibile che le proposte che siamo disposti ad accettare siano fatte solo e sempre dei soliti nomi noti (per carità, sicuramente bravi)? Abbiamo perso in tanti delle occasioni meravigliose.
Con Boris Savoldelli (a cui ho voluto dedicare un articolo a sé) abbiamo toccato il fondo con una presenza sotto le venti unità (a voler abbondare). Forse è altresì indispensabile rivolgere le attenzioni all’ascolto della buona musica fin dall’età infantile nelle scuole di primo e secondo grado, nei licei musicali, dove Coltrane, Monk, Mingus e compagni sono perfetti sconosciuti. Magari cominciando da “Gli Aristogatti” (“tutti quanti voglion fare il jazz”), potremmo mettere un briciolo di curiosità nella testa dei più giovani. Di questo passo andremo avanti solo con i grossi eventi, quelli che fanno cassa, ma non daremo a tutti quei bravi musicisti (pugliesi o no, non fa differenza) che fanno di tutto per emergere (o per rimanere a galla), la possibilità di esprimere le loro capacità e la loro creatività. Spesso i musicisti italiani sono più conosciuti ed apprezzati all’estero. E’ ora che il pubblico barese esca dal torpore cui si è abituato e si renda conto che è indispensabile sostenere sempre, ogni giorno, questi splendidi musicisti, come forse siamo stati capaci di fare nei confronti del maestro Ottaviano, fino alla sua consacrazione di “Miglior musicista del 2022” secondo la rivista Musica Jazz.
Ascoltare musica dal vivo non è la stessa cosa che ascoltare YouTube. E’ giunto il momento di darsi una mossa.
Sveglia, Bari!
Gaetano de Gennaro
Foto di Gaetano de Gennaro