Fino al prossimo 8 ottobre, a Firenze, è possibile visitare presso il Museo degli Innocenti, “Children“, la mostra del fotografo americano Steve McCurry dedicata per l’appunto ai bambini. Tra le tantissime proposte che la città offre, anche questa è un’occasione privilegiata per potersi immergere negli sguardi di tantissimi bambini, che arrivano fino al cuore.
E non è casuale che questa mostra sia stata allestita all’interno del Museo degli Innocenti. Questa particolare struttura, non molto distante dal Duomo (in piazza della SS. Annunziata 13) è un’opera non di poco conto, iniziata nel 1419 ed affidata a Filippo Brunelleschi, con lo scopo di creare un luogo di accoglienza per l’infanzia abbandonata.
Inizialmente i fanciulli abbandonati potevano essere deposti in una pila, una sorta di conca simile a un’acquasantiera, situata sotto il porticato, sostituita in seguito da una “finestra ferrata”.
Nel 1448, a tre anni dall’apertura, i registri riportano 260 piccoli ospiti; nel 1560 erano diventati 1320 e nel 1681 più di tremila. Oltre al volontariato delle balie, già nel 1577 venne predisposto l’allattamento artificiale tramite l’acquisto di una vacca dalla Romagna, che produceva quattro fiaschi di latte al giorno. I bambini potevano essere adottati, ma più di frequente venivano dati a famiglie affidatarie che li riconsegnavano all’età di sette anni. A Firenze i cognomi Innocenti, Degl’Innocenti e Nocentini, tutt’oggi molto diffusi, sono un retaggio del cognome dato anticamente ai trovatelli. Il significato stava a indicare che i bambini “ripudiati” erano appunto innocenti del fatto di essere “figli della colpa”, cioè il frutto di unioni adulterine. Gli abbandoni delle bambine superano quelli dei maschi, comportando il progressivo aumento della comunità femminile.
Oggi l’Istituto è un’Azienda Pubblica di Servizi alla persona, con una missione dedicata alla promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Steve McCurry, classe 1950, è considerato, da oltre cinquant’anni, una delle voci più autorevoli della fotografia contemporanea. La maestria nell’uso del colore, l’empatia e l’umanità rendono le sue fotografie straordinarie. Un’infinità di copertine tra libri e riviste hanno ospitato le sue immagini, sono state pubblicate circa venti sue monografie.
Nato a Philadelphia, McCurry studia cinema e storia alla Pennsylvania State University, prima di iniziare una collaborazione con un giornale locale. Inizia a lavorare come freelance, e compie un viaggio in India, il primo di una lunga serie. Dopo molti mesi, attraversa il confine con il Pakistan. Incontra un gruppo di rifugiati dell’Afghanistan, che gli permettono di entrare clandestinamente nel loro paese, proprio quando l’invasione russa chiudeva i confini a tutti i giornalisti occidentali. Ne riemerge con i vestiti tradizionali e una folta barba, dopo molte settimane trascorse con i Mujahideen. Sarà il primo inviato occidentale in grado di mostrare al mondo le immagini del conflitto in Afghanistan.
Da allora McCurry ha continuato a scattare fotografie in tutti i continenti. I suoi lavori raccontano di conflitti, di culture in via di estinzione, di tradizioni antiche e di tendenze contemporanee.
McCurry è stato insignito di alcuni tra i più importanti premi della fotografia, inclusa la “Robert Capa Gold Medal” e il premio della “National Press Photographers” ed è stato vincitore per ben quattro edizioni del concorso “World Press Photo”. Il ministro della cultura francese lo ha nominato cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere e, più recentemente, la Royal Photographic Society di Londra gli ha conferito la “Centenary Medal for Lifetime Achievement”. Nel 2019, McCurry è stato inoltre inserito nella International Photography Hall of Fame.
McCurry ha pubblicato svariati libri, l’ultimo dei quali “Stories and Dreams-Portraits of Childhood” (2021).
Il tema dei bambini è da sempre caro a McCurry ed è centrale nella sua fotografia. Basti pensare alla celebre piccola afgana ritratta in un campo di rifugiati nel 1984, divenuta emblema delle condizioni patite nei territori di guerra prima ancora che le Nazioni Unite stilassero la Convenzione sui Diritti dei Bambini, del 20 novembre 1989 (ratificata dall’Italia il 27 maggio 1991 con la legge n. 176).
I bambini immortalati dall’obiettivo di McCurry, sono diversi per etnia, abiti e tradizioni ma esprimono lo stesso sentire con la loro inesauribile energia, gioia e capacità di giocare persino nei contesti più anomali e difficili, spesso determinati da condizioni sociali, ambientali o di conflitto. Secondo i rapporti delle organizzazioni internazionali, come “Save The Children”, circa un bambino su sei è costretto ancora oggi a vivere in zone di guerra, testimone di eventi traumatici. In questo scenario, McCurry crede fermamente che l’istruzione possa essere per l’infanzia il principale strumento per la costruzione di un futuro migliore di libertà e autodeterminazione.
A questo specifico tema sono dedicate alcune immagini in mostra, che si sviluppa in alcune sezioni, dedicate al ritratto, al gioco, all’educazione e studio, alle relazioni.
Dall’Afghanistan all’India, dal Messico al Libano fino in Italia, la mostra di cento immagini descrive la condizione dell’infanzia, fatta di espressività e stili di vita diversi, ma anche di situazioni universali. Incontriamo bambini profughi o lavoratori; bambini che giocano ad arrampicarsi su un cannone o si divertono nel fango, che rincorrono un pallone durante un acquazzone monsonico, o suonano una chitarra realizzata con materiali di risulta. Storie di gioia e aggregazione, di solitudine, di resilienza e solidarietà, di famiglia e amicizia, raccontate con rispetto ed empatia.
La mostra “Children” vuole essere un viaggio nell’infanzia per incontrare piccoli esseri umani che affrontano condizioni tanto diverse, ma che parlano un linguaggio in cui ciascuno può riconoscersi. Un viaggio anche nel ricordo della propria infanzia, e uno spunto di riflessione circa la responsabilità che abbiamo verso le nuove generazioni, nella consapevolezza che il sogno di un futuro più giusto dipende dalle scelte del nostro presente.
Per lungo tempo i bambini sono rimasti invisibili agli occhi delle istituzioni. Grazie all’approvazione della Convenzione ONU del 1989, sono stati finalmente riconosciuti soggetti attivi, capaci di esprimere le proprie opinioni ed esercitare una partecipazione libera ed autonoma nelle società. Ma dagli sguardi e dalle condizioni di vita di molti bambini ritratti da McCurry si ha la consapevolezza che il percorso da compiere per la reale affermazione dei loro diritti è ancora molto lungo. Pur essendo stata sottoscritta da quasi tutti i Paesi, la Convenzione ONU non risulta ancora pienamente applicata e non solo dal punto di vista giuridico, ma anche per il suo valore pedagogico. I diritti, infatti, devono potersi esprimere in concreto attraverso gesti quotidiani in grado di accompagnare il lungo percorso di crescita di un bambino all’interno della sua comunità. Per questa ragione è importante che gli Stati promuovano politiche capaci di tenere nella giusta considerazione il benessere e il migliore interesse di ogni bambino per favorire il suo sviluppo armonico a livello fisico e psicologico e la sua capacità di essere fin da piccolo un buon cittadino e un protagonista del suo tempo.
Cento fotografie splendide, a cui possiamo aggiungerne altre e tante proiettate su uno schermo, che impressionano il visitatore che si sente osservato dagli sguardi ora tristi, ora felici, dei tanti bambini presenti. Alla fine del percorso si ha la sensazione di aver condiviso con loro un viaggio intorno al mondo.
Per concludere, ritornando al Museo degli innocenti, una sezione è dedicata ai segni di riconoscimento. Spesso i neonati venivano accompagnati da piccoli fogli di carta o da “segnali” di riconoscimento. Era usanza diffusa, infatti, munire i neonati di un pezzetto di carta che indicava il loro nome, la data di nascita o almeno il mese, accompagnato da un piccolo oggetto, spesso tagliato a metà. Molte volte si trattava di medaglie o monete spezzate, con le quali si sperava, presentando l’altra metà, di ottenere un ricongiungimento con i figli in tempi migliori. Alcune delle quali, insieme ad altri oggetti, sono esposte all’interno del museo.
La notte del 30 giugno 1875 la finestra ferrata venne definitivamente murata, anche se la storia ci insegna che i diritti dei bambini troppo spesso continuano ad essere negati.
Gaetano de Gennaro
Foto di Gaetano de Gennaro