Ha fatto tappa al Teatro Petruzzelli di Bari “O Tello o … io”, l’esilarante rilettura shakespeariana di Francesco Paolantoni che si trasforma in monito a difesa delle donne

Al Teatro Petruzzelli di Bari è andato in scena, ancora una volta, Shakespeare.

Ma non il Bardo, il solito mostro sacro della letteratura di cui tutti parlano ma pochi conoscono, bensì uno Shakespeare diverso, quello con cui Francesco Paolantoni ha deciso di tornare al teatro, dopo le tante fatiche in tv, da “Tali e quali”, a “Stasera tutto è possibile” fino alle apparizioni a “Che tempo che fa”.

Ricordo ancora il quasi sconosciuto Paolantoni ed il suo fido, ora come allora, compagno d’avventure Stefano Sarcinelli quando, nel 1986 o giù di li, esordirono nello spettacolo “Fame, saranno nessuno” che li vedeva protagonisti, e un imprevisto (a Paolantoni si ruppe improvvisamente la sedia, così da incastrarlo in modo inestricabile) scatenò l’ilarità di entrambi che contagiò tutti gli spettatori, già travolti dalla comicità fuori dal comune che li contraddistingueva. Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti, ma tanto Paolantoni quanto Sarcinelli nel tempo, che li ha allontanati ma sempre riavvicinati, hanno rivestito ruoli importanti sia come attori che come autori, conservando bravura, spontaneità e quell’entusiasmo degli esordi, mai abbandonato anzi consolidato negli anni, grazie anche, come detto, da una lunga e proficua amicizia che li lega.

Tutto questo è apparso immediatamente chiaro al pubblico che affollava il Petruzzelli per la tappa barese di “O Tello o … io“, il nuovo divertentissimo spettacolo che li vede ancora una volta insieme, prodotto da Idue srl di Maurizio Marino e Stefano Sarcinelli, scritto e diretto sempre da Paolantoni, con l’aiuto regia di Nicola Miletti, scene di Mauro Paradiso, costumi di Anna Zuccarini, musiche di Antonio Annona, foto di scena Anna Camerlingo.

E’ metateatro, teatro nel teatro, “una storia che viene rivoluzionata in tutti i sensi, ma siamo certi che se la vedesse Shakespeare si divertirebbe molto“, hanno ripetuto Paolantoni e Sarcinelli in più di una intervista. Insieme a Paolatoni e Sarcinelli sul palco ci sono Arduino Speranza, Raffaele Esposito, Viola Forestiero, Felicia del Prete, che vanno a formare un cast affiatato, essenziale per uno spettacolo ispirato alla Commedia dell’Arte, dal ritmo veloce sin dal primo momento, ricco di brillante creatività e di ricercata comicità, capace di partire da un testo importante ma reinterpretandolo in numerose occasioni di ilarità grazie all’intenso ritmo di battute.

Nelle due ore di spettacolo, che fotografano le disavventure di una compagnia amatoriale, nel primo atto alle prese con le fallimentari prove dell'”Otello” shakespeariano e, nel secondo, dell’improbabile debutto dello stesso, spicca un elemento che non tutti riescono ad incastrare ed è l’improvvisazione, che invece è nelle corde di Paolantoni, come racconta in un’intervista: “Io adoro la commedia dell’arte e mi divertiva usare il meccanismo classico di questa, le disavventure degli attori, gli equivoci grazie ai quali creare uno spettacolo che è un po’ tra la commedia “Uomo e galantuomo” di Eduardo de Filippo e “Rumori fuori scena“.”

Il primo atto, dunque, si dipana tra il tentativo di provare lo spettacolo, le farneticanti discussioni interpersonali tra i vari attori, le dissertazioni psicologiche sui rapporti e la disperazione per la notizia che l’attore che avrebbe dovuto interpretare il ruolo del protagonista ha dato forfait, costringendo di fatto il regista (Paolantoni) ad interpretare il Moro di Venezia senza però conoscerne la parte. Nel secondo atto, col palcoscenico diviso in due, da una parte lo spettacolo in corso e dall’altro i camerini, si assisterà simultaneamente e contemporaneamente sia alla impietosa messa in scena di “Otello” che agli strambi eventi degli attori affrontati nei camerini.

Paolantoni sceglie di reinventare l’Otello shakespeariano proponendo un teatro filodrammatico, elegantemente divertente, ma che non può essere definito del tutto spensierato. E no, perché reinventando, attraverso una ironia sapientemente dosata, l’opera originale, tra una battuta e l’altra, fa nascere spunti di riflessione sulla gelosia, ma anche e soprattutto sulla violenza perpetuata ai danni delle donne. Una – poco – velata denuncia di ciò che accade troppo spesso e su cui non sembra esserci la volontà di trovare efficaci soluzioni, sempre che a questo problema esista una soluzione. Chissà quanti spettatori, durante lo spettacolo, hanno riso senza pensarci su, ma il seme gettato resta importante. Forse proprio il teatro, veicolo di cultura e affrancamento dalla ottusa ignoranza dilagante, magari con un imprevedibile finale in cui si coglie tutta l’ironia colta e mai banale di Paolantoni, può arrivare al cuore del problema e, si spera, del pubblico.

Maurizia Limongelli
Foto dalle pagine web della Compagnia

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