La rassegna I Solisti del Teatro Abeliano di Bari, giunta alla terza edizione, segna una nuova tappa con lo spettacolo di Patrizia Labianca, Da là da dà, in scena nella sala Actor Studio, luogo raccolto che permette prossimità anche fisica tra il pubblico e l’artista. Alla sua professionalità, al suo estro e soprattutto alla sua capacità di interagire sono affidati la piacevolezza e il successo della serata, che prevede, al termine di un a solo, un “secondo tempo” nel quale i presenti possono fare osservazioni, porre domande, facendo scendere (anche metaforicamente) dal palco l’attore o il musicista di turno. Una possibilità che alcuni hanno saputo sfruttare efficacemente, regalandoci serate piacevoli anche sul piano della convivialità artistica, mentre per altri si è trattato di un gesto puramente fisico al quale non è seguita una vera condivisione emotiva. Abbiamo così assistito in alcuni casi a mere repliche di brani del proprio repertorio, in altri a racconti del proprio percorso umano e professionale, delle difficoltà degli inizi, della passione che spinge a scegliere il mestiere dell’attore.
Dal canto suo il pubblico è stato decisamente poco audace, forse troppo timoroso per interagire, perdendo così un’occasione rara e perciò stesso preziosa.
L’empatia certo non manca a Patrizia Labianca che stabilisce, fin dalle prime battute del suo recital, un gioco di sguardi e complicità con le persone presenti in sala. Empatia e anche audacia, visto il taglio che ha deciso di dare alla sua esibizione.
Il “palco libero” dell’Abeliano è il luogo in cui l’attrice ci svela il processo creativo grazie al quale costruisce il suo lavoro. Un processo che nasce dal caos, che prende forma quasi per caso, che tiene bene in considerazione il tema scelto ma lascia molto spazio all’emozione del momento e al feedback che ritorna dal pubblico in sala. Un po’ come uno scultore che osserva la pietra davanti a sé cercando di capire cosa nasconde all’interno, per poi sbozzarla e procedere allo svelamento. Una scelta senza dubbio coraggiosa ancorché rischiosa, un esempio di teatro jazz, come definito da uno spettatore in sala al termine del recital. Una definizione peraltro condivisa dalla Labianca che, forte di una professionalità e di una esperienza maturata negli anni (anche se è giovanissima), ha con sé una cassetta degli attrezzi dalla quale attingere e con la quale praticare la delicata arte dell’improvvisazione. Quello che ci ha regalato l’altra sera è, per sua stessa definizione, il seme di uno spettacolo, l’embrione di un progetto che non ha ancora preso forma. Racconto di infanzia, di calore familiare, di nonni custodi di antiche tradizioni, ma anche narrazione di un cuore travagliato e in continua ricerca, che si dibatte sulle note di Delicate, di Damien Rice, avvolto ma anche soffocato da un velo frusciante come il respiro dell’anima.
Difficile esprimersi su questo succedersi di sensazioni ed emozioni. Sicuramente da sottolineare la sincerità, la generosità, lo svelamento di sé e il mettersi in qualche modo a nudo davanti al pubblico. Un gesto inconsueto e rischioso, molto apprezzato e sottolineato dal caloroso applauso finale. Altro discorso andrebbe fatto relativamente alla lunghezza dei quadri proposti e dei testi, in alcuni momenti un po’ troppo dilatati. Ma essendo questo un embrione, un punto da cui partire per la costruzione di uno spettacolo, confidiamo nella capacità della Labianca di definire, con perizia e cuore, tempi, percorsi e registri narrativi, dosando come un alchimista tutti quegli elementi che, partendo da un’urgenza del cuore e dal bisogno di raccontare, andranno poi a costituire una narrazione finalmente organica e fluida.
Imma Covino
Trovo estremamente riduttivo il giudizio espresso sulla performance di Patrizia Labianca. In questa interessante operazione proposta dall’Abeliano ai protagonisti è stato proposto uno spazio bianco nel quale raccontare, raccontarsi, condividere in qualche modo il mestiere dell’attore. Come fate notare qualcuno dei protagonisti ha raccontato una storia, qualcuno la propria storia, qualcuno ha proposto una sorta di revival di propri pezzi chiacchierando amabilmente col pubblico. Patrizia ha invece scelto una strada molto più difficile, lei non ha raccontato ma ha “agito” in condivisione con il pubblico “il mestiere dell’attore”, la nascita di uno spettacolo che forse un giorno sarà, un’operazione piuttosto rischiosa e assolutamente non da tutti. Ne è nato a mio parere un momento magico. Poche persone credo abbiano il coraggio di regalare se stesse senza protezione alcuna e con la capacità altrettanto rara di portati da spettatore all’interno del proprio mondo in una dimensione dove magari ti capita di trovarci anche il tuo di mondo, incontrare nel suo racconto di bambina rivissuto con te e non raccontato, i tuoi racconti dimenticati e magari mai raccontati, o vedere la trasformazione che un foglio di cellophane subisce davanti ai tuoi occhi se, senza dire nulla, sei capace di farlo diventare nuvola, sogno, fantasia. Grazie Madame Labianca.