Un angelo abbandonato nel paradiso sbagliato: “Amusìa” è il primo convincente lungometraggio di Marescotti Ruspoli

Film ammaliante e penetrante questo lungometraggio di Marescotti Ruspoli, regista che seppur alla sua prima prova dietro la macchina da presa, fa capire subito come lui sappia utilizzare al meglio il linguaggio del mezzo cinematografico con i suoi ritmi, i suoi tempi, le sue “parole” (sua anche la sceneggiatura).

Presentato in anteprima in Concorso nella Rassegna Internazionale del BiF&st 2023 di Bari, il film è una singolare pellicola, unica nel suo genere come unici, in quanto solitudini disperate in un universo dove subiscono entrambi del male, sono gli interpreti principali Livia e Lucio.
Occorre fare ordine.

Amusìa: (dal greco a-musia, senza musica) disfunzione neurologica dovuta alla musica per cui chi ne è patologicamente vittima non riesce ad ascoltare le melodie musicali e le sue “voci”. Studiato approfonditamente nei suoi perniciosi effetti solo nel 2000, questo disturbo non concede a chi ne soffre di poter ascoltare il suo linguaggio, per cui si arriva a pensare che “la musica mi fa del male” (afferma la protagonista) non essendo capace di poter vivere condivisioni, relazioni di ascolto, di ballo, di esecuzioni, di “viaggi assorti”.
Lei, Livia-Carlotta Gamba, vittima di questa patologia sin dalla nascita, è un bellissimo angelo che vive ai bordi, e quindi isolato, di un improbabile “paradiso” emiliano nei pressi di Ferrara (che paradiso appunto non è) alla ricerca disperata di poter comunicare a qualcuno il suo tormento e che questo tormento possa essere ascoltato. L’interlocutore giusto lo scopre in Lucio-Giampiero de Concilio, un portiere d’albergo anche lui solo ed isolato in un mondo che non gli appartiene e che “subisce”.
I due interpreti si annuseranno, si riconosceranno, si ascolteranno l’un l’altro e decideranno di affrontare quel difficile mondo insieme (“latitanti in luna di miele”) con lieto sorriso finale da parte dei genitori della ragazza che finalmente troveranno una loro serenità allorquando scopriranno la figlia libratasi in volo in compagnia di colui che l’ha “riconosciuta”.

Che bravi gli interpreti principali del film. Teneri e dolci ma soprattutto credibili. Da segnalare che è presente anche la grande Fanny Ardant nel ruolo della genitrice.
“Buona la prima”, si dirà, ma di questo regista se ne sentirà di certo ancora parlare. Fin troppo intimista il Ruspoli: nel film vi è totale assenza di “scene d’assieme”, di gruppo e, per tutta la sua durata, aleggia un sonoro silenzio d’ambiente impreziosito da una splendida chicca di J.J. Cale, “Magnolia”. Una menzione particolare, infatti, merita la colonna sonora (ottimo Ford); non sarebbe stato semplice rappresentare in sonoro la distorsione mentale di un ascolto musicale per spettatori normo-udenti: la sfida è riuscita e vinta perfettamente.
Al regista consigliamo di non abbandonare la frequentazione di Luca Bigazzi che nel film cura una splendida fotografia.
Da sottolineare, infine, che il lungometraggio ha, nella sua caratterizzante lentezza, la propria strategica bellezza formale che non deluderà i palati più esigenti: raffinato e ricercato.

Vito Lopez

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