Ho avuto il piacere di incontrare Simona Spinella alla vigilia dell’opening sul lavoro scultoreo di Umberto Boccioni per farmi raccontare del MUSMA, il luogo che ospiterà quest’opera fino al 29 ottobre 2023, e del suo genius loci.
Cominciamo dal principio, quando nasce il MUSMA, per volontà di chi, in quale contesto storico e culturale?
Il MUSMA nasce nel 2006 per volontà della Fondazione Zètema, gemmazione scientifica del Circolo La Scaletta di Matera, la fondazione accoglie e riceve una serie di donazioni artistiche che vanno a sommarsi ad un piccolo nucleo costitutivo di opere provenienti dall’esperienza del Circolo con le sue Grandi Mostre nei Sassi. Se negli anni ’50 il Circolo La Scaletta si era occupato di scoprire e censire il patrimonio rupestre di Matera, negli anni ’70 – quando i Rioni Sassi diventano un caso di studio di attenzione nazionale – cominciano ad arrivare a Matera una serie di artisti, tra questi c’è Pietro Consagra: il primo artista in residenza a Matera che si lascia stimolare dalla città e mette in relazione i due fronti della nostra città, la Murgia e i Sassi, disegnando tra i Rioni Sassi i suoi famosi 11 Ferri, delle grandi cornici passe-partout una diversa dall’altra che davano l’affaccio ai fronti in dialogo con i buchi neri dei Sassi abbandonati in quegli anni.
Le opere di Consagra diventano cornici del paesaggio mentre i vuoti dei Sassi e della Gravina erano già delle cornici alla storia della città…
Consagra è talmente stimolato dalla nostra città che insieme ad altri artisti del Fronte dell’arte costituitosi a Matera nel 1978 sottoscrive la Carta di Matera alla Ca’Foscari di Venezia proprio alla presenza dei soci de La Scaletta perché Matera e Venezia in quegli anni erano due ‘città d’acqua’ che raccontavano e si raccontavano soprattutto dal punto di vista urbanistico. Al Fronte dell’Arte appartenevano Consagra, Cascella, Dorazio, Rotella, Santomaso e Turcato, artisti che avevano fatto tesoro dell’esperienza acquisita nel 1978 con la mostra delle opere di Consagra e avevano l’intento di dimostrare come potevano essere utilizzati adeguatamente gli spazi e gli ambienti ipogei dei Sassi. Da questo humus nasce nel 1987 l’esperienza delle Grandi Mostre nei Sassi con la rassegna dedicata a Fausto Melotti dopo la quale si avvicenderanno artisti di fama nazionale e internazionale nel complesso rupestre cittadino di Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci, divenuti luoghi custodi della scultura in visita a Matera. Questi artisti cominciano a donare alla città delle opere precedentemente in mostra, facendo nascere il primo nucleo costitutivo della collezione di quello che oggi è il MUSMA.
Il MUSMA nasce dall’esperienza delle Grandi Mostre nei Sassi, pensi che oggi sarebbe auspicabile un ritorno a quella modalità di incontro tra l’artista e la città?
Indubbiamente l’esperienza delle Grandi Mostre è un’esperienza che ha necessità di rinascere perché, anche se le Grandi Mostre erano delle monografiche degli artisti portati in città, nulla vieta che oggi si possa rinnovare l’esercizio che Pietro Consagra fece qui: produrre le opere in relazione costante e in dialogo con la città e i cittadini restituendo l’esperienza espositiva e allo stesso tempo lasciando traccia della personale presenza dell’artista in città. Per noi oggi residenza significa sostenere gli artisti, magari chiedere loro di donare anche delle opere, ma significa soprattutto che le opere che vanno via dal museo, dalla città, comunque stanno raccontando la città e il museo in un altro luogo.
Siamo in un palazzo del XVI secolo, che contiene una parte ipogea, scavata, e una parte costruita, il piano nobile del palazzo: in che modo le opere si relazionano agli spazi?
Il piano superiore che era il corpo abitativo della famiglia Pomarici e che si sviluppa su dieci stanze ha imposto un rigore cronologico, non solo temporale ma anche di relazione tra gli artisti. L’esposizione racconta la storia della scultura italiana e internazionale partendo da Medardo Rosso, un artista che vive di influenze francesi e si inserisce nel solco dell’impressionismo, fino alla stretta contemporaneità come nel caso di Portami al confine di Valerio Rocco Orlando, un’opera voluta per il decennale del museo. L’opera di Medardo Rosso è proprio la prima opera ad abitare questo spazio, grazie all’impegno e alla volontà del Professor Giuseppe Appella che tramite le sue strette relazioni con gli artisti ha dato vita a quello che oggi possiamo chiamiamo Il Museo dell’Amicizia perché è grazie all’amore che gli artisti e i loro eredi portano nei confronti di Matera che oggi il MUSMA continua a vivere con la sua collezione. Mentre l’opera di Valerio Rocco Orlando arriva per i dieci anni dall’apertura del museo ed è una scultura sociale composta da un neon rosso che riporta la richiesta che l’artista ha posto alla comunità materana, e cioè proprio “Portami al confine” accompagnata da un video in cui la città è raccontata attraverso il volto di 23 abitanti di Matera, partecipanti alla performance artistica, che hanno portato l’artista nei loro confini.
Quante opere conta la collezione permanente del museo?
Abbiamo circa 300 opere esposte in maniera permanente, che vengono sostituite ed alternate ciclicamente perché è giusto dare ad ogni pezzo il giusto spazio, il giusto respiro; per questo motivo l’allestimento permanente cambia, vengono aggiunte opere nate da residenze o vengono messe in allestimento opere dei nostri magazzini, le donazioni ricevute dall’apertura ad oggi arrivano a circa 1300 e così dobbiamo alternare la loro presenza negli spazi. In questo modo il nostro spazio è sempre nuovo perché, se il contenitore resta uguale, l’allestimento cambia continuamente. La grande difficoltà del nostro museo è infatti riuscire a editare una guida definitiva.
In questo momento oltre alla collezione permanente avete delle mostre temporanee…
Sì, il MUSMA in questo momento ospita tre mostre temporanee: Edipo Crudeltà ed Espiazione, una selezione di 22 opere di artisti che dialogano con la nostra collezione permanente raccontando il mito, la tragedia e il complesso di Edipo appunto. Abbiamo opere di Isgrò, Alfredo Pirri, Pisani, è in parte un’antologia della mostra tenuta a Siracusa dal titolo Edipo lo sguardo in sé e in parte un allestimento dedicato al MUSMA in cui arrivano delle opere nuove rispetto all’allestimento di Siracusa, come ad esempio la ristampa delle foto autorizzate della barca dell’Edipo Re di Pasolini, che in realtà era la barca di proprietà di Pasolini su cui il maestro Isgrò ha lavorato sulla tela con la sua cancellatura.
La seconda mostra temporanea racconta il maestro Pomodoro come scenografo e costumista, la mostra ha titolo Teatro del tempo Arnaldo Pomodoro a Matera, abbiamo inoltre una opera inedita del maestro: L’inizio del tempo n.2 un’opera giovanile che aveva fatto comprendere all’artista l’urgenza di diventare scultore e che nel 2021 è stata riaggiornata per mano dello stesso artista e del suo conservatore Massimo Sassi.
Mentre la terza mostra che abbiamo in esposizione è in parte ipogea – volutamente collocata in ipogeo – ed è Sacro studio di Alberto Timossi, un artista che abbiamo già in collezione e che ha realizzato una raccolta di elementi scultorei e fotografici, delle vere e proprie scenografie sul sacro dove il sacro a cui si fa riferimento è l’universale, l’universale legato al femminile.
Tra le opere più imponenti che accoglie il museo c’è una creazione site-specific di Kengiro Azuma, come nasce il rapporto tra lo scultore giapponese e il MUSMA?
Azuma fu invitato a Matera per la prima volta per realizzare una personale tra i rioni Sassi durante il periodo delle Grandi Mostre, viene nuovamente invitato a Matera nel 2010, proprio qui al museo, in occasione della Giornata del Contemporaneo con la richiesta da parte della Fondazione Zetema della realizzazione di un portale che chiudesse il terzo cortile di Palazzo Pomarici. Quest’opera, che ancora oggi limita uno dei nostri giardini, si chiama La porta della Vita, è un cancello in ferro eroso dal tempo non per incuria ma proprio per volontà dell’artista che nel momento dell’installazione “ha avviato la vita del cancello” tramite erosione e graffi che accompagneranno l’opera fino alla sua inevitabile dissoluzione.
Mi sembra però che non solo il portale di Azuma sia un’opera d’arte…
In realtà tutti gli accessi del museo sono delle opere d’arte a partire dal portone d’ingresso del museo, un lavoro a quattro mani di Lorenzetti, che ha realizzato le parti a sbalzo in lamiera, insieme alle maestranze locali, che hanno realizzato le parti lignee. Questo, così come i cancelli del primo e secondo cortile, si affacciano sui Sassi e sono stati realizzati da Mimì Santoro artista di origini lucane che realizza per il MUSMA quattro cancelli, due in memoria di sua figlia Sara, gli altri due per celebrare due grandi artisti: Giacomo Balla e Antonello da Messina. Abbiamo ancora un altro cancello d’autore nel secondo cortile, l’opera di Eliseo Mattiacci dal titolo Riflesso dell’ordine cosmico che – attraversato dal sole all’alba e al tramonto – proietta universi di luce e ombra all’interno del museo.
Siamo partiti dal piano nobile di Palazzo Pomarici e passando attraverso i cortili ci ritroviamo all’ingresso dei sette ambienti ipogei, quali opere custodiscono questi spazi?
Gli spazi ipogei erano spazi dedicati alle attività produttive della famiglia Pomarici, il primo ipogeo era la stalla della famiglia e lì si incontrano artisti che appartengono alla scuola di New York; gli spazi che vanno dal secondo al quinto ipogeo erano invece adibiti a cantine e lì il visitatore può muoversi su due livelli di visita: soffermarsi sulla scultura ‘produttiva’ del palazzo come il palmento o la vasca di pigiatura o di decantazione e allo stesso tempo fruire dell’opera in mostra. In ipogeo ci sono opere legate ad esperienze di residenza come nel caso di Amazon di Saverio Todaro o La Pietra Scartata di Luis Gomez de Teran realizzate nel 2019 ma la potenza degli ipogei fa apparire alcune opere, già potenti di loro, come fossero delle opere site-specific: è il caso di Il Vortice di Eliseo Mattiacci che si innesta nella parte più antica degli ipogei diventando quasi una ‘spirale mirabilis’, quasi una conchiglia come quelle che ritroviamo nei muri dei nostri Sassi. Ad aprire poi un altro spazio ipogeo abbiamo uno dei sette sipari di Sandra Hauser, artista tedesca che ha realizzato, insieme ad un sarto ivoriano residente a Matera, sette sipari diffusi tra gli spazi cittadini in occasione della nostra prima esperienza di arte pubblica. Fondamentalmente, nell’allestimento della parte ipogea abbiamo tenuto conto del fatto che questi ambienti in realtà sono già architettura per sottrazione, gli spazi sono già sculture-contenitori in dialogo con le opere e le materie al loro interno, ed è proprio lo spazio ipogeo che ha in qualche modo dettato la scelta della collocazione delle opere.
Facevi riferimento all’esperienza di Sandra Hauser e di altre residenze svoltesi durante l’anno 2019, un anno importante per la città diventata Capitale Europea della Cultura per 12 mesi: qual è l’eredità che quei mesi hanno lasciato al MUSMA?
Pur non essendo nella rete della vasta programmazione degli eventi del programma di Matera-Basilicata 2019 siamo stati sempre riconosciuti come un luogo da visitare, un luogo prescelto che riuscisse a raccontare una parte importante della storia della città che ha contribuito al traguardo del 2019. Quello che sento essere rimasto dopo l’esperienza di Matera Capitale è sicuramente la capacità e la predisposizione per riuscire a fare esperienze in co-progettazione o co-produzione con soggetti che tanto hanno dato in quei mesi, è rimasta una relazione, un patto di fiducia. Nel caso dell’esperienza di Sandra, in particolare, ci siamo mossi dal museo verso l’esterno attivando relazioni, silenti fino a quel momento, e d’altra parte attirando verso il museo pubblici che magari non conoscevano il museo, le tracce di Sandra sono rimaste per tanto tempo in giro per la città, penso sipario Eroina vita mia o al sipario Arrozzeria o ancora al sipario montato nella proprietà della famiglia Ambrosecchia nel Borgo La Martella che è diventato una parte importante della quotidianità di chi ha accolto l’opera.
Dopo l’esplosione creativa del 2019 però è arrivato il COVID…come ha ricominciato le sue attività il Museo alla riapertura?
C’è stata un’esperienza che ricordo con commozione, un’esperienza molto bella, durante la quale ci siamo avvalsi delle voci dei volontari (che durante il 2019 avevano prestato servizio durante le attività culturali e che successivamente si sono riuniti in associazione ndr) per l’esperienza espositiva Il tempo se ne va di Giovanni Gaggia. Un’esperienza che abbiamo attivato alla riapertura dopo la pandemia da COVID durante la quale i volontari hanno prestato le loro voci per la recitazione della preghiera utilizzata durante la performance ospitatata nel museo e per il video realizzato contestualmente, parte integrante dell’opera. Ecco, dopo questo incontro vedo che molti dei partecipanti tornano qui non più come ‘volontari’ ma come visitatori e seguono le attività del museo, penso – per tornare alla domanda di prima – che forse questa è l’eredità più importante del 2019: dopo i fuochi d’artificio veder attivati la città e i cittadini.
Siamo arrivate alla fine della nostra passeggiata ed è quasi d’obbligo lanciare uno sguardo al futuro: esprimi un desiderio
Voglio citare Valerio Rocco Orlando che si domandava durante un laboratorio “Come è possibile accendere il desiderio di una comunità?” questo è il mio desiderio: accendere il desiderio. Spero sempre che questo luogo venga percepito come un luogo pieno di desideri, alcune volte espressi e realizzati, altre volte troppo ambiziosi, ma sempre predisposto alla capacità di abbandonarsi al sogno perché Matera è innanzitutto una città sognata.
Forme della continuità nello spazio di Umberto Boccioni è arrivato a Matera martedì 25 luglio, in una delle giornate più calde dell’estate sotto lo sguardo attento di Antonio Calbi, direttore scientifico della Fondazione Zètema. Sparsi nel cortile del MUSMA, il Museo di Scultura Contemporanea di Matera, i partecipanti al vernissage hanno aspettato di vedere quest’opera così sfuggente e così sconcertante cercando gli sbocchi di aria fresca degli ipogei di Palazzo Pomarici.
Svelate della copertura leggera della presentazione, le forme dell’opera restano lì sul piedistallo, nella staticità del bronzo eppure plastiche, Forme della continuità è un’opera che si muove e ti costringe a rincorrerla. Lo storico dell’arte Claudio Strinati, che ci ha accolti nell’afa pomeridiana di un luglio tra i più caldi di sempre, paragona questa scultura al fuoco, fratello fuoco del Poverello di Assisi, che è materia inanimata che però si anima “Il fuoco è vivo eppure non è un essere vivente, San Francesco lo chiamava ‘fratello’ perché il fuoco riscalda le notti e cuoce i cibi ma sapeva anche che Fratello Fuoco può smettere di essere amico e rendere qualsiasi cosa cenere. Ecco, questa opera di Boccioni ci parla di tutto questo: movimento della materia inerte, velocità, fuoco di vita, furia distruttrice e quasi preconizza la morte che ha incontrato Umberto Boccioni a soli 30 anni”.
Umberto Boccioni è stato pittore prima di realizzare Forme della continuità e nel 1913 – in spregio al marmo e al bronzo, materiale dei classici – ha creato quest’opera in gesso. Sua sorella Amelia l’ha conservata a Milano dopo la morte dell’artista ma l’opera iniziava a rovinarsi sotto il portico di casa; è stato Marinetti a dare all’opera la possibilità di arrivare fino a noi realizzando delle fusioni in bronzo. Ad oggi gli esemplari di questa scultura si trovano a San Paolo del Brasile, a New York e al MOMA e al MET, al Museo del Novecento a Milano e alla Galleria Nazionale di Cosenza, l’esemplare ospitato al MUSMA è stato gentilmente concesso dalla collezione di Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona di Roma. Forme uniche di continuità è ospitata nella sala 1 del Museo, dove comincia il percorso espositivo permanente, ed è in dialogo con Medardo Rosso che Boccioni definisce come “il solo grande scultore moderno che abbia tentato di aprire la scultura a un campo più vasto, di rendere con la plastica l’influenza dell’ambiente e i legami atmosferici che lo avvincono al soggetto. L’opera di Rosso è rivoluzionaria e modernissima”; resta in relazione con Arturo Martini, che si propose di entrare nel movimento futurista anche se andrà in una diversa direzione, e condivide lo spazio con l’opera di Duilio Cambellotti parente di Boccioni poiché sposato con una cugina. “Nella nostra collezione permanente c’è una relazione tra le opere e i loro creatori” ci spiega Simona Spinella “cerchiamo di accordare l’arte per analogia, non per aneddoti ma per relazioni tra contenuto e contenitore tra chi crea e l’opera”.
Relazione è sicuramente la parola che porto via da questo incontro ed è forse una parola che più di altre racconta il senso dell’arte poiché senza relazione non può esserci creazione né creatività.
Simona Irene Simona
Foto di Pierangelo Laterza