Quando Mario entra in platea, cerca di scivolare al suo posto in prima fila senza dare nell’occhio. Lo spettacolo è iniziato da un po’ ma lui ha perso tempo nella disperata ricerca di un posto per la macchina, cosa piuttosto difficile nella zona del Teatro Petruzzelli. Mario non sa che tutto il pubblico attende il suo arrivo, pregustando quello che dirà l’uomo sul palco.
“Mario, ce l’hai fatta, ti stavamo aspettando!”
Maurizio Battista è fatto così. Sceglie con un fiuto incredibile sei o sette persone con le quali poi interagisce per tutto lo spettacolo. Parla con loro, sembra che li conosca. “Voi due siete sposati? Avete comprato casa? Siete proprietari al cinquanta per cento?”. Non si sa come faccia, ma racconta gli spettatori a loro stessi, e lo fa con un garbo che li rende disponibili a mettersi in gioco, ad assecondare la sua ironia. Questa incredibile capacità di leggere coloro che ha di fronte fa sì che lo spettacolo sia un continuo scambio, che in qualche modo venga costruito insieme agli spettatori.
Battista affronta tanti argomenti, introduce discorsi che abbandona immediatamente se sente che il pubblico non lo segue come lui vorrebbe. Passa rapidamente ad altro, attingendo alle mille carte e alle foto che affollano l’enorme tavolo dietro di lui, proiettandole su un grande schermo. Rapido, attento, ha tutto il pubblico in mano, in ogni momento. Lo porta dove vuole, ma sa anche assecondarlo e affascinarlo. Il ritmo è sempre altissimo, e non è cosa da poco per uno spettacolo che dura più di tre ore. Il tempo scorre e non ce ne accorgiamo. Tre ore volano.
Ai miei tempi non era così è una cavalcata tra gli anni ‘70, ‘80, ‘90, ricordando quel che eravamo, quel che vivevamo, confrontando il vecchio e il nuovo. Uniche digressioni le incursioni del cantante dei Los locos, che ci ricordano i tormentoni musicali di quegli anni. Insieme ai brani di Renato Zero cantati da quello che più che un imitatore è un clone (Daniele Si Nasce); tutto ci riporta indietro in un misto di nostalgia e allegria. Ma questi intermezzi durano una ventina di minuti. Tutto il resto, due ore e mezzo di spettacolo, è il monologo funambolico di un uomo solo sul palco, è sferzante racconto di rapporti familiari, coniugali soprattutto. È una chiacchierata fra amici, con toni rilassati, perché Battista sembra davvero nel suo elemento naturale. Nemmeno per un attimo sembra recitare, e solo avendolo già ascoltato in televisione o in teatro si capisce che si tratta di brani di repertorio, di testi collaudati.
Si ride, si ride tanto, di gusto, e senza fare ricorso a doppi sensi o a battute grasse. La Roma di Battista è quella delle famiglie riunite attorno alla tavola domenicale, nell’osteria sotto casa. È Roma sud, come rivendica con orgoglio, contrapponendola alla zona nord, dove è diverso il modo stesso di parlare, di interagire. Dicevamo della sua capacità di avere costantemente in mano l’attenzione del pubblico. Diciamo allora che lo spettacolo è tagliato su misura, è calibrato sulla platea. Al di là della sua scrittura, che cura con attenzione insieme ai suoi autori (Fabrizio Gaetani, Gianluca Giugliarelli, Gianni Quinto), Battista inanella pezzi di repertorio come se fossero racconti di vita (e si percepisce che in qualche modo lo siano realmente). Quello che colpisce è un’onestà di fondo, un rispetto sincero per le persone: “Io non dico bugie, io al pubblico racconto pure i miei problemi di salute” ama ripetere. Battista prende in giro le sue vittime, ma lo fa sedendosi accanto a loro con la comprensione di chi ci è già passato, di chi ha già vissuto, ed è come se mettesse una mano sulla spalla del marito, del padre, e cercasse di fargli coraggio.
Quando ho raccontato che sarei andata al suo spettacolo (con il Petruzzelli sold out, va detto), ho percepito da parte di qualcuno una certa aria di sufficienza, come se il comico romano fosse in qualche modo meno elegante e perciò stesso su un livello più basso rispetto ad altri. Ma io sapevo che non sarei rimasta delusa. Ho sorriso, ho riso, ho ammirato un talento incredibile, mi sono ritrovata nelle maschere che Battista racconta, insomma mi sono divertita. E mi dispiace che alla fine dello spettacolo lui ci abbia lasciato con le immagini degli oggetti iconici degli anni 70, 80, 90, davanti alle quali si risvegliano nostalgie e ricordi, senza uscire, alla fine, a salutare, con una sorta di ritrosia finale, di pudore. Gli applausi sarebbero stati ancora più scroscianti. Battista avrebbe goduto di un abbraccio grande da parte del pubblico che ha lasciato il teatro con un sorriso sulle labbra e con aria più leggera.
A margine di questa serata, vorrei ricordare che il 22 luglio Maurizio Battista sarà al Circo Massimo, spazio magico della capitale, normalmente sede di concerti, che per la prima volta viene concesso ad un comico. Lui lo racconta con trepidazione ed orgoglio, e noi gli auguriamo che, come dice il titolo dello show, sia davvero “Una serata indimenticabile”.
Imma Covino
Foto dalla pagina web dell’artista