Il caleidoscopico “Sud” di Sergio Rubini, mescolando amore, miseria e nevrosi quotidiane, conquista il cuore del pubblico del Teatro Abeliano di Bari

In un caldo pomeriggio d’estate, a ridosso del ferragosto cittadino, nell’ambito della rassegna di spettacoli e laboratori “Luna Barese”, ideata dal direttore artistico Vito Signorile per il progetto “Le due Bari”, il Teatro Abeliano di Bari ha ospitato Sud, la pièce scritta ed interpretata da Sergio Rubini accompagnato al pianoforte da Michele Fazio.

Sud è uno spettacolo vario e variabile, multiforme e complesso, scatola vuota che, di volta in volta, secondo estro, occasione e serata, si riempie di storie e memorie diverse. Un luogo dell’anima, un baule che contiene la storia, i profumi e la poesia della nostra terra, i suoni del mare, il grido dei poveri, l’amore e la rabbia, la sconfitta e la rassegnazione. È il racconto di una terra ruvida e amara, tragica ma anche irridente e beffarda, che nulla concede al desiderio di lieto fine. È l’amore sussurrato di notte, la natura che avvolge e circonda i corpi e i sensi, testimone insieme alla luna della felicità e del dolore, dell’amore e dell’abbandono. È un mondo che è anche il nostro, quello di cui siamo inconsapevolmente e intimamente tessuti. Sud è un ritorno alle origini, è il riappropriarsi della memoria, è immergersi nella propria storia per recuperare l’identità che ci descrive.

Rubini sceglie per noi un Sud in cui si mescolano amore, miseria, nevrosi quotidiane, come in un caleidoscopio in cui le pietruzze colorate configurano sempre nuovi scenari. Diverso è l’ordine dei colori, diversa è la luce, unica l’anima.

Il racconto di Rubini è circolare: parte da una canzone ruvida in dialetto grumese e poi si distende, come in un volo ad ali spiegate, nella dolcezza delle liriche di Pablo Neruda, lussureggianti e malinconiche, dove la natura si intreccia ai sentimenti dell’uomo, dove si ama, si perde l’amore ma non se ne dimentica il sapore (ricordo, rimpianto, malinconia).

I toni tornano aspri nei racconti di Matteo Salvatore, anima poetica e controversa che, nel bianco abbacinante della campagna d’estate, nel gioco dei bambini nelle piazze assolate e desolate, racconta la miseria e la fame atavica. Dramma, tragedia, disperazione: il sud come separazione, condanna senza possibilità di riscatto.

Ma di nuovo Rubini alleggerisce i toni, e ci trascina nelle nevrosi contemporanee con il monologo che in “Ristrutturazioni”, andato in scena l’anno scorso, ci ha fatto conoscere l’idraulico Mario e la controversa costruzione di una vasca da bagno, in un crescendo di ritmo e di dialoghi esilaranti (sì, dialoghi, perché Rubini riesce a rendere presenti e concreti tutti i personaggi del racconto).

Leggero e romantico, come quello di un innamorato, è infine il ritorno a Grumo, da dove si era partiti, e dove inevitabilmente si deve ritornare per ritrovare la propria identità. E nel ritorno (e nel ricordo) il cuore è pacificato, la memoria è sorridente e grata. Rubini torna all’infanzia, ai personaggi eccentrici del suo paese, alle filodrammatiche, al musicista autodidatta, al cantore. E chiude con le rime di Giacomo D’Angelo, poeta grumese, che ha inanellato i soprannomi che accompagnano, marchiano e identificano ciascuno degli abitanti. In questa carrellata finale c’è tutto l’amore per la propria terra, la chiusura del cerchio, l’abbraccio fra passato e presente.

Dal sud si parte e al sud si ritorna.

Si fugge, perché il suo immobilismo soffoca, ma le radici, nel tempo, si rivelano preziose e necessarie, imprescindibili e non trascurabili. Ritornare alle origini significa riappropriarsi della memoria, del tessuto, del ricordo per capire chi siamo. È questo, ci sembra, il senso della narrazione appassionata che Sergio Rubini propone con questo spettacolo che cambia e si compone diversamente a seconda del luogo, del pubblico, del sud che in quell’occasione si vuole raccontare.

E in questo racconto l’attore non è solo. Michele Fazio al pianoforte mescola spunti jazz a melodie che ricordano voli ad ali spiegate, respiri ampi, avvitamenti e picchiate improvvise. Le dita corrono sui tasti ora con dolcezza, ora frenetiche; separano e legano i monologhi, li sottolineano, li completano. Quello di Fazio non è un contrappunto o un intermezzo, ma un altro pezzo della storia, con un linguaggio proprio. E anche quando l’omaggio ad un uomo del sud ci fa riconoscere le note di “Nel blu dipinto di blu”, anche allora è solo uno spunto, un’idea che poi si libera altrove e diversamente si dispiega.

Un dialogo, quello tra Rubini e Fazio, che rivela alchimia, sintonia profonda, e rende ancora più bello questo pomeriggio d’estate, che ha visto il Teatro Abeliano sold out e almeno altre 200 persone rimaste fuori e impossibilitate ad entrare.

Teatro gremito, successo grande e applausi meritatissimi per un artista generoso, ammaliatore, capace di passare da un registro all’altro, dal tono amaro al gesto beffardo, allo sberleffo, alla dolcezza della poesia d’amore, al canto dell’anima.

Imma Covino
Foto dalle pagine web dell’artista

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3 commenti su “Il caleidoscopico “Sud” di Sergio Rubini, mescolando amore, miseria e nevrosi quotidiane, conquista il cuore del pubblico del Teatro Abeliano di Bari

  1. Vito Signorile Rispondi

    Grazie Imma Covino. Delicata e profonda come sempre. Ormai “Teatrante” di razza!

  2. vito signorile Rispondi

    Grazie Imma Covino.
    Delicata e profonda come sempre. Ormai “Teatrante” di razza!

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