“Oppenheimer”, il riluttante – ma non troppo – distruttore di mondi, protagonista del film campione assoluto di incassi di Cristopher Nolan

Certe volte Cristopher Nolan più che un regista sembra un apprendista stregone della mente umana.

Scava, riflette e rappresenta non solo i giochi infiniti della realtà quanto i labirinti della mente umana che vuole farsi creatrice e signora della realtà. Dominarla e piegarla al suo volere. Per questo la fisica e le sue leggi si prestano in maniera perfetta al gioco di Nolan. Un puzzle mentale e rappresentativo della realtà non come a noi tutti semplicemente appare ma utilizzato per scavare in essa con metodo. Forse non scientifico ma certamente attento. Il tutto compatibilmente con il mezzo e le esigenze commerciali hollywoodiane.

La saga di Batman gli ha offerto la possibilità del doppio, o meglio dello sdoppiamento, e così, dopo, Inception. In quel film la mente si aggroviglia totalmente in se stessa come il famoso quadro di Escher, quello delle scale labirintiche che, apparentemente, non vanno da nessuna parte. Interstellar con il gioco della gravità e dell’amore paterno. Ancora Tenet in cui la mente comincia a giocare con la fisica, il tempo ed il paradosso. La fisica teorica, in cui le leggi della materia e delle forze immateriali non sono osservate ma dedotte. Prima ipotizzate e poi solo in seguito confermate (ad esempio la prima ipotesi dell’esistenza dei buchi neri è del 1783, e dallo stesso Oppenheimer congetturati, ma la prima fotografia di un buco nero è del 2019).

Pietanza troppo ghiotta per Nolan. Non poteva non approfittarne.

Naturalmente non si poteva lasciare troppo spazio alla storia senza utilizzare il tempo e suoi paradossi. Questa volta non nel senso fisico ma in quello politico.

Oppenheimer cerca, cerca incessantemente la chiave di lettura di un bisogno di conoscenza. Non è in grado di fare esperimenti. La sua mente è rivolta alla ricerca dei motivi e alla continua ispezione dei meccanismi. La fisica teorica, per chi la capisce (io no), apre spazi inaspettati sui meccanismi della creazione, tanto da spingere chi la pratica a guardare il mondo (nel suo caos infinito di esseri umani) con gli occhi del tutto a cui sfuggono taluni “minimi” particolari come i comportamenti umani e la politica.

Se poi c’è la guerra tutto cambia e il controllo dell’energia atomica (la potenza di Dio) a fini civili (il lavoro di Fermi) non basta. È necessario assoggettare tutto all’esigenza politica di finire la guerra quanto prima. Sconfiggere i tedeschi (avanti di molti mesi negli studi e nell’applicazione) e i giapponesi (per nostra fortuna noi non c’eravamo).

Ecco che l’ambizione dello studioso e la prosaicità della politica si sposano in campo militare per creare la Bomba che metterà fine alla guerra e, forse, a tutte le guerre.

Gli effetti? Non conosciuti. Tanto da ipotizzare il malfunzionamento o la distruzione della terra.

Per lo scienziato, per quel tipo di scienziato, la conoscenza è il fine supremo e gl’incubi sono solo uno spicchio del suo percorso da novello Poliporte, il distruttore di città.

Nolan ci racconta tutto questo nel suo sviluppo temporale senza alcun rispetto del tempo e, soprattutto, narrandolo per terze persone. Il fulcro e l’occasione non è il protagonista ma l’uomo che lo ha emarginato per riuscire a diventare un importante uomo di potere. Perché Nolan non ci racconta la storia di Oppenheimer ma di quello che fu fatto di lui dalla politica.

Anche la scelta del protagonista, così come di ciascuno dei ruoli più importanti (non necessariamente dei più presenti) è in linea con la filosofia del film.

L’utilizzo di Cillian Murphi, (doppiato dal sempre impeccabile Simone D’Andrea) attore intenso ma personaggio mai incline alla sobrietà interpretativa (vedi il folle e cattivissimo psichiatra in Batman), nel ruolo di Oppenheimer, non è finalizzata alla rappresentazione dello scienziato quanto piuttosto dell’idea del distruttore di mondi.

Così tutti gli altri. Emily Blunt (Domitilla D’Amico che dire di più) nel ruolo di Katherine “Kitty” Oppenheimer, precisa e professionista di altissimo livello. Matt Damon (con la consueta voce di Riccardo Rossi) nel ruolo del generale Leslie Groves, quadrato anche fisicamente. Robert Downey Jr. nel ruolo del perfido Lewis Strauss, ottimo quando non gigioneggia (e non riesce proprio ad evitare di farlo in certi momenti, e neanche il suo doppiatore il sempre perfetto Angelo Maggi)

Parti brevi per Kenneth Branagh (con il suo alter ego Marco Mete) nel ruolo Niels Bohr e per Gary Oldman nei panni del presidente Truman. Piccoli ma giganteschi camei

Non si può dimenticare la fotografia di Hoyte van Hoytema, costretto a salti continui fra il bianco e nero ed il colore. Così come gli effetti speciali di Scott R. Fisher ed Andrew Jackson forzati a ricostruire la scena dell’esplosione della Bomba a Los Alamos e non in uno studio di computer grafica.

Allucinata al punto giusto la colonna sonora di Ludwig Göransson.

Tre ore serrate che potete andare a vedere anche se siete stanchi, perché se non vi prende questo film, allora il cinema non fa per voi.

Marco Preverin

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