“Ah!… Zitto!… Ascolta, Marianna!… Non hai sentito?… Mi è sembrato… là, dietro quella finestra, fra il vento, la pioggia, il turbine… un passo… sì! sì! è lui!… è lui! Il cuore mi si spezza! Mi afferro la testa con ambo le mani, perché mi sembra che anche qualche cosa della mia testa mi sfugga! È lui! Che fa? che vuole? Ha picchiato sui vetri!… Dio! Dio mio!… fatemi morire! fatemi morire! Mi dice addio! Egli! egli!… ed io! ed io!… Che cosa succede dentro di me, Dio mio?… Ho avuto un colpo di tosse… È il mio addio… Egli l’avrà udito… Non veggo più… Mi sento morire… Dio mio! Se mi trovassero morta con questa lettera, questa vergogna.”
(Giovanni Verga, “Storia di una Capinera”, 1871)
Per una donna, il debutto di ogni santo telegiornale è una specie di supplizio quotidiano: femminicidi, violenze, stupri, umiliazioni, una consistente parte dell’opinione pubblica convinta che questo non rappresenti un problema culturale o una situazione cui porre un urgente rimedio.
Ad ogni edizione, il rumore di uno o più alberi che cadono mascherano l’importanza di una foresta d’amore che può e deve crescere.
Per questo, ha senso celebrare una giornata dolorosa come il 25 novembre con uno spettacolo incantato come “Il Tango delle Capinere” di Emma Dante. In collaborazione con la compagnia “Sud Costa Occidentale”, che manda in scena Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, con Atto Unico, Teatro Biondo Palermo, Emilia Romagna Teatro ERT, Teatro di Roma, Carnezzeria, Théâtre des 13 vents, Centre dramatique national Montpellier, MA scène nationale – Pays de Montbéliard, lo spettacolo fa parte del cartellone 2023/24 del Teatro Kismet “Bagliori”, a cura di Teresa Ludovico.
Lo spettacolo appartiene alla “Trilogia degli occhiali” della stessa Dante, dedicata al dramma di chi resta.
Sul palco due bauli pieni di ricordi, una donna, molto vecchia, quasi sicuramente alle prese con il metaverso della demenza, o già in equilibrio su una trave per l’aldilà, evoca la presenza di suo marito, in un turbinio di ricordi che, con l’andare, li vede ringiovanire, nella fibra corporea, nei costumi, negli elementi scenici. A danzare intorno al suono di un carillon, la donna e l’uomo che sono stati, in un percorso a ritroso nel tempo: una coppia stanca e matura, giovani genitori, sposi raggianti, fidanzati innamorati. La costante dei ricordi è il ballo, che li ha uniti e resi invincibili agli occhi del mondo, e che ha consegnato alla memoria le giornate più belle di tutta una vita. Deliziose le canzoni che accompagnano la storia d’amore, permettendo a tutte e tutti di identificarsi con almeno una fotografia della nostra storia popolare. Ogni generazione di spettatrici e spettatori si è rivista di persona, o ha visto i suoi genitori o i nonni, ballare, amarsi, perdersi. È vero che tutto cambia, ma l’amore, un amore che pulsa e che balla, e che tossisce, che cade e non sempre si rialza, non muore. Di quella potenza universale, le nostre spoglie mortali sono solo le ospiti temporanee; quell’energia tornerà in circolo quando ci lascerà, ecco perché dobbiamo rispettarla e coltivarla.
Come sempre, nelle opere di Emma Dante, non da ultima il film “Misericordia”, ancora in sala, si richiede una forma atletica non indifferente, agli attori, cui viene chiesto un lavoro sul corpo che porti dietro di sé sessant’anni di amore, le sue leggerezze e gravità, le sue illusioni, i dispiaceri, i tacchi alti e le pantofole, le risate e i bisticci, i cotillon e la contesa del telecomando, un lavoro che Lo Sicco e Civilleri fanno benissimo, facendo sognare, ridere, commuovere e riflettere anche noi.
Lì dove le cronache sembrano suggerire il trionfo della morte, della violenza e della disperazione, “Il Tango delle Capinere” ci spinge a vivere per un amore, vero, tenero e gentile, che la morte non separa.
“Oh, the dead don’t die
Anymore than you or I
They’re just ghosts inside a dream
Of a life that we don’t own
They walk around sometimes
Never payin’ any mind
To the silly lives we lead
Or the reaping we’ve all sown”
(“Oh, i morti non muoiono
Non più di te e me
Sono solo spiriti in un sogno
Di una vita che non ci appartiene
Non prestano alcuna attenzione
Alle vite sciocche che conduciamo
O ai raccolti che seminiamo.”)
(Sturgill Simpson, “The Dead don’t die”, 2019)
Beatrice Zippo
Foto dal sito web della Compagnia