Nel 2018 ho fatto un provino per un film di Paolo Sorrentino. E non sono stato preso. Adesso vorrei dire delle cose a Paolo. Tutto quello che non gli ho detto dopo quel no. Questo spettacolo nasce unicamente per questo motivo.
Giuseppe Scoditti se l’è legata al dito. Lo dice il titolo del suo spettacolo, e lo dice lui stesso nel corso della serata, mostrando sullo schermo quella che in origine avrebbe voluto come locandina e che sinteticamente ed efficacemente spiega il suo stato d’animo e la “sportività” con cui ha accolto il rifiuto (l’idea è stata saggiamente accantonata per evitare questioni di perseguibilità giudiziaria).
In verità un giovane attore dovrebbe essere pronto ad un “no”, ma questo, arrivato dopo lunga attesa e un’unica battuta di sei parole (“Sì, sono il figlio di Mario”) giudicata “troppo teatrale” nell’interpretazione del Nostro, proprio non gli è andato giù.
È questo il pretesto per costruire il suo spettacolo, Paolo Sorrentino vieni, devo dirti una cosa, andato in scena al Teatro Kismet il 29 e 30 dicembre scorso, per la Stagione Bagliori, a cura di Teresa Ludovico per Teatri di Bari. Una serata che mescola stand up comedy, prosa, canzone, poesia, cinema, e che indaga sulla forza dei sogni e sulla tenacia con cui vanno inseguiti. Ma è anche l’occasione per raccontare come sia necessario e liberatorio smontare quei miti che, ancorché punti di riferimento nel panorama artistico, devono essere guardati senza il timore reverenziale che schiaccia e che ce li fa giudicare irraggiungibili.
Per Scoditti proprio l’intoccabilità del mito solletica fortemente il desiderio di rivelarne la fallibilità, l’aura fragile, l’inconsistenza. A fronte di una grandezza intesa come dono riservato a pochi eletti, c’è la profonda convinzione che essa, in fondo, è alla portata di ciascuno di noi se forte e folle è il sogno che ci sostiene. Passione, ideale, ma anche compromesso e feroce determinazione. Di fronte alla domanda su cosa sia disposto a fare per realizzare il proprio sogno, la sua risposta è “qualunque cosa”. Esaltante, totalizzante, ma anche inquietante. In un mare in cui acque limpide e torbide si mescolano e convivono, bisogna imparare a nuotare con tenacia e ostinazione per restare a galla e perseguire il proprio obiettivo.
Dopo aver smontato il mito con un’analisi spietata, Scoditti conquista la profonda convinzione di poter dialogare alla pari col regista, al punto di proporgli una sceneggiatura per un film da realizzare insieme, che porti la firma di entrambi.
Davide è pronto a sfidare Golia e, a ben guardare, Davide sente di avere la stessa statura del gigante e non ne prova più soggezione.
Giuseppe Scoditti è un animale da palcoscenico, padrone del palco che abita con sicurezza. Da lì dialoga col pubblico, lo interpella, lo rende complice della sua “vendetta”, lo scruta chiamandolo in causa. Tra il pubblico scende, alla fine, e ogni sera, stringendo al petto la cartellina con la sceneggiatura del film “Il giovane Sergio Endrigo”, cerca Paolo Sorrentino, al quale ha riservato due posti (sempre, in ogni tappa della tournée). Confessa che, se il regista dovesse accogliere il suo invito, il finale dello spettacolo sarebbe diverso dal solito, perchè potrebbe finalmente dar voce a quello che si porta dentro dai giorni del provino.
Scoditti, insieme a Gabriele Gerets Albanese che cura la regia, è autore del testo. Cristian Allegrini è il light designer, mentre gli inserti cinematografici sono curati da Giacomo Scoditti.
Uno spettacolo articolato, ben scritto e ben costruito, che parte come provocazione e poi si sviluppa in un discorso più ampio e complesso. Una bella prova per un talento eclettico come il suo, che attraversa con naturalezza generi diversi tenendo sempre sostenuto il ritmo, che forse cala un po’ nella parte centrale, quella dedicata al progetto del film, come se la personalità di Endrigo (poeta schivo) avesse in qualche modo colorato e permeato di sé la cadenza narrativa. Nel complesso, Scoditti domina quasi fisicamente l’andamento del racconto che è una sorta di invettiva, la sfida di un sognatore a chi vorrebbe in qualche modo spegnere il sogno. Non sappiamo come si svilupperà il suo percorso artistico nei prossimi anni, ma gli auguriamo (e ci auguriamo) che conservi l’audacia, la passione e il disincanto.
Siamo arrivati a credere che la grandezza sia un dono riservato solo a pochi eletti, ai prodigi, alle superstar. E che il resto di noi può solo stare a guardare. Ma la verità è che la grandezza è per tutti noi. Non si tratta di abbassare le aspettative, si tratta di aumentarle per ognuno di noi. (…) Perchè la grandezza non è nascosta in un posto speciale o in una persona speciale. (…) Non è una questione di grandi discorsi, di trionfi, di luci brillanti. Ma di sogni. Folli. (…) Non chiederti se i tuoi sogni sono folli. Chiediti se sono folli abbastanza.
Imma Covino
Foto di Clarissa Lapolla