“Ma certe nostre sere hanno un colore che non sapresti dire. Sospese tra l’azzurro e l’amaranto, e vibrano di un ritmo lento, lento, lento, lento”.
Queste parole di una canzone di Giammaria Testa (Come le onde del mare), a mio avviso ben introducono l’incontro con Franco Arminio del 12 agosto presso il Minareto della Selva di Fasano, per il Festival Bari In Jazz 2023. In perfetta solitudine, senza nessuno che avrebbe potuto suonare un qualsiasi strumento, si è presentato al suo pubblico per svolgere il suo reading di poesie. Ma il modo si presentare i suoi pensieri è del tutto originale e riesce a captare l’attenzione anche dell’ascoltatore più distratto.
Arminio, 63 anni, è uno scrittore e poeta nato a Bisaccia in provincia di Avellino. Ha scritto una trentina di testi, in particolari sullo spopolamento dei paesi, e sulle tradizioni che si perdono.
Nel 2009, con Vento forte tra Lacedonia e Candela. Esercizi di paesologia, è stato candidato al Premio Napoli.
Roberto Saviano lo ha definito “uno dei poeti più importanti di questo paese, il migliore che abbia mai raccontato il terremoto e ciò che ha generato”, citando un suo passo: “Venticinque anni dopo il terremoto dei morti sarà rimasto poco. Dei vivi ancora meno”. Il 29 novembre 2010 sempre Roberto Saviano legge una poesia di Arminio in prima serata su Rai 3 nella quarta e ultima puntata di Vieni via con me, nel corso di un monologo sul terremoto dell’Aquila del 2009.
Nel luglio 2011, con Cartoline dai morti ha vinto il premio Stephen Dedalus per la sezione “Altre scritture”.
Con Terracarne, edito da Mondadori, ha vinto il premio Carlo Levi e il premio Volponi.
Dal 2012 organizza nel mese di agosto ad Aliano ed è il direttore artistico del Festival della paesologia “La luna e i calanchi“.
Il 5 febbraio 2022 una sua poesia viene letta dall’attore Filippo Scotti durante la serata finale del Festival di Sanremo
Invito chiunque ad approfondire questa straordinaria figura che ha sempre messo al centro dell’attenzione il paese, quello più piccolo e spopolato, fornendo non delle chiavi di lettura, ma suggerendo strade da percorrere per la valorizzazione del “niente”.
Gli ultimi suoi scritti sono dedicati alla poesia, e il suo spettacolo è iniziato con la lettura di alcune sue brevissime poesie, alcune di queste quasi surreali.
Prima di Franco Arminio, sul palco del Minareto, c’è stato un concerto di Alessandro Pipino, organetto, concertina, lama sonora. componente dei Radiodervish e del gruppo folk L’escargot. Un virtuoso nel suo genere musicale, in perfetta sintonia con il reading successivo.
Tra le prime letture della serata, alcune hanno colpito maggiormente la mia attenzione:
“Non limitarti a galleggiare. Scendi verso il fondo, anche a rischio di annegare”.
“Devi stupirti ogni mattina che ti sei svegliato. Quando vai a dormire, ringrazia il tuo cuore che ha fatto tutto il giorno il suo lavoro. Perdona la tua mente per le sue ansie. Ringrazia la tua anima se t’innamori”.
“Raccogli la gioia del giorno. Se ne trova sempre qualcuna se ti guardi bene intorno”.
“Restiamo vicini. Strofiniamo il buio. Strofiniamo il buio per farne luce”.
Sulla guerra.
“… Pensa al cuore tremante dei soldati, al freddo, ai vetri rotti, al fomo nero… Combatti anche da solo. Continua a dire NO alle armi”.
“Ad un certo punto devi capire che il dolore che hai subito non lo devi subire all’infinito. Mettiti in vacanza. La povera vita adulta non può pagare ad oltranza i debiti dell’infanzia. Dichiara finite le tue colpe, scontata la pena, d’ora in poi ogni giornata sarà come prima, ma dentro di te, ma dentro di te più netta e vera, più limpida e sincera. Tu devi solo la più grande dolcezza possibile a chi verrà e chi andrà via. È festa nel tuo cuore. Festeggia in qualche modo il cuore dell’altro”.
“Ho fatto tanti errori nella vita. Questo ognuno di noi lo dice. Quello che non sappiamo dire è questo: Ho fatto tanti errori nella vita degli altri”.
“Girate il mondo ad occhi aperti. Prima o poi arriva la bella felicitò che toglie il sonno. Verrà il vostro uomo. Verrà la vostra donna. Verrà se avrete i nervi sciolti, se sarete la crepa in un campo, un animale in un bosco”.
“In una storia d’amore conta chi ama, non chi è amato. In una storia d’amore almeno uno deve essere un illuso, un incantato”.
“La prima volta non fu quando ci spogliammo, ma qualche giorno prima, mentre parlavi sotto un albero. Sentivo zone lontane del mio corpo che tornavano a casa”.
A seguire, un piccolo omaggio alla geografia e ai suoi dialetti. Ha chiesto ai presenti il paese di provenienza (con spettatori – forse vacanzieri – giunti non solo dai paesi limitrofi, ma anche da Siracusa, Catania, Bergamo, Castellammare di Stabia, Roma). Ha chiesto qualche volontario che riuscisse a tradurre all’impronta un brano tratto dal libro “Cartoline dai morti”, usando il proprio dialetto. Solo una signora di Monopoli si è offerta a partecipare al gioco. Simpatico il siparietto tra i monopolitani presenti in merito alla traduzione di “moglie”, evidenziando la differenza tra i monopolitani di città e quelli di contrada (i monopolitani di fuori).
Si è passati poi alla recitazione (anche corale di alcune poesie conosciute da tutti quali il 5 maggio di Manzoni, l’infinito di Leopardi, o alcuni versetti di Dante Alighieri (tanto gentile e tanto onesta pare). Ha invitato tutti i presenti a dare spazio alla poesia, recitando qualche verso prima di iniziare il pasto domenicale in famiglia, o per iniziare un Consiglio di classe, o un Consiglio comunale.
La seconda parte è stata dedicata alla lettura di alcuni brani tratti dal suo ultimo libro “Sacro Minore”, edito da Einaudi a marzo 2023:
“…Sacri sono i vecchi che fanno finta di niente. Si muovono in mezzo alla morte senza mai nominarla”.
“…Sacro era mio padre che non amava andarsene a dormire. Gli era caro il sonno sul tavolino”.
“…Sacro è toccarsi. Qualunque essere umano potrebbe morire se non lo tocchi”.
“… Sacro è raccontare non ciò che sai, ma ciò che ti commuove e non sai perché”.
“…Sacro salutare con gentilezza uno che ha in mano la busta gialla delle radiografie”.
“…Sacro il silenzio che c’è tra le dita dei piedi”.
“…Sacro è fare visita ai malati anche quando stanno bene”.
“…Sacro è guarire. Buona guarigione a tutti”.
Questo testo può vantare anche una lettera di commento da parte del Papa Francesco che ne ha apprezzato il suo modo di comunicare.
La conclusione è stata dedicata a piccole poesie tratte dal libro Cartoline dei morti (prima edizione del 2010).
“Io passeggiavo, mangiavo poco, cercavo di non arrabbiarmi con nessuno. Non è servito a niente”.
“Sono stato sempre un tipo sfortunato. Il giorno del mio funerale si parlava del funerale della figlia del farmacista, morta il giorno prima”.
“Ero andato dal fabbro. Stavo parlando della ringhiera. Come si fa a credere in Dio quando uno muore mentre sta parlando di una ringhiera?”.
“Eravamo così amici che io sono andato al suo funerale, e lui al mio”.
“Ero un prete. Francamente dalla morte mi aspettavo qualcosa di più”.
“Sono stato da solo per vent’anni nella cappella di famiglia. Poi mi ha raggiunto mia moglie, e sono ricominciati i litigi”.
“Sono morto alle 7 del mattino. Un modo come un altro per iniziare la giornata”.
Prima dei canti finali (Il cielo in una stanza, Sarà perché ti amo, La prima cosa bella), un ardito spettatore ha chiesto di recitare una sua poesia dedicata all’albero. Cantare insieme resta un’azione liberatoria. In passato, si cantava dappertutto: nelle osterie, gli strumenti degli artigiani con i loro suoni per i vicoli del paese. Sant’Agostino diceva che chi canta prega due volte.
Prima del commiato finale, un invito a tutti a partecipare ad Aliano (MT) al Festival “La luna ed i calanchi”, dal 18 al 22 agosto, e a praticare quello che lui chiama “il turismo della clemenza”. Andare in un paese sperduto, dove non c’è niente, nessun monumento, nessun concerto, nessuna sagra. Incontrare i pochi abitanti per chiedere come va (“una signora anziana una volta mi ha risposto: ogni tanto parlo da sola perché tengo paura di perdere la lingua“).
L’ultimo aforisma della serata: “Io guardo ogni cosa come se fosse bella. E se non lo è, vuol dire che devo guardare meglio”.
Ogni parola, ogni verso recitato in pubblico merita un approfondimento. È un messaggio che arriva dritto al cuore.
Per chi non conosce Franco Arminio, suggerisco di approfondire i suoi scritti (non sono solo poesie); la scelta è vastissima. Chi ha avuto modo di partecipare ai suoi incontri, ci torna sempre volentieri. Sono sempre molto allegri e partecipati. L’ironia (e l’autoironia) è sempre presente. Chi ha perso l’appuntamento, cerchi di recuperarlo in altra data.
Anche questa volta il festival Bari in Jazz è riuscito a stupirci per le sue proposte.
Gaetano de Gennaro
Foto di Gaetano de Gennaro