La Puglia è il territorio dei Giganti, gli ulivi secolari e monumentali presenti da sempre nelle nostre zone, in particolare nella Piana che ne prende il nome.
Ma anche i millenari Giganti, sentinelle da generazioni e amici fraterni immortali, ora sono involucri vuoti e secchi.
Ogni mattina ho la fortuna di ammirare lo spettacolo rasserenante della distesa verde argento di un mare di ulivi ed il solo pensiero che questo panorama potrebbe scomparire mi fa paura. L’ulivo, infatti, è da sempre simbolo del legame fra cielo e terra, quasi venerato come una divinità buona che ci dona l’oro verde, il calice da cui assaporare la bontà della vita, considerato amico di famiglia e testimone della storia della regione. Questi alberi sono nel DNA non solo del nostro territorio, ma da secoli a raccontano una storia di fatica e sudore di tanti contadini che, solo con i loro frutti, hanno costruito l’economia della Puglia.
“La Xylella fastidiosa è un patogeno invasivo che può infettare almeno 595 specie di piante” ha scritto Andrea Gentile in Nature il 21 Gennaio 2022, ma per una strana casualità, forse per il cambiamento climatico o l’effetto della globalizzazione o solo per la straordinaria fatalità della vita stessa, ora ci troviamo ad essere stati ‘scelti’, tra tutte queste 595 piante, dalla Xylella fastidiosa, se mi è permesso parlare di scelta. Il batterio è trasmesso da piccoli insetti, a loro volta contagiati ma non malati, un insetto con un nome che è tutto un programma, la ‘sputacchina’ (Philaenus spumarius) che si nutrono di linfa grezza delle piante pungendone diverse e trasmettendo così il contagio; dice sempre Andrea Gentile: “secondo uno studio condotto da scienziati in Italia, Francia e Stati Uniti, il batterio Xylella fastidiosa è arrivato per la prima volta in Italia nel 2008, su una pianta di caffè, e successivamente si è adattato agli ulivi nella regione meridionale della Puglia, finendo per uccidere milioni di piante.” La Xylella uccide attraverso il cosiddetto Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo e in Salento tutti hanno degli ulivi.
La crisi fitosanitaria è risultata evidente dal 2013. Dal mare verde argento delle foglie, ora in alcune zone c’è solo desolazione; ci si trova di fronte a un paesaggio apocalittico con estensioni infinite di alberi di olivo secchi. Per avere una piccola idea di ciò che sta accadendo basterebbe guardare i dati e le circolari pubblicate nel sito ufficiale “Emergenza Xylella” della Regione Puglia. Ad oggi si stima che circa 21 milioni di olivi siano morti o siano stati abbattuti per non far dilagare la malattia.
Il tempo dei giganti, film documentario diretto da Davide Barletti e Lorenzo Conte, prodotto da Dinamo Film e Fluid Produzioni con il contributo di Apulia Film Fund, di Apulia Film Commission e Regione Puglia, che, per fortuna, continua a trovare ospitalità nelle sale cinematografiche a molti mesi dalla sua uscita (sarà nei prossimi giorni proiettato nell’ambito dell’ottima rassegna dell’Arena 4Palme di Bari), ci racconta il devastante dramma economico e culturale attraverso il vitale e poetico rapporto tra gli ulivi e i pugliesi.
La sceneggiatura di Barletti e Conte, scritta insieme a Roberto Greco e a Stefano Martella, quest’ultimo autore del libro “La morte dei giganti” dal quale è stato liberamente tratto il soggetto, accompagna il giovane emigrato Giuseppe verso la terra d’origine, tra sgomento e impotenza davanti ad un male che avanza. Attraverso i suoi occhi, assistiamo spaventati alla desertificazione di un territorio che per secoli ha sostenuto economicamente generazioni di famiglie, alberi intorno ai quali si raccontano storie e leggende, le cui fronde verde-argento hanno scolpito il paesaggio della Puglia. Come Giuseppe dovrà spiegare al padre che il tempo dei Giganti sta finendo, così il racconto si fa carico di spiegare la xylella da due diverse angolazioni, non solo come un nemico invisibile che minaccia la nostra esistenza, ma anche come capacità dell’essere umano di immaginare il proprio futuro. Durante la narrazione del viaggio di Giuseppe, incontriamo tanti altri protagonisti, quali agricoltori, scienziati, studiosi dei fenomeni agricoli ed epidemiologi, docenti universitari, sociologi e giornalisti, che cercano tutti di ricostruire i fatti, le cause e gli effetti di un disastro, forse in parte prevedibile e, soprattutto, prevenibile. Per comprendere la realtà, le parole non bastano, o forse non servono; ad accentuare la tristezza di quei paesaggi quasi lunari ci pensano le belle musiche di Valerio Daniele. Il passato glorioso e l’oscuro presente, tradotti in una serie di inquadrature suggestive che pongono in contrasto le immagini dei maestosi alberi secolari e quelle degli spettrali ulivi ormai secchi, si aprono verso un futuro propositivo, una piccola speranza, se si osa immaginare. Potremmo chiamarla la nostra naturale resilienza, quella che gli stessi ulivi ci hanno insegnato da secoli, tradotta nei tentativi di salvare gli alberi e la voglia di ricostruzione.
La scienza e la ricerca diventano occasione per una sperimentazione, opportunità di un possibile futuro, un nuovo rapporto con la terra. La resilienza si incontra tra i racconti di nuove realtà, piccoli imprenditori agricoli etici, naturalmente donne come Chiara Paladini, che ha lasciato la sua vita in Germania per cercare di salvare l’uliveto di famiglia, o Roberta Bruno, della cooperativa Karadrà, che vede nella crisi fitosanitaria un possibile impulso per un cambiamento di paradigma nelle colture pugliesi, attraverso il passaggio dagli ulivi alle piantagioni di pomodoro. Tra i tanti protagonisti del film anche il contributo di Riccardo Valentini (Ecologo e Premio Nobel per la pace nel 2017), di Marco Cattaneo (Editor in Chief di National Geographic, Le Scienze e Mind), dello scrittore Daniele Rielli, del giornalista Stefano Liberti (Internazionale) e della divulgatrice scientifica Alessandra Viola.
Della splendida opera cinematografica, una frase del padre del protagonista mi ha colpito in particolare: “Gli alberi o si amano o si abbandonano, l’ulivo è mio amico e nel silenzio ci capiamo. Per me l’ulivo è l’infinito e mi dà il piacere di vivere. Non è possibile che un albero di 500 anni arrivi a distruggersi. Non esiste. Per me sarebbe come morire insieme a un albero.”
Ecco, la Xylella ha lasciato al suo passaggio un panorama spettrale sul 40% della Regione Puglia a dimostrare la fragilità della vita del mondo, non solo vegetale e animale, una lezione di vita resa ancor più chiara dal – per tanti versi somigliante – Covid 19: il mondo animale e vegetale si può annientare davanti ad un invisibile virus o batterio.
Una distruzione che non siamo riusciti ad arrestare, che abbiamo rallentato grazie ad interventi mirati della ricerca e della scienza, ma che non conosce ancora una cura vera.
Maurizia Limongelli