“A mille ce n’è, nel mio cuore di fiabe da narrar…”: molti di noi, bambini negli anni 60 e 70, non possono che leggere queste parole cantando, perché questa era l’immancabile intro di ogni storia narrata nella collezione delle “Fiabe Sonore”, che tutti noi ascoltavamo grazie al “mangiadischi” o “mangiacassette” che portavamo in giro per casa.
La storia di cui vi parlo oggi parte proprio da questo ricordo e, più precisamente, dalla collezione di ben 21 fascicoli da leggere e 45 giri da ascoltare che componevano la meravigliosa e magica avventura di “Pinocchio”; ebbene, nei giorni scorsi la magia è stata riproposta, nell’ambito della rassegna “Cuori Urbani” dell’AncheCinema di Bari, finanziato dal bando “Le due Bari” del Comune di Bari, dalla Compagnia del Sole diretta da Marinella Anaclerio e da Flavio Albanese, autore, regista ed unico interprete dello spettacolo “Le avventure di Pinocchio raccontate da lui medesimo”.
Ed eccolo quindi, il nostro Flavio/Pinocchio iniziare il proprio racconto. La storia è naturalmente quella che noi tutti conosciamo, il burattino, creato dal falegname Geppetto partendo da un ciocco di legno, che assume caratteristiche umane, compresi pregi e, soprattutto, difetti. Albanese non si limita a interpretare il protagonista, ma, man mano che il racconto procede, dona vita a tutti i personaggi, dal Grillo parlante (voce sottile e “coscienza” del burattino) al Mangiafuoco (il finto cattivo che esterna commozione starnutendo, con la sua voce cavernosa ed impostata, che mi ha ricordato Vittorio Gassmann), ai due malandrini la Volpe (zoppa e partenopea) e il Gatto (cieco e meneghino), che raggirano il povero Pinocchio con la promessa di guadagno facile, antesignani dei moderni annunci fake che troviamo in rete.
La dolce voce di Cristina Spina, interprete fuori scena, ora ironica e ora seriosa prima della Bambina e poi della Fata dai capelli Turchini, ha dato vita ai dialoghi con lo scanzonato e spesso incorreggibile Pinocchio, che alterna periodi di impegno assoluto (tra i momenti più divertenti i surreali dialoghi tra Pinocchio e occasionali guest star quali il Presidente Sergio Mattarella ed il fantomatico capo dell’Islam Sim Sala Bim che si congratulano con lui per gli stratosferici risultati scolastici), ad altri in cui si lascia provocare dal vizio e finisce per cacciarsi nei guai e ritrovarsi trasformato in un ciuchino dopo i bagordi del Paese dei Balocchi.
Ma come tutte le favole, non può che esserci il lieto fine e il nostro burattino, dopo esser stato scaraventato in mare ed inghiottito dal Terribile Pesce-cane (ha ragione Albanese: la Balena è la trasposizione disneyana ed è stato bello ritrovare il pesce legittimo protagonista) nella pancia del quale ritrova il suo babbino partito mesi addietro alla ricerca del figlio perduto, riesce a salvare entrambi e a tornare lì, dove tutto era cominciato, la casa di Geppetto dove, risvegliandosi dopo un bellissimo sogno con protagonista la sua Mamma dai Capelli Turchini, il burattino si ritrova trasformato in un bambino vero.
Sono partita dal ricordo della favola ascoltata su disco da bambina, ma quello più intenso e prepotente, a tratti struggente, è legato alla trasposizione più famosa e fedele di questa storia, quella che Luigi Comencini realizzò nel 1972 per la televisione. Flavio Albanese ha saggiamente attinto da quella versione la colonna sonora, scritta dall’immenso Maestro Fiorenzo Carpi, adattate per l’occasione da Giuliano Luciani ed eseguite al pianoforte da Roberto Salahaddin Re David, che posso definire coprotagonista perché la bravura del protagonista nel calarsi e caratterizzare perfettamente tutti i personaggi ha trovato una perfetta contrapposizione nell’esecuzione musicale; riascoltare i vari brani di quella magnifica ed intramontabile colonna sonora insieme alla voce del Pinocchio di Flavio, con lo stesso accento toscano del piccolo Balestri, interprete dello sceneggiato, mi ha riportato alla memoria due momenti della mia vita, il primo legato al mio pianto disperato tra le braccia di mia madre (avevo circa tre/quattro anni) la sera che trasmisero in tv l’ultima puntata e il secondo quando, giovanissima studentessa di pianoforte, mi divertivo a ricomporre ad orecchio brani musicali ed uno dei miei preferiti era, appunto il “Tema di Geppetto” di Carpi.
Uno spettacolo, quindi, pensato per i ragazzi, ma perfetto per gli adulti, nel quale gli spunti di riflessione, grazie alla sapiente scrittura del suo autore, sono stati adattati ai nostri giorni, senza snaturarne il significato con modernizzazioni inutili, perché se è vero che la storia del burattino di legno ha compiuto centoquarant’anni è altresì vero che i messaggi in essa contenuti sono, nel bene e nel male, senza tempo.
Un ultimo piccolo pensiero. Ho “conosciuto” Flavio Albanese quando, giovanissimo, era l’ispettore Edoardo Valle nella serie Rai “La Squadra” e desideravo da tempo poterlo vedere a teatro e, oltre questo spettacolo, ho assistito qualche giorno fa al suo “Il Codice del Volo” ispirato alle opere di Leonardo Da Vinci, un altro spettacolo grandioso che vanta numerose repliche di cui ha scritto una bellissima recensione su queste stesse pagine la mia collega Maurizia Limongelli (https://www.ciranopost.com/2020/02/25/leonardo-e-il-codice-del-volo-il-nuovo-sogno-teatrale-dellistrionico-flavio-albanese/). Dopo queste due esperienze ho riscoperto un attore, un regista e, soprattutto, un autore che riesce, con apparente semplicità, e sottolineo apparente, a catturare l’attenzione del proprio pubblico e trascinarlo nel suo mondo, entusiasmando ed emozionando come pochi.
Grazie Flavio, grazie Marinella, grazie Compagnia del Sole.
Gabriella Loconsole
Foto dalla pagina web della Compagnia
Grazie Gabriella Loconsole per questa bella “lettura” del nostro lavoro. Hai colto perfettamente il senso del nostro procedere creativo! Ad Maiora
Complimenti per l’ottima recensione dello spettacolo che ci fa venir voglia di vederlo non appena possibile. Viva il teatro.