Una volta c’erano i fumetti. Quelli colorati e quelli in bianco e nero. Il genere di lettura che a 14 anni, se scoperti, la mamma ci rimproverava perché troppo da bambini.
Poi arrivò Star Wars che del fumetto prese gli elementi più comuni, compresa l’impossibilità fisica di certi aspetti dell’universo (ad esempio i rumori nello spazio cosmico ovvero il vuoto o il fuoco in totale assenza di ossigeno). Non importava e non importa, perché è l’universo dei bambini. Un gioco senza regole o con quelle che la nostra fantasia detta e quindi piegate al nostro divertimento.
Aperta la porta, anche se dopo molto anni, è arrivata la Marvel. Prima gli X Men, poi la trilogia dell’Uomo Ragno, i Fantastici 4 (quanta similitudine con i Beatles che erano i Fab Four, o meglio della loro brutta copia, un gruppo svedese dalla breve vita che ad eccezione dell’Italia non hanno ottenuto alcun successo fuori dalla Svezia) poi Iron Man e via via tutti gli altri.
La caratteristica fondamentale, che contraddistingueva i primi film di quello che ormai è definito l’universo Marvel, diversissimo da quello di Star Wars, era l’ironia e la follia dei personaggi.
Stan Lee ha creato una serie di spostati facendoli diventare supereroi nel loro folle modo. Come agli occhi di un bambino un pezzo di legno può diventare un personaggio fantastico, così un nerd senza una ragazza, uno scienziato inconcludente (con altri tre scombinati) o un riccone senza alcuna apparente morale possono diventare eroi senza macchia, senza paura e soprattutto senza prendersi troppo sul serio.
In questo solco, anche se già alcuni anni dopo, si è inserito il primo film della trilogia dei Guardiani della Galassia.
Un bambino rapito dagli alieni, in realtà pirati dello spazio, nel 1988 cresce e diventa pirata a sua volta. Della sua precedente esperienza terrestre gli rimangono alcuni stonati ricordi (quello della saga di Footlose in cui un eroe di nome Kevin Bacon fa ballare una città piena di persone inamidate come stoccafissi) e un walkman.
Dall’apparecchietto sgorgano musiche anni 80 a cominciare da I’m not il love e, per definire la figura di Quill l’eroe principale, una divertente e trascinante Come and get your love dei Redbone scritto da Lolly Vegas.
Quill è un ladro scombinato in un’avventura più grande di lui. Ricercato da un gruppo di spostati come lui.
Un geniale procione geneticamente modificato, un albero animato dal vocabolario particolarmente ridotto (dice solo io sono grunt), un’assassina con l’obiettivo di uccidere chi la paga e un fortissimo vendicativo mezzo idiota di un misconosciuto pianeta. Va a finire che organizzerà con loro una banda di ladri intergalattici. Come di prammatica sul più bello il colpo della loro vita andrà in fumo. Ecco Guardiani della Galassia che, ironia della sorte, nel secondo film dovranno lottare con un dio. Creatore di mondi bellissimi e crudele padrone a cui tutto viene sacrificato.
La musica anche qui la fa da padrone. Dalla sigla Mr Blue Sky della Electric Light Orchestra a Surrender dei Cheap Trik.
La cosa andava e James Gunn, nei primi due episodi, è riuscito a tradurre il fumetto a disegni in fumetto a immagini con le peculiarità del comics e le possibilità del digitale. Non è chiaro cosa sia scattato nella mente della Disney quando ha programmato il terzo volume della saga. Gli scanzonati e “storti” protagonisti sono diventati seriosi e banali. Si è cercato un approfondimento dei personaggi pescando qui e là tra il magazzino della più grande società di entertainment del mondo. Il sexy è diventato sciapo, l’umorismo è talmente banale che neanche nelle barzellette per bambini si riesce a trovare tanta banalità.
Gli esperimenti sugli animali sono incredibilmente uguali a Toy Story 1. Il racconto non riesce a mettersi insieme nemmeno con il più potente degli adesivi. Con tutti quei soldi, niente di meglio? L’ardito accoppiamento musica e immagini, che nei primi due episodi aveva dato il tocco di follia, è completamente sparito. Si è cercato di dare un tono alla colonna sonora inserendo tra gli altri i Radiohead, Alice Cooper e il Boss. Il risultato è comunque scarso. Gli hanno cambiato pure l’astronave, l’agile e colorata Milano è diventata una specie di mostro galattico come nei cartoni giapponesi.
Escludendo il Procione, con la voce di Cristian Iansante , e Groot, voce di Massimo Corvo (visto le qualità interpretative la scelta di Vin Diesel in originale è particolarmente azzeccata), personaggi digitali, le altre interpretazioni sono francamente trascurabili. Chris Pratt, Peter Quill, appesantito al limite del bolso già a 40 anni, vuol fare il profondo ma ha una recitazione adolescenziale. Zoe Saldana, Gamora, che pure ha al suo attivo diverse ottime interpretazioni, è stata truccata malissimo. Le hanno fatto una pelle verde pisello da farla sembrare un ortaggio appena uscito dal fruttivendolo. Karen Gillan cattivissima e super sexy sorella di Gamora diventa una buona, quasi gentile, guardiana della galassia (segretamente innamorata di Quill?). Si salva solo l’immarcescibile Sly. Silvester Stallone (doppiato da Massimo Corvo degno erede di Ferruccio Amendola), nel ruolo di Stakar Ogord, il capo dei Ravanger i predoni dello spazio, che non tradisce.
Nell’insieme, due ore e mezzo di noia, salvo brevi e decisamente temporanei sprazzi.
Non ci resta che Deadpool, sperando che non cerchino di far diventare serioso anche lui.
Marco Preverin